Famiglia

Notificazioni: il coniuge separato quale "persona di famiglia"

Il ricorrente aveva adito la Suprema Corte per la cassazione della sentenza con cui la Corte di Appello di Bari aveva rigettato il reclamo dallo stesso proposto, ex art. 18 L.Fall., avverso la sentenza dichiarativa di fallimento emessa, a sua volta, dal Tribunale di Foggia, in data 17 febbraio 2017

di Francesca Ferrandi*

Con l'ordinanza n. 11228, resa il 28 aprile scorso, la Cassazione ha ribadito la qualità di "persona di famiglia" della moglie separata con pronuncia giudiziale e residente altrove, posto che il rapporto di coniugio cessa solo con la pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Il caso di specie. Il ricorrente aveva adito la Suprema Corte per la cassazione della sentenza con cui la Corte di Appello di Bari aveva rigettato il reclamo dallo stesso proposto, ex art. 18 L.Fall., avverso la sentenza dichiarativa di fallimento emessa, a sua volta, dal Tribunale di Foggia, in data 17 febbraio 2017.

In particolare, la Corte di merito, dopo aver ricordato che il ricorrente aveva proposto reclamo quale socio per l'intervenuta estensione del fallimento di una società di persone anche ai soci illimitatamente responsabili, ha, poi, osservato che le censure da lui sollevate in ordine all'invalidità delle notificazioni degli atti introduttivi del giudizio prefallimentare erano infondate. Secondo il giudice di seconde cure, infatti: la notifica effettuata presso l'indirizzo di posta elettronica della società, come risultante dal registro delle imprese, aveva avuto esito negativo; la notifica si era, dunque, perfezionata, presso la sede della società fallita, tramite la consegna alla moglie separata, qualificatasi all'Ufficiale giudiziario incaricato della notifica, quale "moglie incaricata della ricezione degli atti". Le relazioni di notificazione, il cui contenuto fa fede sino a querela di falso circa le attestazioni riguardanti l'attività svolta dall'Ufficiale giudiziario procedente, certificavano, dunque, che le notificazioni degli atti introduttivi del giudizio prefallimentare si erano perfezionate presso l'indirizzo della sede sociale e della residenza del socio (coincidenti), tramite la consegna alla moglie separata, "persona di famiglia", ai sensi dell'art. 139, comma 2, c.p.c. Secondo la Corte di Appello, quindi, nessuna violazione del diritto di difesa si era consumata ai danni della ditta individuale e del socio rispetto alla domanda di fallimento presentata dal creditore.

Il ricorrente ha lamentato quattro motivi di impugnazione: con il primo ha denunciato, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 18, per aver la Corte di Appello ritenuto definitiva la dichiarazione di fallimento della società; con il secondo, sempre ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 15 e art. 145 c.p.c., per aver ritenuto la Corte di merito valida la notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento indirizzata alla società, in quanto, a suo dire, l'unico soggetto legittimato a ritirare l'atto presso la sede della società era il legale rappresentante della fallenda, e non già la moglie separata.

Con il terzo motivo, poi, lamentava, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell'art. 139 c.p.c., per aver il giudice di secondo grado ritenuto valida la notificazione dell'istanza di fallimento al socio attuale ricorrente: da un lato, evidenziava come quest'ultima disposizione, introduca, nel nostro ordinamento processuale, una presunzione di conoscibilità dell'atto se quest'ultimo è consegnato a "persona di famiglia", con la precisazione che tale presunzione è iuris tantum e dovendosi, dunque, ammettere la prova contraria a carico di chi assume di non aver ricevuto l'atto, consistente nel dimostrare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario nella propria residenza; dall'altro, che la "persona di famiglia" a cui era stato consegnato l'atto, era la coniuge legalmente separata, residente in luogo diverso dal suo, a dimostrazione della mera occasionalità della presenza della donna nell'abitazione del socio che corrispondeva anche con la sede sociale della fallita.

Infine, con l'ultimo motivo, deduceva, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. Fall., art. 10 e art. 354 c.p.c., per non aver la Corte barese revocato il fallimento della società e, in subordine, per non aver rimesso gli atti al Tribunale di Foggia.

La notificazione mediante consegna a "persona di famiglia". Nell'esaminare il ricorso, la Suprema Corte ha dapprima dichiarato: inammissibile il primo motivo in quanto, il ricorrente non aveva interesse ad contestare la statuizione contenuta nella sentenza impugnata relativa alla carenza di legittimazione attiva del socio illimitatamente responsabile all'impugnazione della dichiarazione di fallimento della società; successivamente, infondato il secondo, dal momento che, per stessa ammissione del ricorrente, la notifica del ricorso per fallimento alla società era stata eseguita, nel caso di specie, proprio presso la sede della società fallenda, nelle mani di persona qualificatasi come addetta alla ricezione degli atti, con ciò dovendosi, in ogni caso, ritenere perfezionata la notificazione, ex art. 15, comma 3, L. Fall., dopo il tentativo infruttuoso di notificazione attraverso la pec della società fallenda.

Di particolare interesse si presenta il rigetto del terzo motivo, anch'esso ritenuto infondato.
Come noto, nell'ipotesi in cui la notificazione non avvenga in mani proprie, il destinatario deve essere ricercato nel comune di residenza e, precisamente, nella casa di abitazione o dove ha l'ufficio o esercita l'industria o il commercio, e, laddove non venga trovato in tali luoghi, l'Ufficiale giudiziario è tenuto a consegnare ivi l'atto a persona di famiglia o addetta alla casa, all'ufficio o all'azienda, trattandosi comunque di persone, la cui posizione giustifica, in caso di accettazione dell'atto senza esternazione di alcuna riserva, la presunzione di una sollecita consegna dello stesso al destinatario (per un approfondimento, v. F. GRAZIANO, La nozione di "persona di famiglia" ai fini della notifica ex art. 139 c.p.c. e la variazione dell'indirizzo del contribuente, in Riv. Giur. Trib., 2009, 12, 1069).

