Amministrativo

Limiti quantitativi al subappalto: alcune riflessioni alla luce delle modifiche apportate dal D.L. "Milleproroghe" e degli ultimi orientamenti della giurisprudenza nazionale

di Giulia Gambaro e Andrea Tedaldi*

Il D.L. n. 183/2020 (c.d. Decreto "Milleproroghe" 2021) ha prorogato al 30 giugno 2021 la deroga di cui all'art. 1, comma 18 del D.L. n. 32/2019 (c.d. "sblocca cantieri", convertito con L. n. 55/2019), che consente alle stazioni appaltanti, "nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici", di prevedere nella documentazione di gara l'ammissibilità del subappalto entro il limite del 40% dell'importo complessivo dei lavori, servizi o forniture oggetto di affidamento.

L'intervento della Commissione europea. Come noto, il richiamato art. 1, comma 18 del D.L. n. 32/2019 ha comportato una deroga (concepita come temporanea, in attesa di un più organico progetto di riforma) all'art. 105, comma 2 del Codice dei Contratti pubblici, che consentiva la subappaltabilità delle prestazioni oggetto del contratto da affidare entro la quota del 30% dell'importo dello stesso. L'incremento della soglia di prestazioni subappaltabili è stato conseguenza diretta della lettera di messa in mora della Commissione europea del 24 gennaio 2019 (nell'ambito della procedura di infrazione n. 2018/2273), con cui era stata evidenziata l'incompatibilità con il diritto europeo delle norme del Codice dei Contratti pubblici italiano che prevedevano il suddetto limite quantitativo del 30%.

In occasione della costituzione in mora, la Commissione aveva osservato che le Direttive europee in materia di appalti e concessioni, improntate al principio di massima partecipazione degli operatori economici alle procedure di gara, non consentono l'apposizione di una tale limitazione, che ha natura obbligatoria e si applica indiscriminatamente a tutte le procedure. Al contrario, la possibilità di introdurre limiti alla percentuale di prestazioni subappaltabili, secondo la Commissione, può essere di volta in volta prevista dalle amministrazioni aggiudicatrici "ma solo ove siffatta restrizione sia giustificata dalla particolare natura delle prestazioni da svolgere" (cfr. Lettera di messa in mora, par. 1.3; cfr. anche l'art. 63, par. 2, della Direttiva 2014/24/UE).

La pronuncia della Corte di Giustizia UE. All'indomani della modifica apportata dalla legge di conversione del D.L. sblocca cantieri, con cui la percentuale del subappalto è stata innalzata al 40%, la Corte di Giustizia dell'Unione europea, con la celebre sentenza Vitali (sentenza del 26 settembre 2019, causa C-63/18), ha stabilito l'incompatibilità con il diritto UE delle norme del Codice dei Contratti pubblici che limitavano (allora) al 30% la quota di prestazioni subappaltabili.

Pur essendo riferita al quadro normativo italiano precedente alla modifica di cui al D.L. sblocca cantieri, la sentenza della Corte di Giustizia offre interessanti spunti di riflessione di carattere generale, che gettano ombre sulla compatibilità con le Direttive europee anche dell'attuale quota di subappalto ammissibile, pari al 40%.

La Corte ha infatti osservato che, nonostante le Direttive europee contengano norme che disciplinano - in qualche misura - il ricorso al subappalto, "non si può dedurre che gli Stati membri dispongano ormai della facoltà di limitare tale ricorso a una parte dell'appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso", "indipendentemente dal settore economico interessato" e senza lasciare "alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell'ente aggiudicatore" (sentenza del 26 settembre 2019, parr. 30 e 40).

Tale limitazione, a giudizio della Corte, non potrebbe trovare giustificazione nemmeno in considerazione della necessità (sostenuta dal Governo italiano) di evitare, nel corso delle procedure di gara, illecite infiltrazioni della criminalità organizzata. Anche ammettendo che un limite quantitativo generale e astratto al subappalto consenta il raggiungimento di tale obiettivo (di per sé legittimo), secondo la Corte - che applica il tradizionale "test di proporzionalità" utilizzato per valutare la giustificabilità di tutte le misure che impattano sul mercato interno - sussistono misure meno restrittive ugualmente idonee a raggiungere l'obiettivo perseguito, quali ad esempio le interdittive "antimafia" già contemplate dall'ordinamento nazionale.

Le pronunce dei giudici amministrativi italiani: Consiglio di Stato e TAR Lazio. A seguito della sentenza Vitali si sono succedute, in ambito nazionale, diverse pronunce dei giudici amministrativi.

