Penale

Maglietta con la scritta “Auschwitzland”, scatta il reato di odio razziale

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 49346 depositata oggi, affermando che non scatta il diverso reato previsto dalla legge Mancino del 1993

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di Francesco Machina Grifeo

Indossare una maglietta con la scritta “Auschwitzland”, che rimanda al logo di “Disneyland” con il profilo del castello delle favole modificato in quello dei cancelli del campo di concentramento, “crea una associazione di immagini e concetti che è denigratoria dell’evento storico conosciuto come Shoah”. E come tale può essere punito per incitamento dall’odio razziale. Non scatta invece il diverso reato previsto dalla legge Mancino che punisce le formazioni razziste. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 49346 depositata oggi,accogliendo senza rinvio il ricorso della Procura a cui ha inviato gli atti per valutare se procedere per il diverso reato.

La donna che aveva indossato la maglietta a Predappio, in occasione dell’anniversario della marcia su Roma, era stata assolta dal Tribunale di Forlì . Era però imputata del diverso reato previsto dalla legge 205/1993, “Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”, la cd legge Mancino che recita: “Chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, è punito con la pena della reclusione fino a tre anni e con la multa da lire duecentomila a lire cinquecentomila”. Si tratta delle formazioni “aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

Secondo il giudice del merito, la scritta Auschwitzland non rientrava in questo caso. Il Pm aveva contestato questa conclusione sostenendo che il campo di concentramento di Auschwitz è divenuto un “simbolo indiscusso dei gruppi nazifascisti”.

Per la Prima sezione penale però “si tratta di una affermazione piuttosto generica (quale associazione, o movimento, in particolare?)”, priva inoltre di qualsiasi allegazione. In realtà, prosegue la decisione, “il campo di concentramento di Auschwitz è divenuto negli anni, proprio per l’enormità dell’evento che vi è accaduto, piuttosto un simbolo delle persone o dei gruppi che rifiutano la violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e tende, invece, ad essere rimosso nella comunicazione pubblica dalle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi cui si riferisce il pubblico ministero nel ricorso”.

Dunque, la contestazione del pubblico ministero “di aver ostentato un simbolo di una organizzazione avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” non è corretta.

La condotta contesta può però rientrare nella previsione dell’ultimo comma dell’articolo 604-bis del cod. pen. (nel testo modificato dall’ art. 2, comma 1, lett. i), Dlgs 21/2018) che punisce, in presenza di un concreto pericolo di diffusione, chi propaganda idee fondate “sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra”.

La decisione va dunque ugualmente annullata perché il giudice del merito avrebbe dovuto verificare se il fatto non poteva essere sussunto in questa diversa fattispecie penale.

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