Nelle tentate lesioni aggravate rientra in automatico lo stalking se si procede d’ufficio
A carico del soggetto condannato a un anno e quattro mesi per tentate lesioni aggravate nei confronti di una donna per averle messo del veleno nella bottiglia dell'acqua deve sussistere anche il riconoscimento del collegato delitto per stalking. Lo precisa la Cassazione con la sentenza n. 50018/2017.
La Corte ha chiarito che per poter includere il reato ex articolo 612-bis del codice penale è stato necessario applicare al delitto tentato le medesime regole valide per quello consumato. E allora è evidente che nel reato di lesioni la procedibilità d'ufficio scatta se la prognosi probabile a seguito dell'illecito superi i 20 giorni di prognosi. Ipotesi questa che sicuramente ricorreva nel caso concreto visti gli effetti del veleno posto nella bottiglia dell'acqua. Secondo la Corte quindi il reato di stalking era assolutamente collegato e compreso da quello più grave di tentate lesioni. E così come non era necessario procedere alla querela di parte sul fronte delle lesioni altrettanto poteva dirsi sul fronte dello stalking. Di fatto la donna a seguito dell'accaduto aveva vissuto un forte stato d'ansia e preoccupazione per la sua incolumità personale.
Non è stata accettata, quindi, la tesi della difesa secondo cui il delitto “satellite” sussisteva solo ove fosse stato consumato. Si legge per concludere nella sentenza che “laddove ricorra una delle circostanze indicate dal secondo comma dell'articolo 582 del codice penale (lesione personale) può certamente prescindersi da più o meno ragionevoli pronostici sull'entità delle lesioni che si sarebbero potute produrre in danno del soggetto passivo, che invece la difesa sollecita invitando ad avere riguardo agli accertamenti peritali e al più o meno elevato grado di tossicità delle sostanze con cui era stata contaminata l'acqua destinata a essere consumata dalla donna. E nella fattispecie concreta la rubrica contiene l'espresso richiamo al citato capoverso dell'articolo 582, in relazione agli articoli 585 e 577, comma 1, n. 2 del codice penale in ragione dell'impiego di mezzo venefico o comunque insidioso”.
Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 2 novembre 2017 n. 50088