Amministrativo

Niente fondi del Fus al circo che viola le norme ammistrative sulla detenzione degli animali

Secondo il Consiglio di Stato la violazione di una qualsiasi disposizione dettata in materia può determinare la mancata erogazione del supporto

di Camilla Insardà

L'articolo 1 della legge 163/1985 istituisce, presso il ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, il Fondo unico per lo spettacolo, ossia un meccanismo economico-finanziario predisposto per il sostegno e la promozione delle manifestazione e delle iniziative (teatrali, cinematografiche, musicali, circensi, ecc.) organizzate da enti, imprese ed istituzioni del settore.
Ad occuparsi dei "Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo Unico per lo Spettacolo, di cui alla Legge 30 aprile 1985 n. 30" è il decreto ministeriale 1 luglio 2014, recante una dettagliata disciplina del procedimento per la concessione delle risorse.
La sentenza 3 gennaio 2023 n. 116 del Consiglio di Stato si occupa della mancata erogazione del beneficio a favore del titolare di un circo, per irregolare detenzione di animali pericolosi, penalmente accertata. È subito evidente come la questione "finanziaria" si intrecci – e dipenda – dall'adeguata tutela riconosciuta alla fauna utilizzata nelle esibizioni.

I requisti di accesso ai fondi
Tornando alla normativa dettata dal MiBACT, il Capo V prevede una serie di norme per il "Sostegno alle attività circensi e di spettacolo viaggiante", definendo l'impresa circense, potenziale destinataria del contributo, all'articolo 31, come "quella che, […], presenta al pubblico uno spettacolo nel quale si esibiscono clown, ginnasti, acrobati, trapezisti, prestigiatori, animali esotici o domestici ammaestrati".
L'articolo 33 elenca poi i requisiti di cui tali soggetti devono essere in possesso per ottenere il contributo del F.U.S. e la documentazione che deve allegata alla domanda da presentare all'Amministrazione.
Ad essere centrale, nel caso de quo, è il comma III, lettera e) della disposizione, che richiede, a pena di inammissibilità, la presentazione di un'autocertificazione ex articolo 46 del Dpr 445/2000 di non aver riportato condanne definitive per delitti contro il sentimento per gli animali e di non aver violato le normative nazionali ed europee sulla loro "protezione, detenzione e utilizzo".

Il caso esaminato
La fattispecie concreta ha per protagonista il titolare di un circo, destinatario di un decreto penale di condanna per detenzione di animali pericolosi senza motivata autorizzazione del Prefetto, ex articolo 6 della legge 150/1992.
Vistosi negare dal MiBACT l'erogazione del contributo del Fus., l'impresario ha impugnato il provvedimento, la cui legittimità è stata dapprima confermata dal Tar per il Lazio e successivamente, con la decisione 116/2023 ora in commento, anche dal Consiglio di Stato.
Facendo propria l'interpretazione estensiva di "tutela degli animali", proposta dal MiBACT, il Collegio ha evidenziato come il requisito ex articolo 33, comma III, lettera e) richieda il rispetto dell'intera normativa dettata in materia, senza operare distinzioni fra norme protezionistiche e norme organizzative. Di conseguenza, la violazione di una qualsiasi disposizione dettata in materia può determinare (essendo una scelta amministrativa discrezionale) la mancata erogazione del supporto, potendo eventualmente incidere il diverso disvalore normativo solo sul trattamento sanzionatorio.

Un'ampia concezione di tutela della fauna
In realtà, questa più ampia concezione della tutela della fauna emerge già dal testo dell'articolo 6 della legge 150/1992, recentemente abrogato dal Dlgs 135/2022. Come si è accennato poco sopra, la norma imponeva il divieto di importare e di possedere animali pericolosi per la salute e l'incolumità pubblica, sottoponendo l'eventuale detenzione alla motivata autorizzazione del Prefetto, previo espletamento degli opportuni controlli a garanzia del benessere degli animali, oltre che dell'incolumità e della salute pubblica.
In questo senso, il Consiglio di Stato ha riconosciuto alle preliminari verifiche del Prefetto una doppia valenza, formale/organizzativa – in quanto finalizzate all'effettivo rilascio dell'autorizzazione alla detenzione – e sostanziale/protezionistica – perché comunque dirette ad assicurare agli animali un'adeguata protezione .
La nuova esegesi della normativa sugli animali si riflette anche sugli aspetti processuali, riguardanti in particolare la forma del provvedimento di condanna per le suddette infrazioni, ostativo alla concessione del contributo.
Nel caso di specie, l'appellante era stato colpito non da una sentenza definitiva, ma da un decreto penale di condanna, da ritenersi (a suo dire) inefficace, ex articolo 460, cmma V Cpp nel giudizio civile ed amministrativo. Tuttavia, non vi sono dubbi circa l'irrilevanza della questione, dovendosi fornire al concetto di "violazione" ex articolo 33, comma III, lettera e) del Dm 1 luglio 2014 un'interpretazione letterale, che non pone alcun limite di forma.
Sulla base di questi principi, il rigetto dell'appello cui è pervenuto il Consiglio di Stato, con sentenza del 3 gennaio 2023 n. 116, è sicuramente logico e condivisibile.

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