Amministrativo

Migranti, il Governo inserisce i “paesi sicuri” in un decreto legge

Il Consiglio dei ministri di ieri, dopo le polemiche seguite alla mancata convalida dei trattenimenti in Albania da parte del Tribunale di Roma, ha approvato un decreto-legge che introduce disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale

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di Francesco Machina Grifeo

Per il Governo la questione è chiusa. Con l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri di ieri di un decreto-legge che aggiorna l’elenco dei Paesi di origine sicuri, giudici e tribunali non potranno far altro che adeguarsi. Non è più infatti una fonte secondaria - e cioè un decreto interministeriale - a qualificare come sicuri o meno gli Stati esteri di provenienza dei migranti ma un atto avente forza di legge. “Mi auguro che non accada” il ripetersi di decisioni come quella del Tribunale di Roma, che nei giorni scorsi non ha convalidato il trattenimento dei migranti all’interno del cpr in Albania. Così il Guardasigilli Carlo Nordio secondo cui “il giudice non può disapplicare: se la ritiene incostituzionale può fare ricorso alla Consulta”.

Il Dl che porta la firma del Presidente Giorgia Meloni, del Ministro degli affari esteri Antonio Tajani, del Ministro dell’interno Matteo Piantedosi e del Ministro della giustizia Carlo Nordio, introduce “disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale” e ammette nella lista dei paesi per i quali è previsto il rimpatrio: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. Dall’elenco di 22 Paesi, vengono invece eliminati Nigeria, Camerun e Colombia.

La lista dei Paesi sicuri, spiega il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi “diventa norma primaria e consente ai giudici di avere un parametro rispetto ad un’ondivaga interpretazione” e “serve a cercare un’accelerazione della procedura, per fare in modo che il ricorso alla richiesta di protezione non sia per la gran parte strumentalizzato per eludere il sistema delle espulsioni”.

E sempre in conferenza stampa il Ministro Nordio ha affermato che il provvedimento “nasce da una sentenza della Corte di giustizia europea molto complessa e articolata e anche scritta in francese, probabilmente non è stata ben compresa o ben letta” dai giudici.

Per il sottosegretario Alfredo Mantovano se ci si fermasse ai provvedimenti del Tribunale di Roma, “il meccanismo dei rimpatri semplicemente non esiste più e dovremmo rendere conto in sede europea del perché non tuteliamo i nostri confini”. Invece, prosegue, “l’elenco dei Paesi sicuri è meditato, non apodittico. E proprio in ossequio alla sentenza della Corta di giustizia europea, sono stati estromessi Paesi che contengono aree territoriali non sicure: Nigeria, Camerun e Colombia”.

Infatti, la Corte Ue, sentenza C-406/22 del 4 ottobre scorso, ha affermato che l’articolo 37 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che è contrario alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro quando alcune parti del suo territorio non soddisfano le condizioni previste.

Intanto, si fa sempre più teso il clima tra Governo e magistratura dopo che tutti i componenti togati del Csm delle correnti di Area, Magistratura democratica e Unicost e gli indipendenti Fontana e Mirenda, ma non quelli di Magistratura indipendente, hanno depositato la richiesta di apertura di una pratica a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia dei magistrati. “Le critiche alle decisioni giudiziarie non possono travalicare il doveroso rispetto per la magistratura”, si legge nel documento, dove si citano “le dichiarazioni di queste ore da parte di importanti rappresentanti delle istituzioni” che “alimentano un ingiustificato discredito nei confronti della magistratura”. Le firme della petizione sono 16, la maggioranza del Consiglio.

Molto critici anche i penalisti per i quali il decreto non risolve la questione. Il Giudice, spiegano, deve valutare, infatti, anche d’ufficio se il Paese di provenienza del migrante sia sicuro secondo i principi espressi dalla stessa Corte, anche in contrasto con quanto stabilito dallo Stato membro. E allora se il paese di provenienza non deve attuare violazioni dei diritti umani, neppure in singole porzioni del proprio territorio o nei confronti di limitate categorie di persone, proseguono, “ciò comporta che non possano più ritenersi tali, ad esempio, la Tunisia, che punisce con il carcere i rapporti omosessuali, il Bangladesh, che perseguita le minoranze etniche e religiose, o l’Egitto, che perseguita anche gli “oppositori politici, i dissidenti” e perfino i “difensori dei diritti umani”.

Inevitabilmente, spiegano le Camere penali, accadrà di assistere a valutazioni difformi da parte dei giudici e allora è necessario che sia l’Europa a fissare le regole “stabilendo quale Paese possa considerarsi sicuro e quale no, anziché delegare agli Stati membri tale compito e quindi delegare al giudice dello stesso Stato il controllo sulla legittimità dell’esercizio di tale potere”. “Non si tratta – concludono - di questione che possa essere risolta dal Governo per decreto”.

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