Penale

Lo spacciatore risponde della morte del cliente solo se ha agito colpevolmente senza cautele

Oltre alla responsabilità per il reato doloso di spaccio il giudice dovrà provare se la condotta ipotizzata di un agente modello adeguata alla normale diligenza coincida o meno con il comportamento tenuto dall’agente reale

di Paola Rossi

Lo spacciatore risponde non solo dell’illecita attività di vendita della droga, ma anche delle conseguenze letali che derivino all’acquirente dall’assunzione della sostanza stupefacente se colpevolmente ha ignorato l’evento che - al momento della commissione del reato doloso “presupposto” - fosse in concreto prevedibile. Le conseguenze della morte o delle lesioni personali a seguito della commissione di un reato doloso - sono contestabili a titolo di colpa in quanto prevedibili, ma non volute dall’agente, che ha violato perciò le regole di cautela nella sua condotta volontaria, affinché non si determinassero le ulteriori conseguenze.

Ma una volta accertata la responsabilità penale per il reato doloso non è da tale accertamento che si possa dire provata la colpa per le conseguenze ulteriori, quali la morte o le lesioni personali, senza appurare appunto l’elemento psicologico per il reato previsto dall’articolo 586 del Codice penale intitolato “morte o lesioni come conseguenza di altro delitto”. Si tratta quindi di due reati distinti dove il primo deve essere sostenuto dal dolo mentre del secondo si risponde a titolo di colpa.

La Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 8356/2025 - ha respinto il ricorso dell’imputato che aveva ceduto più pasticche di extasy a una donna che era poi morta la stessa serata della cessione e con un livello ematico di Mdma (principio attivo della nota droga) elevatissimo e sicura causa del decesso della giovane.

Il ricorso lamentava la mancata prova della responsabilità dell’imputato per le conseguenze letali realizzatesi la stessa notte della vendita dello stupefacente.

Come detto il reato ex articolo 586 del Cp che sanziona le conseguenze del delitto doloso è imputabile non in maniera automatica e va provata la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa.

Il rigetto del ricorso respinge la tesi difensiva secondo cui i giudici di merito avrebbero attribuito la responsabilità penale de plano per l’evento morte senza aver appurato la condotta colposa tenuta dal ricorrente al momento di commettere il reato doloso di spaccio.

Al contrario la Cassazione, pur ribadendo che non è prevista alcuna responsabilità oggettiva per le conseguenze derivate dalla commissione del reato doloso, rileva che nella sentenza impugnata era stato, invece, dato giusto rilievo a delle circostanze di fatto che provavano la colpa del ricorrente ex articolo 586 del Codice penale: la conoscenza del comportamento sovraeccitato della vittima al momento dell’acquisto, della sua tendenza a utilizzare la droga in dosi massicce e la ripetizione delle cessioni nella medesima serata. Ciò che poteva far prevedere anche l’esito mortale.

Infine, la Suprema Corte, precisa che la norma incriminatrice contro lo spaccio di droga non assorbe tutte le conseguenze personali che derivano ai clienti del mercato degli stupefacenti. Cioè il bene dell’integrità fisica dell’assuntore non è l’oggetto tutelato dalle norme di contrasto alla vendita illecita di stupefacenti per cui non vi è duplicazione della risposta punitiva - come sostenuto dal ricorrente - in caso si verifichino le lesioni o la morte dell’acquirente. A riprova di ciò la Cassazione punta l’attenzione sul fatto che l’uso personale non sia sanzionato penalmente.

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