Casi pratici

Licenziamento disciplinare e diritto alla reintegrazione

L'elemento fiduciario quale presupposto immanente al rapporto di lavoro

di Paolo Patrizio


la QUESTIONE
La giusta causa di licenziamento comprende solo condotte poste in essere in ambito lavorativo? L'illecito del lavoratore in ambito extralavorativo può avere conseguenze sul rapporto di lavoro? Le ipotesi di giusta causa previste dai contratti collettivi hanno natura tassativa?


La fiducia, nel nostro impianto laburistico, costituisce un presupposto imprescindibile per la costituzione del rapporto di lavoro, assurgendo pertanto, come tale ed al contempo, ad innegabile fattore condizionante della permanenza dello stesso, qualora irrimediabilmente compromessa.
La ratio sottesa a tale granitica impostazione ermeneutica è ancorabile alla necessità del datore di lavoro di poter confidare e fare affidamento sulla leale collaborazione del prestatore e sul corretto adempimento delle obbligazioni che dal rapporto scaturiscono a carico di quest'ultimo, da cui il conio del principio di rilevanza della giusta causa di licenziamento, ogniqualvolta venga irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario che è alla base del rapporto.
Senonché, il concetto di giusta causa di licenziamento, così come quello di giustificato motivo, quali previsioni ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali, costituisco nozioni che richiedono una costante specifica in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama, allo scopo del necessario adeguamento delle norme al processo evolutivo di una realtà articolata e mutevole nel tempo.
Ecco che, allora, la lesione del vincolo fiduciario, quale presupposto immanente all'adottabilità del licenziamento per giusta causa, può rilevare non solo in conseguenza di specifici inadempimenti contrattuali, ma anche in ragione di condotte extralavorative che, seppure tenute al di fuori dell'azienda e dell'orario di lavoro e non direttamente riguardanti l'esecuzione della prestazione, nondimeno possono essere tali da far venire meno quel presupposto di fiducia tra le parti, qualora abbiano un riflesso, sia pure soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto e compromettano le aspettative d'un futuro puntuale adempimento dell'obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività.

La rilevanza delle condotte extralavorative
Tale profilo di rilevanza delle condotte extralavorative, dunque, comporta un sostanziale aggravio valutativo, imperniato sull'analisi di diversi elementi di interesse per la ricerca della verità materiale, richiedendo un ulteriore sforzo interpretativo per valutare l'influenza della condotta imputata sul rapporto di lavoro.
Ed invero, potenzialmente, ogni condotta assunta in contesto extralavorativo ed in qualsiasi ambito in cui si esplica la personalità del lavoratore è astrattamente idonea a rilevare in termini di integrazione della giusta causa di licenziamento, ma deve essere connotata dal requisito di particolare gravità, tale da far presumere l'impossibilità di riporre ulteriore fiducia sul lavoratore ovvero affidargli mansioni di un certo rilievo.
In tale contesto derivato, possiamo, dunque, affermare come non ogni condotta extralavorativa incida intrinsecamente sugli obblighi di collaborazione, fedeltà e subordinazione e sia idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario datoriale o a compromettere il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate, in quanto non è possibile tracciare una corrispondenza rigida tra rilevanza della condotta in sede penale, civile o amministrativa, correlata risposta sanzionatoria dell'ordinamento e necessitata compresenza di una giusta causa di licenziamento e risoluzione del rapporto lavorativo.
Il principio di frammentarietà e segmentazione dei comparti ordinamentali, infatti, consente una sostanziale non pregiudizialità ed influenza dei rispettivi ambiti di analisi, con la conseguenza che la valutazione irrimediabilmente lesiva della sfera fiduciaria e la correlata incidenza sul sotteso rapporto di lavoro resta ad appannaggio della competente Autorità Giudiziaria si determinano in ragione della concreta casistica di riferimento.
Non è inusuale, invero, rilevare come il vincolo fiduciario immanente ad una determinata vicenda lavorativa possa risultare, a volte, maggiormente leso da un atto illecito ma non penalmente rilevante, piuttosto che da un fatto costituente reato.
Ciò, in quanto, il giudizio sulla giusta causa non può tradursi in un giudizio sulla moralità astratta del lavoratore, dovendo invece risolversi in una valutazione sostanziale sulla compatibilità tra lavoratore ed ambiente lavorativo e sulla persistenza, attuale e prognostica, dell'elemento fiduciario.
In tali termini, dunque, la condotta illecita extralavorativa diviene suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiale del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso.