Ebbene, con la pronuncia de qua, gli Ermellini hanno confermato il costante orientamento, affermatosi fin dagli anni Novanta, secondo cui, in tema di notificazioni, la consegna dell'atto da notificare "a persona di famiglia", di cui all'art. 139 c.p.c., non postula necessariamente né il solo rapporto di parentela, a cui è equiparato quello di affinità, né l'ulteriore requisito della convivenza del familiare con il destinatario dell'atto, non espressamente menzionato dalla norma, risultando, al tal fine, sufficiente l'esistenza di un vincolo di parentela o di affinità tale da giustificare la presunzione che la "persona di famiglia" consegnerà l'atto al destinatario stesso, in base ad un rapporto di fiducia, basato sulla solidarietà connessa a questi vincoli familiari e sul dovere giuridico conseguente all'avvenuta accettazione della notifica (cfr. ex multis Cass. civ., 23 novembre 2018, n. 30393; Cass. civ., 25 luglio 2013, n. 18085; Cass. civ., 15 ottobre 2010, n. 21362 e Cass. civ., 12 maggio 2009, n. 10955).

A tal fine, quindi, la consegna ai suddetti parenti (o affini) può avvenire non solo laddove essi siano stati rinvenuti nella casa di abitazione del destinatario, ma anche nel caso in cui siano stati trovati nell'ufficio di lui o nel luogo in cui egli esercita l'industria o il commercio, non essendo richiesta la condizione di essere addetti all'ufficio o all'azienda come per le persone estranee alla famiglia.

Una scelta, quest'ultima che trova la sua ratio nel fatto che dal rapporto di parentela scaturisce la presunzione della consegna dell'atto al destinatario da parte di chi abbia con il predetto verosimili occasioni di frequenti incontri in uno dei luoghi indicati nell'art. 139 c.p.c., restando, in ogni caso, a carico di colui che assume di non aver ricevuto l'atto l'onere di provare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario in casa propria (e la carenza di alcuna pur temporanea convivenza), senza che, a tal fine, rilevino le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo (sul punto, v. A. PURPURA, Necessaria la prova della presenza occasionale per contestare la notifica dell'atto a "persona di famiglia"- Commento, in Fisco, 2019, 2, 268).

Pertanto, in ragione di quanto appena ricordato la Suprema Corte, nel caso oggetto del presente commento, ha affermato la qualità di "persona di famiglia" di colei che aveva ricevuto la notifica, quale coniuge dell'originario destinatario, sebbene ella fosse separata con pronuncia giudiziale e residente altrove, posto che il rapporto di coniugio cessa solo con la pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (cfr. Cass. civ., 25 luglio 2013, n. 18085).

Al riguardo, infatti, si ricorda come nel sistema attualmente vigente la separazione oltre ad essere il presupposto per l'attivazione del giudizio di divorzio, mantiene in vita il rapporto coniugale (ancorché allentato e caratterizzato dallo specifico regime scelto d'accordo tra le parti o individuato dal giudice); una caratteristica, questa, che impedisce di configurare in modo necessariamente simmetrico i due status, dal momento che quello di ex-coniuge deriva solo a seguito dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, mentre quello del perdurante coniugio rappresenta un effetto della separazione (per un approfondimento, v. F. DANOVI, Sentenza parziale di separazione e divorzio: sempre più rapida la via per la formazione del nuovo status, in Fam. e dir., 2020, 2, 128).

Conclusioni. Nel caso di specie, secondo gli Ermellini, il ricorrente è venuto meno all'onere di dimostrare il carattere solo occasionale della presenza del consegnatario (moglie separata) in casa propria, non rilevando al riguardo le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo che attestino una diversa residenza del coniuge non convivente del destinatario della notificazione.

Non solo, ma secondo la S.C., dalla lettura della sentenza impugnata, emerge che la prova testimoniale articolata dal ricorrente vertesse solo sulla veridicità dell'attestazione contenuta nella relata in relazione al luogo della ricezione della notifica, profilo quest'ultimo da contestare tramite la presentazione della querela di falso, non avendo il ricorrente articolato altra prova diretta, invece, a dimostrare, come era suo onere, il carattere occasionale della presenza del consegnatario in casa propria.

Inoltre, contrariamente a quanto affermato (e non provato) dal ricorrente, e cioè nel senso della dimostrazione della non "occasionalità" della presenza della moglie separata nella sua residenza, depone, a detta della Cassazione, l'ulteriore circostanza fattuale, neanche controversa tra le parti, secondo cui, nella relata di notificazione dell'Ufficiale giudiziario la donna si era dichiarata come "incaricata della ricezione degli atti" presso la residenza dell'altro socio, residenza che coincide con la sede della società fallenda. E ciò, ancora una volta, a dimostrazione di uno stabile vincolo tra la presenza della moglie separata (socia e "incaricata della ricezione degli atti") e la residenza anagrafica dell'altro socio, coniuge ormai dalla stessa separato.

Alla luce di quanto sopra ricordato, la Cassazione, ritenendo assorbito il quarto motivo ha, quindi, rigettato il ricorso e il ricorrente è stato condannato al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità.

* di Francesca Ferrandi, Dottore di ricerca presso l'Università di Roma "Tor Vergata"

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©

Correlati

Approfondimenti | Schede e sintesi

Schemi e tabelle