Società

Lodo arbitrale irrituale ed effetti della clausola compromissoria rispetto ai terzi non aderenti

Nota a commento di Tribunale di Roma, n. 5248 del 31 marzo 2023

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di Carlotta Seghi e Marco Greggio*

Il Tribunale di Roma, con la pronuncia in commento ( n. 5248 del 31 marzo 2023 ), ha rigettato l'impugnazione del lodo arbitrale che ha definito una controversia insorta tra un socio e la società a responsabilità limitata dalla quale il socio aveva esercitato il recesso.

In particolare il lodo impugnato aveva respinto la richiesta del socio di ottenere la restituzione dei beni che, all'epoca del suo ingresso nella compagine sociale della società, egli aveva conferito e di quelli che aveva ceduto alla società il cui prezzo non sarebbe stato mai pagato. L'attore chiedeva altresì il risarcimento del danno asseritamente subito. Nella ricostruzione del socio attore, il diritto alla restituzione dei beni (conferiti e ceduti) sarebbe sorto a seguito dell'esercizio del recesso dalla società.

Il lodo era stato quindi impugnato dal socio recedente per vizi tali da cagionarne l'annullabilità
(a) poiché viziato da errore di fatto, in quanto l'arbitro aveva errato nell'asserire che i beni di cui il socio chiedeva la restituzione erano confluiti nel patrimonio della società;
(b) perché emesso in violazione dell'art. 808 ter, secondo comma, n. 4, c.p.c., per non essersi l'arbitro attenuto alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo e, precisamente perché, disattendendo alla clausola compromissoria, l'arbitro avrebbe deciso "secondo diritto", anziché "secondo l'equità", incorrendo in un eccesso di mandato;
(c) perché emesso in violazione dell'art. 808 ter, secondo comma, n. 5) c.p.c., non avendo l'arbitro osservato il principio del contraddittorio, in quanto il socio attore aveva richiesto l'integrazione del contraddittorio nei confronti della società terza alla quale sarebbero stati ceduti i beni da lui conferiti e/o venduti alla società convenuta.

La società costituitasi in giudizio ha chiesto il rigetto delle domande formulate dall'attore.

Il Tribunale di Roma ha ritenuto, preliminarmente, di ribadire la "delimitazione del thema decidendum e ripartizione dell'onere della prova" nel procedimento di impugnazione di un lodo arbitrale irrituale, richiamando il costante orientamento della Suprema Corte secondo il quale "Nell'arbitrato irrituale, attesa la sua natura volta ad integrare una manifestazione di volontà negoziale sostitutiva di quella delle parti in conflitto, il lodo è impugnabile soltanto per i vizi che possono vulnerare simile manifestazione di volontà, con conseguente esclusione dell'impugnazione per nullità prevista dall'art. 828 cod. proc. civ.; pertanto, l'errore del giudizio arbitrale, deducibile in sede impugnatoria, per essere rilevante, deve integrare gli estremi della essenzialità e riconoscibilità di cui agli artt. 1429 e 1431 cod. civ., mentre non rileva l'errore commesso dagli arbitri con riferimento alla determinazione adottata in base al convincimento raggiunto dopo aver interpretato ed esaminato gli elementi acquisiti. (Sez. 3, Sentenza n. 25268 del 01/12/2009, Rv. 610755)".

E pertanto ha statuito che "il lodo arbitrale irrituale può essere impugnato solo in presenza dei presupposti che consentono l'annullamento del contratto".

Con riferimento alla ripartizione dell'onere della prova nei giudizi di annullamento del contratto, il Tribunale ha ricordato l'arresto della Suprema Corte in forza del quale "La parte che chiede l'annullamento del contratto per errore essenziale sulle qualità del bene ha l'onere di dedurre e provare, in caso di contestazione, i fatti dai quali tale qualità risulta, nonchè l'essenzialità dell'errore e la sua riconoscibilità dalla controparte con l'uso dell'ordinaria diligenza, mentre la scusabilità dell'errore che abbia viziato la volontà del contraente al momento della conclusione del contratto è irrilevante ai fini dell'azione di annullamento, poichè deve aversi riguardo alla riconoscibilità dell'errore da parte dell'altro contraente. (Sez. 2, Sentenza n. 5429 del 13/03/2006, Rv. 588082)". Il Tribunale ha pertanto precisato che "Era, pertanto, onere della parte attrice dedurre e provare i fatti dai quali risultava l'errore del Collegio arbitrale".