Esemplificazione casistica
La varietà delle condotte illecite a carattere extralavorativo suscettibili di assumere rilievo disciplinare hanno fatto registrare, negli anni, una elaborazione casistica particolarmente forbita, che ci consente di poter disporre di un prezioso strumento di ausilio al percorso di accertamento e valutazione di fattispecie tanto eterogenee nelle caratteristiche quanto unitarie nei principi di riferimento .
Ed invero, passando in rapida rassegna alcune pronunce particolarmente degne di nota, evidenziamo come la Suprema Corte, abbia rilevato, ad esempio, che, in tema di licenziamento per giusta causa, la condotta extralavorativa consistente nell'aver rivolto una minaccia grave a soggetti estranei al rapporto di lavoro rende legittima la misura espulsiva solo quando abbia avuto riflessi sulla funzionalità del rapporto stesso ed abbia compromesso le aspettative sul futuro puntuale adempimento della prestazione.
Per gli Ermellini, infatti, una simile minaccia, a differenza di quella proferita nei confronti del datore di lavoro o in ambito lavorativo, non incide intrinsecamente sugli obblighi di collaborazione, fedeltà e subordinazione cui è tenuto il dipendente nei confronti di un suo superiore (in tal senso Cass., n. 8390/2019), da cui discende la necessaria analitica valutazione, in sede di merito, della correlata legittimità del comminato licenziamento, alla luce dei concreti elementi di causa.
Parimenti possono ritenersi teoricamente idonei ad integrare la giusta causa condotte che pur non costituendo reato possano tuttavia incidere sull'affidamento nel corretto svolgimento della prestazione. Pensiamo all'uso di sostanze stupefacenti, fattispecie nella quale, ad esempio la Cassazione ha sottolineato come, in materia di licenziamento disciplinare, viola certamente il "minimo etico" la condotta extralavorativa di consumo di sostanze stupefacenti ad opera di un lavoratore adibito a mansioni di conducente di autobus, definite "a rischio", a prescindere dalla ricomprensione della descritta condotta nell'ambito del r.d. n. 148 del 1931 (vedasi, in proposito, Cass., n. 12994/2018).
Ovvero, ancora sul tema, per la Suprema Corte, la detenzione, in ambito extralavorativo, di un significativo quantitativo di sostanze stupefacenti a fine di spaccio è idonea ad integrare la giusta causa di licenziamento, poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche a non porre in essere, fuori dall'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da comprometterne il rapporto fiduciario, il cui apprezzamento spetta al giudice di merito. Tale condotta, invero, è in grado di incidere in maniera particolarmente grave il rapporto di lavoro, in termini di prognosi futura circa l'affidabilità del dipendente (vedasi Cass., n. 16524/2015) .
Altre fattispecie di sicuro rilievo casistico sono quelle che riguardano la commissione di delitti di usura e/o estorsione, commessi al di fuori del contesto lavorativo, da parte di dipendenti bancari. In tali casi, infatti, la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiale del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso.
Nel caso di specie, infatti, la legittimità del licenziamento, intimato da una società a partecipazione pubblica erogatrice di servizi creditizi nei confronti di un lavoratore attinto da condanna penale per usura ed estorsione, è stata avvallata dalla Suprema Corte, sul presupposto che l'assoggettamento dell'attività ai principi di imparzialità e buon andamento, di cui agli artt. 3 e 97 Cost., comporta che il lavoratore è tenuto, anche fuori dal lavoro, ad assicurare affidabilità nei confronti del datore di lavoro e dell'utenza (vedasi in merito Cass., n. 776/2015).
Vengono poi in rilievo tutte quelle condotte che, se pur non costituenti in sé fattispecie di illecito a rilevanza penale o amministrativa, nondimeno si riflettono in maniera importante su quella sfera dimensionale che connota l'ambito morale del soggetto e la cui percezione collettiva potrebbe incidere, in maniera negativa, sulla reputazione stessa dell'azienda datrice di lavoro, a livello di percezione esterna dell'immagine sociale.
Ad ogni modo, i casi esemplificati evidenziano tutti un dato importante, ovvero come la valutazione della sussistenza della giusta causa, intesa come grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento della fiducia, debba essere operata con riferimento agli aspetti concreti del singolo rapporto di lavoro, senza tralasciare la posizione del dipendente nell'impresa e il grado di affidamento specificamente richiesto dalle mansioni che gli sono state affidate.
In tal senso, dunque, non possono essere ritenuti sufficienti generiche correlazioni tra una determinata condotta extra-lavorativa e la idoneità professionale del prestatore alla prosecuzione del rapporto, essendo indispensabile l'effettuazione di una valutazione analitica sulla effettiva incidenza della condotta sulla prestazione lavorativa.
Quanto alla valutazione della gravità del comportamento del dipendente, ai fini del giudizio sulla legittimità del licenziamento per giusta causa, essa deve essere compiuta alla stregua della ratio dell'art. 2119 cod. civ. e, dunque, tenendo conto dell'incidenza del fatto sul particolare rapporto fiduciario che lega il datore di lavoro al lavoratore, delle esigenze poste dall'organizzazione produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione.
Per tali ragioni, la condotta disciplinarmente rilevante deve essere collocata nel contesto complessivo in cui è avvenuta, potendo emergere una serie di circostanze, soggettive od oggettive, che consentono al giudice di escludere, in concreto e pur a fronte di un fatto astrattamente grave, l'idoneità dell'inadempimento a configurare giusta causa o giustificato motivo soggettivo.

