Responsabilità

Malpractice medica, la ripartizione "interna" della responsabilità tra struttura e sanitario

La Cassazione interviene sui limiti quantitativi dell'azione di rivalsa/regresso della struttura sanitaria in tema di danni da malpractice medica, prospettando la soluzione ritenuta più conforme a diritto - ed in linea con la sopravvenuta legge n. 24 del 2007 - da adottarsi anche con riguardo ai fatti anteriori alla novella legislativa (Cass. 11/11/2019 n. 28987) .

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di Santo Spagnolo, Cinzia Bisicchia*



La struttura sanitaria risponde in solido con il medico operatore per i danni cagionati al paziente, anche se il danno sia imputabile alla sola negligenza dell'operatore; la solidarietà passiva, però, opera esclusivamente nei confronti del paziente/terzo danneggiato ed a sua tutela, in modo che questi possa agire per l'intero nei confronti di uno qualsiasi dei condebitori; non opera nei rapporti interni dove la responsabilità è ripartita in proporzione alle rispettive colpe tra i condebitori.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28987 dell'11 novembre 2019 , è intervenuta sui limiti quantitativi dell'azione di rivalsa/regresso della struttura in tema di danni da malpractice medica, prospettando la soluzione ritenuta più conforme a diritto - ed in linea con la sopravvenuta legge n. 24 del 2007 - da adottarsi anche con riguardo ai fatti anteriori alla novella legislativa.

La ricostruzione della Suprema Corte parte dall'assunto che, anche prima che ciò emergesse a chiare lettere dall'art. 7, comma 1, della legge Gelli-Bianco - il quale prevede che la struttura sanitaria che, nell'adempimento della "propria obbligazione", si avvalga dell'opera degli esercenti la professione sanitaria, risponde ai sensi degli artt. 1218, 1228 c.c. - l'obbligo risarcitorio della struttura va ricondotto alla responsabilità per fatto degli ausiliari di cui all'art. 1228 c.c., da considerare come responsabilità per fatto proprio (e tale è l'innovazione di pensiero contenuta nella richiamata pronuncia) e non come responsabilità indiretta per fatto altrui, in quanto l'attribuzione dell'incarico all'ausiliario integra una modalità organizzativa dell'esecuzione dell'obbligazione gravante sul debitore, "realizzandosi e non potendo obliterarsi, l'avvalimento dell'attività altrui per l'adempimento della propria obbligazione, comportante l'assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino".

Il fatto, quindi, di avvalersi di un'attività altrui, del medico, per adempiere una propria obbligazione (essendo, evidentemente, preclusa alla struttura - debitore contrattuale nei confronti del paziente/creditore - ogni possibilità di adempimento diretto) comporta, di per sé, l'assunzione del rischio per i danni eventualmente cagionati da questi al creditore (paziente/danneggiato), secondo la struttura della responsabilità da rischio d'impresa (cuius commoda eius et incommoda).

La ripartizione tra i soggetti coinvolti sul lato passivo avverrà applicando le regole dettate per il regresso del condebitore solidale dagli artt. 1298 e 2055 c.c., ivi compresa quella che presuppone la suddivisione in parti uguali.

Sussiste un'ipotesi eccezionale nella quale la rivalsa della struttura diviene integrale, ipotesi che ricorre ove l'evento pregiudizievole sia scaturito da una condotta del sanitario (imprevedibile e improbabile) completamente dissonante rispetto alla pianificazione dell'ordinaria prestazione dei servizi funzionali alle attività diagnostiche e terapeutiche.

Si tratta, pertanto, di un'ipotesi che, tenuto conto delle plurime aggettivizzazioni contenute nella richiamata pronuncia con riguardo all'assorbente responsabilità del medico (intesa come grave, ma anche come straordinaria, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile "malpractice"), non pare possa ricondursi al caso di malpractice sanitaria da colpa grave del medico, ovverosia alla condotta di colui che agisce con inescusabile imprudenza, omettendo di osservare anche quel grado minimo ed elementare di diligenza che tutti, in quell'ambito, osservano e avrebbero osservato (Corte dei Conti Calabria, sentenza n. 111/2015).

E' sulla struttura che grava l'onere di vincere la presunzione di pari responsabilità rispetto alla verificazione del danno. Non può ritenersi sufficiente, a tal fine, che l'inadempimento sia da imputarsi alla condotta del medico, occorrendo considerare il duplice titolo in ragione del quale la struttura viene chiamata a rispondere del proprio operato.

La responsabilità della struttura sanitaria è una responsabilità definita a doppio binario, giacché essa origina da due fatti distinti: quella derivante dall'inadempimento di quegli obblighi che presiedono per legge all'erogazione del servizio sanitario (i quali, ad esempio, danno luogo a responsabilità per infezioni nosocomiali, per difetto di organizzazione e per carenze tecniche, per mancata sorveglianza); quella derivante dall'attività illecita, che trova occasione nell'erogazione del servizio sanitario, imputabile a coloro della cui attività il nosocomio si sia avvalso ex art. 1228 c.c..

Ne discende che è onere della struttura dimostrare non soltanto la colpa esclusiva del medico, ma la derivazione causale dell'evento dannoso da una condotta del sanitario del tutto dissonante rispetto al piano dell'ordinaria prestazione dei servizi di spedalità, in un'ottica di ragionevole bilanciamento del peso delle rispettive responsabilità sul piano dei rapporti interni (cfr. Cass. n. 24688/2020).

Rimane, tuttavia, incerto – non essendo la giurisprudenza intervenuta in termini chiarificatori sul punto – se la prova della colpa grave del medico valga effettivamente a sancire il diritto di rivalsa integrale della struttura ovvero se, a tal fine, sia necessaria quell'abnormità di condotta da parte del medico, radicalmente ed ontologicamente lontana dalle ipotizzabili, e, quindi, prevedibili, scelte, anche imprudenti, di un professionista nell'esecuzione della prestazione sanitaria, tale da doversi ricondurre, in buona sostanza, a fattispecie-limite, di improbabile verificazione, al pari del caso esemplificativo richiamato in Cass. n. 28987/2019: "si pensi al sanitario che esegua senza plausibile ragione un intervento di cardiochirurgia fuori della sala operatoria dell'ospedale".

Se così è, può sostenersi l'impredicabilità di un diritto di rivalsa integrale della struttura nei confronti del medico, salvo rare eccezioni, in cui la struttura riesca a fornire, in ultima analisi, la prova dell'interruzione del nesso causale tra la fisiologica attività economica d'impresa (esercitata a mezzo dell'operatore sanitario) e il danno lamentato dal paziente.

Si segnalano, tuttavia, pronunce di merito, successive a Cass. n. 28987/2019, che, in linea al precedente orientamento giurisprudenziale, e alla qualificazione della responsabilità della struttura, ex art. 1228 c.c., come responsabilità "indiretta", dichiarano il diritto di rivalsa integrale della struttura nei confronti dell'operatore sanitario sul presupposto del mero accertamento della colpa esclusiva del medico nella produzione dell'eventus damni (Tribunale Messina, sentenza n. 679/2020, Tribunale di Catania, sentenza n. 3800/2020).

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*Commento a cura degli avv.ti Santo Spagnolo, Cinzia Bisicchia- Studio legale Spagnolo & Associati, Partner 24 ORE Avvocati

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