Penale

Maltrattamenti in famiglia per la madre manesca

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di Andrea Alberto Moramarco

Il genitore che picchia il figlio con sberle o con oggetti contundenti commette il reato di maltrattamenti in famiglia - e non di semplice abuso di mezzi di correzione - anche se le condotte violente sono poste in essere con una finalità correttiva ed educativa. Lo ha ricordato la Corte d'appello di Trento nella sentenza 185/2015, condannando una donna thailandese al reato di cui all'articolo 572 del codice penale, ritenendo irrilevante altresì la circostanza che il modo manesco di crescere la figlia era per la madre proprio della concezione culturale di cui la stessa era portatrice.

Il caso - La violenta protagonista della vicenda, sposata con un uomo italiano, era stata denunciata dal marito, una volta avviato l'iter della separazione, per le frequenti percosse e maltrattamenti cui aveva sottoposto la loro figlia di cinque anni, sin da quando la piccola aveva l'età di due anni. Nel procedimento di primo grado svoltosi dinanzi al Gup era emerso che la donna, quando la piccola “si comportava male”, colpiva abitualmente quest'ultima con utensili da cucina e altri oggetti contundenti, o le attorcigliava i lobi delle orecchie, o ancora la pizzicava in più punti del corpo. E ciò avveniva non solo in casa, ma anche presso la piscina e la scuola materna che frequentava la bambina.
La madre veniva così imputata per il reato di maltrattamenti in famiglia, ma il giudice la condannava al meno grave delitto di abuso dei mezzi di correzione, in quanto la perizia svolta nell'incidente probatorio aveva escluso in capo alla piccola il sorgere di alcun disturbo postraumatico in ragione dagli atteggiamenti materni, «non potendo avere valore esimente la particolare concezione “pedagogica” - di cui la madre era portatrice - essendo stata cresciuta in Thailandia con identici metodi».

Le motivazioni - La Corte d'appello cambia però la lettura della vicenda in senso ancor più sfavorevole per la donna. Per i giudici, infatti, la riscontrata assenza di un disturbo postraumatico da stress in capo alla bambina non assume alcuna rilevanza in ordine alla configurabilità del reato di maltrattamenti, in quanto l'accertamento di una malattia derivante dalla condotta violenta integrerebbe al più l'aggravante prevista dal comma 2 dell'articolo 572 cp. Nel caso di specie, poi, è dimostrato che le percosse non erano episodiche, bensì costanti nel percorso di crescita ed educazione della piccola. E ciò nel nostro ordinamento non può essere tollerato: «le finalità di correzione educazione del minore, infatti, «non possono essere perseguite utilizzando un mezzo violento […] né diversi criteri possono essere adottati in relazione al particolare bagaglio socioculturale di cui è portatore l'agente». E tali principi «non sono suscettibili di deroghe di carattere soggettivo e non possono essere oggetto, da parte di chi vive e opera nel nostro territorio ed è quindi soggetto alla legge italiana, di valida eccezione di ignoranza scusabile».

Corte d'Appello di Trento - Sezione penale - Sentenza 12 giugno 2015 n. 185

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