Le direttrici di sintesi della valutazione sulle condotte extralavorative
Dalle considerazioni sin qui espresse è possibile trarre, a questo punto della trattazione, alcune linee guida di sintesi circa la valutazione della rilevanza disciplinare delle condotte illecite commesse in contesto extralavorativo, da parte del dipendente coinvolto nella vicenda.
Abbiamo visto che un primo principio da tenere in massima considerazione è come il giudizio debba riguarda la condotta e la sua incidenza rispetto al rapporto di lavoro, non potendosi mai tradurre in un giudizio sulla persona del lavoratore in quanto tale.
Abbiamo anche evidenziato come le condotte censurabili sotto il profilo di rilevanza della giusta causa possano riguardare tanto comportamenti contrastanti con i principali valori etici e fondativi dell'ordinamento, quanto quelli in grado, comunque, di incidere sull'affidamento nel corretto futuro svolgimento della prestazione da parte del lavoratore interessato.
Ecco che, allora, possono venire in rilievo, in materia, una molteplicità di situazioni e condotte, ma senza la decretazione di una effettiva gradazione prestabilita di lesività intrinseca delle stesse, potendo ad esempio la rilevanza penale del fatto essere indice della gravità della condotta ma mai costituire ex sé circostanza dirimente.
Va, invero, al riguardo osservato come il principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva sancito dall'art. 27, secondo comma, Cost. concerna le garanzie relative all'attuazione della pretesa punitiva dello Stato e non può, quindi, applicarsi, in via analogica o estensiva, all'esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore che possa altresì integrare gli estremi del reato, se i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto.
In tale ipotesi, invero, non vi è necessità di attendere la conclusione del giudizio penale, non essendo a ciò di ostacolo neppure la circostanza che il contratto collettivo di lavoro preveda la più grave sanzione disciplinare solo qualora intervenga una sentenza definitiva di condanna.
Dunque, la valutazione circa la ricorrenza o meno degli estremi della giusta causa nel fatto commesso dal dipendente finisce con l'assumere carattere autonomo rispetto al giudizio che del medesimo fatto debba darsi a fini penali, così che appare patrimonio consolidato la considerazione per la quale, oramai, la pregiudizialità penale rappresenta fattispecie eccezionale in ambito ordinamentale (cfr. Cass., n. 18918/2019, tra le altre).
Pertanto, il giudice davanti al quale venga impugnato un licenziamento disciplinare intimato per giusta causa a seguito del coinvolgimento del lavoratore in un procedimento penale (con l'imputazione di gravi reati potenzialmente incidenti sul rapporto fiduciario, ancorché non commessi nello svolgimento del rapporto), è tenuto ad accertare l'effettiva sussistenza dei fatti riconducibili alla contestazione e l'idoneità degli stessi ad evidenziare, per i loro profili soggettivi ed oggettivi, l'adeguato fondamento di una sanzione disciplinare espulsiva (cfr. Cass. n. 18513 del 2016).
Rileva, infine, la circostanza per cui in tema di licenziamento per giusta causa il vincolo fiduciario può essere leso anche da una condotta estranea al rapporto lavorativo in atto, benché non attinente alla vita privata del lavoratore e non necessariamente successiva all'instaurazione del rapporto, a condizione che, in tale secondo caso, si tratti di comportamenti appresi dal datore di lavoro dopo la conclusione del contratto e non compatibili con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate e dal ruolo rivestito dal dipendente nell'organizzazione aziendale (così . Cass., n. 428/2019).
L'evoluzione dell'orientamento giurisprudenziale in materia
Abbiamo assistito, negli anni, al progressivo sgretolamento della diffusa ma errata convinzione, in ambito lavorativo, della sostanziale irrilevanza, ai fini disciplinari, delle condotte poste in essere dai prestatori al di fuori del contesto lavorativo, in considerazione della ritenuta netta separazione tra sfera comportamentale privata e manifestazione della propria personalità in seno all'organizzazione datoriale.
