Legittima la procedibilità d’ufficio del sequestro del coniuge
Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza numero 9/2025, depositata oggi
Non è manifestamente irragionevole, né viola le indicazioni della legge delega, la scelta della “riforma Cartabia” di mantenere la procedibilità d’ufficio del sequestro di persona, quando sia commesso in danno del proprio coniuge.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza numero 9, depositata oggi, con la quale è stata ritenuta non fondata una questione sollevata dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Grosseto.
Il Gup doveva decidere della responsabilità di un uomo che aveva aggredito la propria moglie, dalla quale si era separato di fatto da qualche mese, e il nuovo compagno di lei. Secondo la ricostruzione del pubblico ministero, l’imputato avrebbe puntato una pistola contro di loro, costringendoli a entrare nella casa del nuovo compagno. Qui avrebbe chiuso la porta alle proprie spalle, minacciando entrambi di morte e colpendoli ripetutamente alla testa con il proprio casco.
Tanto la donna quanto il suo compagno avevano successivamente rimesso la querela presentata contro l’imputato, che aveva nel frattempo risarcito loro i danni. Tuttavia, la remissione della querela non aveva prodotto effetto, tra l’altro, rispetto al reato di sequestro di persona commesso in danno della moglie dell’imputato. Mentre, infatti, il decreto legislativo numero 150 del 2022 (la cosiddetta riforma Cartabia) ha reso in via generale il sequestro di persona procedibile a querela di parte, la procedibilità d’ufficio è stata mantenuta in una serie di ipotesi aggravate, tra cui quella che qui veniva in considerazione.
Il GUP di Grosseto aveva, allora, chiesto che questa disciplina fosse dichiarata incostituzionale. Secondo il giudice, le ragioni che hanno indotto il legislatore del 2022 a subordinare la punibilità del sequestro di persona alla querela della persona offesa – in particolare, l’intento di favorire una conciliazione bonaria tra le parti – varrebbero a maggior ragione nell’ipotesi in cui autore e vittima siano uniti in matrimonio. E ciò anche a garanzia del valore dell’unità familiare, riconosciuto come tale dall’articolo 29 della Costituzione.
La Corte non ha condiviso questa prospettazione.
La Consulta ha sottolineato che il legislatore ha mantenuto il regime di procedibilità d’ufficio di alcune ipotesi aggravate di sequestro di persona in cui vi siano particolari esigenze di tutela della vittima nel contesto di relazioni familiari. Nell’ambito di queste relazioni esiste un concreto rischio che i soggetti più vulnerabili siano esposti a pressioni indebite, affinché non presentino querela o la rimettano. Proprio per tale ragione, la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia nel 2013, vieta agli Stati che ne sono parte di subordinare alla querela della parte i procedimenti penali per i reati di violenza fisica contro questa tipologia di persone offese, e stabilisce che il processo penale debba continuare anche quando la vittima ritiri la propria denuncia.
L’interesse alla conservazione dell’unità del nucleo familiare – ha concluso la Corte – non può prevalere rispetto alla necessità di tutelare i diritti fondamentali delle singole persone che ne fanno parte.