Mediazione obbligatoria: in appello la condizione di procedibilità resta valutazione discrezionale
Tale elasticità normativa, specifica la Cassazione con la pronuncia 25155/2020, trae origine dalla ratio dell'istituto della mediazione
Nelle controversie assoggettate al procedimento di mediazione obbligatoria, al giudice di appello è precluso rilevare l'improcedibilità della domanda, avendo quest'ultimo la sola facoltà di creare la condizione di procedibilità alla luce di una valutazione discrezionale.
Il principio, già enunciato dalla Corte di cassazione, è stato ora ribadito in una recente pronuncia (cfr., Cass. civ., Sez. III, sentenza 10 novembre 2020, n. 25155, Pres. Travaglino, Rel. Graziosi).
Nel caso in esame, il giudice di pace aveva accolto la domanda di risarcimento dei danni subiti da un immobile di proprietà della ricorrente, proprietaria e locatrice, nei confronti del conduttore. In sede di gravame, tuttavia, la pronuncia veniva riformata con rigetto della domanda risarcitoria e condanna dell'appellata alla refusione delle spese di entrambi i gradi di merito.
In sede di legittimità, la ricorrente, tra i motivi di ricorso, aveva denunciato anche la violazione ed errata applicazione dell'art. 5, comma 2, del D.lgs. n. 28 del 2010 a mente del quale "…Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione…".
Con tale doglianza, in particolare, la ricorrente aveva inteso censurare la valutazione operata sul punto in sede di gravame dal tribunale, il quale, muovendo dal dato testuale, secondo cui il giudice d'appello "può", e quindi non deve, invitare le parti alla mediazione, aveva ritenuto che, nel caso in esame, disporre il tentativo di conciliazione avrebbe violato il principio della ragionevole durata del processo, essendo già stato espletato il primo grado del giudizio. Secondo la prospettazione di parte ricorrente, tuttavia, proprio l'incipit della disposizione in esame ("…Fermo quanto previsto dal comma 1-bis…") deponeva nel senso che l'invio delle parti in mediazione non soggiace a una valutazione discrezionale neppure in appello, ove, come nel caso in esame (lite locatizia), si tratti di controversie assoggettate a mediazione obbligatoria. Logica conseguenza di tale lettura esegetica è che il tribunale, quale giudice di appello, avrebbe dovuto rilevare d'ufficio l'assenza di mediazione e conseguentemente dichiarare improcedibile la domanda, assegnando alle parti il termine di legge per proporre domanda di mediazione.
La Suprema Corte alla doglianza di parte ricorrente oppone i principi enunciati in un precedente arresto (Corte di cassazione Sez. III, sentenza 13 dicembre 2019, n. 32797, Presidente Vivaldi, Relatore Scoditti) nel quale, ribadito che ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis del D.lgs. n. 28 del 2010, l'improcedibilità della domanda giudiziale deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza del giudizio di primo grado, conclude che, in mancanza della tempestiva eccezione sollevata dal convenuto o rilevata dal giudice di primo grado, è poi precluso al giudice di appello rilevare l'improcedibilità della domanda, essendo accordata a quest'ultimo, proprio ai sensi dell'art. 5, comma 2, del D.lgs. n. 28 del 2010, la sola facoltà di creare la condizione di procedibilità alla luce di una valutazione discrezionale.
La decisione in epigrafe, pertanto, ribadisce che permane, in capo al giudicante, uno spazio di discrezionalità per inserire - e anche in appello -, sottraendola al potere dispositivo delle parti che ne esce limitato, la fase di mediazione quale soglia di procedibilità qualora tuttavia egli reputi che le caratteristiche della controversia ne arrechino l'opportunità: ciò, si osserva, è infatti previsto dal citato art. 5 comma 2, del D.lgs. n. 28 del 2010, per cui, nei limiti dettati dai commi 1-bis, 3 e 4, prima della udienza di precisazione delle conclusioni o, nel caso in cui questa non sia prevista, prima della discussione della causa, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione e in tal caso, il predetto esperimento è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello.
Tale elasticità normativa conferita alla condizione di procedibilità, specifica la Corte, trae origine, a ben guardare, proprio dalla ratio dell'istituto della mediazione quale condizione di procedibilità, ratio che deve essere identificata nella celerità del processo dal punto di vista - che ne è l'altra facies – della deflazione del processo stesso qualora si appalesi come strumento superfluo.
Ratio, prosegue la decisione, che è stata così riconosciuta inequivocamente dalla giurisprudenza di legittimità la quale ha espressamente affermato che l'art. 5, del D.lgs. n. 28 del 2010 rappresenta una norma che "…è stata costruita in funzione deflattiva e, pertanto, va interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell'efficienza processuale. In questa prospettiva la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, mira ... a rendere il processo la extrema ratio", ragion per cui, d'altronde, "l'onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo". Rilievo, quest'ultimo, specifica la Corte, che evidenzia come, pur dinanzi alla nettezza del testo normativo in ordine al limite temporale previsto per eccepire il difetto di mediazione, parte ricorrente ha posto una questione manifestamente infondata, nonostante l'essere stata proprio lei gravata dall'onere di avviare la mediazione, quale parte interessata al giudizio nella sua prospettazione (per cui avrebbe subito danneggiamenti all'immobile che aveva locato, così che sarebbero insorti diritti risarcitori): il che - non si può non rilevare, seppur per inciso - approssima assai l'utilizzazione del ricorso per cassazione, stigmatizza e conclude sul punto la Corte, all'abuso del diritto processuale.
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