Si è, infatti, andata sempre più affermando l'intima connessione ed incidenza che determinate condotte disdicevoli dei lavoratori, sebbene assunte nella vita privata extralavorativa, possono avere sulla prosecuzione del rapporto di lavoro, siccome contrarie ai canoni dell'etica comune e delle norme del comune vivere civile, con conseguente potenziale lesività del rapporto fiduciario con il datore di lavoro a causa della ritenuta inaffidabilità a proseguire nel disimpegno del ruolo e mansioni rivestite in azienda.
In passato, la giurisprudenza si era mostrata certamente più "morbida" in relazione alla valutazione dei comportamenti tenuti dal lavoratore nella vita privata ed estranei all'esecuzione della prestazione lavorativa, decretandone l'irrilevanza, ai fini della dedotta giusta causa di licenziamento, allorché non avessero prodotto effetti riflessi nell'ambiente di lavoro e tanto meno nociuto al prestigio dell'Ente datore di lavoro (vedasi ni tal senso Cass. 3 ottobre 2000, n. 13144).
Nel caso in menzione, infatti, era stato sancito il diritto del dipendente, licenziato per spaccio di droghe leggere, ad essere reintegrato nel suo posto di lavoro ed a far parte della comunità sociale e professionale del lavoro, sia perché il consumo di tali sostanze sarebbe stato considerato dalla coscienza sociale come un disvalore di grado assai inferiore rispetto alle c.d. droghe pesanti, sia perché nel fatto commesso non sarebbe ravvisabile alcun nesso, né funzionale né occasionale, con l'attività lavorativa prestata in qualità di manovratore ferroviario.
Medesime considerazioni, per il caso di un primario di un istituto ospedaliero, licenziato dal datore siccome condannato per il furto di una tela da una chiesa, ma la cui condotta non era stata ritenuta idonea, in sede giudiziale, a ledere l'elemento fiduciario ed a fondare il motivo del comminato licenziamento, in quanto, oltre ad esaurirsi in un singolo episodio, sarebbe stata qualificata come del tutto estraneo all'esecuzione della prestazione lavorativa e, pertanto, non incidente in alcun modo sull'aspetto tecnico della professionalità del dipendente, riguardando invece l'aspetto etico comportamentale.
E così via, in ripetute ipotesi di condotte anche gravi o fattispecie di reato poste in essere in ambito extralavorativo, ritenute inidonee a ledere il vincolo fiduciario del sottostante rapporto di lavoro, siccome la compromissione dello stesso non avrebbe potuto essere intesa in senso generico, dovendo al contrario rilevare in senso specifico, in termini di ragionevole probabilità di pregiudizio del corretto adempimento delle mansioni contrattuali.
L'attuale orientamento della giurisprudenza appare, invece, certamente più intransigente, siccome teso a valorizzare, in termini di rilevanza disciplinare e fondamento risolutivo del rapporto, tutti quelle condotte extralavorative del lavoratore ritenute in grado di ledere in maniera irrimediabile il vincolo fiduciario con il datore, siccome denotative della scarsa inclinazione all'attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza, ponendo in dubbio la stessa affidabilità del dipendente sulla futura correttezza nell'adempimento delle obbligazioni contrattuali e lavorative.
Ed ecco che è nella funzione di meticolosa analisi giudiziale che viene individuato il punto nodale di contrappeso valutativo della condotta stigmatizzata, essendo chiamato il Giudice ad un'analisi concreta e certosina delle condizioni legittimanti la sussistenza della giusta causa di licenziamento, tenendo in considerazione sia la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, sia l'idoneità di tali fatti a "scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere fondatamente la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali (Cass., n. 15654/2012), in particolare, quando siano contrari alle norme dell'etica comune e del comune vivere civile" (sul punto, v. Cass., n. 25380/2014).