E' in particolare interessante analizzare quello che rappresenterebbe un contrasto fra due orientamenti giurisprudenziali, come emerso - da ultimo - con la sentenza n. 8101 della V sezione del Consiglio di Stato del 17 dicembre scorso e con la sentenza della sezione III-quater del TAR Lazio-Roma del 15 dicembre u.s.

Da un lato, infatti, il Consiglio di Stato ha statuito che la norma del Codice dei contratti pubblici che pone limiti al subappalto (nella sentenza si fa riferimento al limite del 30%) deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l'ordinamento euro-unitario.

Dall'altro lato, il Tribunale Amministrativo, richiamando altre sue precedenti pronunce, ha precisato che, pur avendo la Corte di Giustizia "... censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30% dei lavori, non esclude la compatibilità con il diritto dell'Unione di limiti superiori". La Corte ha sì "considerato in contrasto con le direttive comunitarie in materia il limite fissato, ma non escludendo invece che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo", cosicché non può ritenersi contrastante con il diritto europeo l'attuale limite al subappalto al 40%, previsto nelle more di una complessiva revisione del Codice dei contratti pubblici.

Ad avviso del TAR Lazio, fra l'altro, detto limite non vincola le stazioni appaltanti, trattandosi di un tetto massimo (il 40% del valore del contratto), lasciando alla discrezionalità delle stazioni appaltanti scegliere la percentuale più adeguata in considerazione delle caratteristiche dell'appalto.

Insomma, il TAR Lazio, anche richiamando la natura transitoria dell'art. 1, comma 18 del D.L. n. 32/2019, ha ritenuto di non discostarsi dal limite al subappalto fissato dal legislatore nazionale.

Proprio quest'ultima linea è stata espressamente ribadita dal legislatore italiano con il Decreto "Milleproroghe". Il legislatore, pur conoscendo - con tutta evidenza - il contenuto della sentenza Vitali, ha ritenuto opportuno confermare esplicitamente (quasi rivolgendosi a chi aveva dubbi al riguardo e ai giudici amministrativi) il limite massimo del subappalto al 40%, in vista di una riforma del Codice dei contratti pubblici, la quale dovrà necessariamente analizzare in modo serio le problematiche sottese all'istituto del subappalto. Problematiche, è inutile negarlo, che esistono e vanno affrontate: si pensi alla necessità di assicurare il controllo sul contratto in fase esecutiva e al rischio, direttamente discendente da una liberalizzazione completa della disciplina del subappalto, che un concorrente ricorra a tale istituto senza limite (anche per il 100% del valore del contratto).

Problematiche, comunque, che vanno affrontate dal legislatore e non andrebbero certo lasciate alla giurisprudenza.

La discrezionalità amministrativa quale base di riflessione. In vista di un auspicato intervento legislativo che affronti la questione del subappalto in modo definitivo, appare utile sottolineare come, ai fini della compatibilità con il diritto europeo, non è tanto rilevante la misura del limite posto alla facoltà di subappaltare, quanto la natura "quantitativa" del limite stesso

La sentenza Vitali, infatti, censura l'esistenza di una norma, generale ed astratta, che impone un blocco assoluto al subappalto, ma consente invece una valutazione caso per caso da parte della stazione appaltante, che tenga conto del settore economico, della natura e della peculiarità del contratto oggetto di affidamento .

La stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella "Segnalazione avente ad oggetto la normativa sui limiti di utilizzo del subappalto" del 4 novembre 2020 (rivolta alle Camere e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri), si è soffermata sull'opportunità di eliminare la previsione generale e astratta di una soglia massima di affidamento subappaltabile, consentendo alle stazioni appaltanti di introdurre eventuali limiti all'utilizzo del subappalto che siano proporzionati rispetto agli obiettivi di interesse generale da perseguire e adeguatamente motivati, in ragione - ad esempio - della struttura del mercato di riferimento, della natura delle prestazioni dedotte in contratto o di esigenze di sicurezza nella fase esecutiva.

Sempre secondo l'Autorità, la stazione appaltante potrebbe motivatamente imporre anche il divieto di subappalto dell'intera commessa.

Ebbene, si tratterebbe, con tutta evidenza, di un deciso ritorno in auge della discrezionalità amministrativa, sempre più imbrigliata da norme che tendono a voler disciplinare - spesso in maniera incongruente - ogni minimo dettaglio dell'azione amministrativa, e da una giurisprudenza che, nel cercare di colmare i deficit normativi, finisce a volte per sostituirsi alle stazioni appaltanti con interpretazioni creative. Operazione, questa, che andrebbe però circoscritta entro una cornice normativa di massima, che guidi le stazioni appaltanti nella scelta, anche al fine di porle al riparo da facili annullamenti in sede giudiziale per eccesso di potere.

* a cura di di Giulia Gambaro e Andrea Tedaldi

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