Venendo ai motivi di impugnazione, il Tribunale di Roma ha ritenuto che la domanda di annullamento del lodo proposta dall'attore, per aver l'arbitro errato nello statuire che i beni di cui il socio chiedeva la restituzione fossero confluiti nel patrimonio della società, dovesse ritenersi infondata. Sul punto il giudicante ha ritenuto condivisibile la decisione dell'arbitro secondo la quale "giuridicamente si deve ritenere di poter affermare che nella fattispecie all'esame, i beni mobili di cui si rivendica la restituzione, risultano con evidenza e certezza trasferiti alla [società], e, che sono entrati a costituire il patrimonio di questa società, sicuramente valutabili ai fini di determinare il valore di quest'ultima società e quindi la quota di ciascun socio di conseguenza si deve ritenere, per le motivazioni svolte, che il ricorrente non possa chiedere la restituzione dei beni rivendicati" e di come "ciascun socio, compreso il ricorrente … potrà esigere la propria quota di attività alla chiusura della fase di liquidazione, apertasi subito dopo l'inizio della presente procedura di arbitrato".

Il Tribunale ha pertanto rigettato la domanda di annullamento del lodo per errore di fatto, in quanto "l'arbitro ha correttamente dichiarato che i beni mobili di cui … [il socio] chiedeva la restituzione erano confluiti nel patrimonio della società".

Avuto riguardo al secondo motivo di impugnazione del lodo per violazione dell'art. 808 ter secondo comma n. 4 c.p.c. per non essersi l'Arbitro attenuto alle "regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo" ed in particolare per non avere ottemperato al disposto della clausola compromissoria dello statuto che gli imponeva di decidere "secondo equità", il Tribunale ha ritenuto infondata la domanda dell'attore.

Il Tribunale, sul punto, ha richiamato il consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale il giudizio di equità non preclude l'applicazione di norme di diritto. In particolare il Tribunale di Roma ha osservato che "La Corte di legittimità ha invero da tempo affermato che il concetto di equità e quello di diritto non sono in antitesi tra loro, ma si trovano in uno stretto rapporto di continuità: l'equità richiede sempre il riferimento ad una fattispecie normativa essendo racchiusa nell'ambito dei "valori positivi" formatisi nella società o nella comunità a cui appartengono i litiganti (v. Cass. 28.1.2004 n. 8717). La Cassazione ha inoltre precisato che gli arbitri di equità ben possono decidere secondo diritto, allorché essi ritengano che equità e diritto coincidano, senza che sia necessario per loro affermare e spiegare una tale coincidenza, che, potendosi considerare presente in via generale, può desumersi anche implicitamente (v. Cass.13.3.1998 n. 2741)".

Da ultimo il lodo non è stato neppure ritenuto annullabile per la dedotta violazione dell'art. 808 ter secondo comma n. 5 c.p.c. per non aver l'arbitro accordato la chiamata in causa della società terza, come invece richiesto dal socio attore.

Tale statuizione merita particolare interesse in quanto il Tribunale ha ritenuto immune da censure la decisione dell'arbitro di non chiamare in causa una società terza rispetto alle parti di causa per non aver quest'ultima aderito alla clausola compromissoria. Al riguardo, precisa il giudicante, "la Suprema Corte ha infatti osservato che la violazione dei limiti del mandato conferito agli arbitri (analogamente alla inosservanza del principio del contraddittorio) rileva ai fini della impugnazione del lodo ai sensi dell'art. 1429 c.c., cioè come errore che abbia inficiato la volontà contrattuale espressa dagli arbitri e, di conseguenza, comporta un'indagine sull'effettivo contenuto del mandato stesso, (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1097 del 21/01/2016, Rv. 638505 - 01)" e pertanto la mancata adesione di un terzo alla clausola compromissoria impedisce lo svolgimento del procedimento arbitrale con una pluralità di parti.

Tale principio, del resto, era stato già enunciato dalla dottrina, la quale aveva evidenziato che, qualora manchi l'adesione del terzo interveniente al contratto di mandato arbitrale, non è ammissibile lo svolgimento di un arbitrato con pluralità di parti in quanto non è consentita alcuna deroga al principio rigorosamente consensuale dell'arbitrato (cfr. BOVE, La nuova disciplina dell'arbitrato, Il nuovo processo civile, BOVE-CECCHELLA, 2006, p. 77; DELLA PIETRA, diritto dell'arbitrato, Verdi, 2005, p. 246). La dottrina ha ulteriormente osservato che non può produrre effetti nei confronti del terzo la chiamata in arbitrato avanti ad un collegio arbitrale già formatosi (v. SALVANESCHI, L'arbitrato con pluralità di parti (una pluralità di problemi), in RDProc, 2002, 692) rispetto alla quale il terzo risulta estraneo per mancata accettazione della convenzione di arbitrato.

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*A cura degli Avv.ti Carlotta Seghi e Marco Greggio (m.greggio@greggio.eu)

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