Considerazioni conclusive
La valutazione della sussistenza di una giusta causa di licenziamento, ancor più quando legata a condotte extralavorative, assurge, dunque, a fondamentale banco di prova in termini di bilanciamento del sistema ed allineamento valoriale, siccome involgente il profilo del cd. "minimo etico", inteso quale macrocosmo di ampio posizionamento delle regole di comune e civile convivenza, immanenti al nostro sistema sociale ed ordinamentale.
L'oramai consolidato orientamento della Cassazione ha, dunque, stabilito come quando un determinato comportamento risulti immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al cd. minimo etico o a norme di rilevanza penale, la sanzione sia pacificamente irrogabile dal datore di lavoro, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta.
La giusta causa di licenziamento è, infatti, nozione legale introdotta mediante una "clausola elastica" che, pertanto, esige una specificazione in via interpretativa, imperniata sulla valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione codicistica tacitamente richiama.
In tal senso, il concetto di giusta causa non è limitabile all'inadempimento tanto grave da giustificare la risoluzione immediata del rapporto di lavoro, ma è estensibile anche a condotte extralavorative, che, tenute al di fuori dell'azienda e dell'orario di lavoro e non direttamente riguardanti l'esecuzione della prestazione lavorativa, nondimeno possano essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti.
Ecco, allora, che le condotte extralavorative che possono assumere rilievo ai fini dell'integrazione della giusta causa afferiscono non solo alla vita privata del lavoratore in senso stretto, bensì a tutti gli ambiti nei quali si esplica la personalità del lavoratore, essendo sufficiente che i comportamenti realizzati risultino, in concreto, idonei a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, avendo un innegabile riflesso, sia pure soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto e compromettendo le aspettative d'un futuro puntuale adempimento dell'obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività aziendale.
Pertanto, posto che i comportamenti extralavorativi imputabili al lavoratore possono colpire gli interessi del datore di lavoro, il prestatore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o comprometterne il rapporto fiduciario.
Siamo così giunti ad un assetto giurisprudenziale di fatto teso a svolgere finanche una funzione plasmante di una corretta coscienza dei lavoratori, in ambito di tendenziale finalità correttiva e di rilancio della centralità diffusa del rispetto delle regole etiche e giuridiche del corretto vivere civile, in ogni contesto di base e di riferimento.