Il CommentoAmministrativo

Nullità del contratto individuale di lavoro nel pubblico impiego, quale applicazione della "certezza del diritto"

La P.A., nel perseguire i fini di interesse pubblico, deve sempre tener conto anche degli interessi privati coinvolti e deve bilanciarli rispettando le esigenze della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento

di Gianfranco Nunziata*

In materia di concorsi pubblici sono numerosi i ricorsi proposti dinanzi alla Giustizia Amministrativa avverso le clausole dei bandi che non permettono l'accesso e, quindi, avverso l'esclusione dal concorso.

Quindi, nel caso in cui il ricorrente ottenga dalla Giustizia Amministrativa la sospensiva potrà accedere alla prova concorsuale (spesso vengono anche fatte prove suppletive [Cfr. Tar del Lazio ordinanza n. 3589/22] e nel caso di superamento del concorso potrà avere un contratto a tempo indeterminato il quale sarà "sempre condizionato" dall'esito finale della causa).

Ebbene – soprattutto in ambito scolastico – spesso si verifica che ricorrenti vincitori di concorsi, immessi in ruolo – grazie all'esito di un'ordinanze cautelari positive – successivamente, laddove c'è una sentenza definitiva di rigetto sono destinatari di provvedimenti di licenziamento da parte della P.A.

Parliamo, di persone che hanno svolto ad es. la funzione di docenti di ruolo, che hanno quindi esaminato gli alunni, partecipato ai collegi docenti, esami di stato, ecc.

Quindi, a partire dalla conclusione del contratto, la P.A. non esercita più i poteri di carattere autoritativo, ma agisce con le capacità proprie del datore di lavoro privato, sicché non può far valere la mancanza o il vizio della procedura concorsuale attraverso lo strumento tecnico-giuridico dell'autotutela. Infatti, la Cass. con sentenza n. 25761 del 2008 ha da tempo affermato che l'erronea auto qualificazione del potere in termini di autotutela non comporta che l'Ente debba integrare inadempimento perché il datore di lavoro pubblico è sempre tenuto al rispetto della legalità ed a conformare la propria condotta ai precetti inderogabili di legge, con la conseguenza che il giudice ordinario ben può diversamente qualificare l'atto adottato, ritenendolo illegittimo solo qualora riscontri l'insussistenza del vizio fatto valere dalla P.A.

Avverso il provvedimento di licenziamento, essendo un diritto soggettivo, la strada da intraprendere è quella dell'impugnativa dinanzi al Giudice del Lavoro, con le tempistiche previste dall'art. 32 del collegato lavoro (poi modificato dal dall'art. 1, comma 38, della legge n. 92 del 2012) chiedendo gli effetti previsti dall'art. 18 s.l., quindi, la reintegra così come stabilito dal d. lgs. n. 75/2017. Perciò, il licenziamento dovrà essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta e poi l'impugnazione (stragiudiziale) sarà inefficace se non sarà seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni dal deposito del ricorso nella cancelleria del Tribunale in funzione di giudice del lavoro.

Ad oggi la giurisprudenza maggioritaria è restia ad accogliere tale impugnativa, soprattutto in base all'assunto che ai sensi dall'art. 35, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 165/2001 [Trib. di Vallo della Lucania, sez. lav., ord. del 18.05.22, Trib. di Noc. Inf., sez. lav. sentenza del 23.06.2022, Consiglio di Stato, sezione III, del 29.10.2019, n. 7410, Cass. Civile n. 21528/2019] la nullità della procedura di reclutamento per violazione di norme imperative costituisce causa di nullità "virtuale" dei contratti di lavoro sottoscritti in esito ad essa, indipendentemente dalla circostanza che i lavoratori abbiano dato causa al vizio o ne abbiano avuto consapevolezza ovvero siano in totale buona fede. Difatti, occorre sempre partire dal presupposto che la procedura concorsuale costituisce l'atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, quindi, quando la stessa è illegittima ciò comporta la violazione della norma inderogabile dettata appunto dal D.lgs. n. 165 del 2001, art. 35 attuativo del principio costituzionale affermato dall'art. 97 Cost., comma 4 [Cass. n. 11951 del 2019, Cass. n. 34557 del 2019, Cass. 13800 del 2017, che ha ritenuto che nel settore scolastico fossero affetti da nullità i contratti stipulati in violazione delle norme speciali che disciplinano le modalità di reclutamento].

Per di più, qualora la procedura concorsuale è viziata ab origine, si è in tema di nullità che può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse nonché d'ufficio dal giudice, mentre l'azione per far dichiarare la nullità di un contratto non è, normalmente, soggetta a prescrizione. Pertanto, nei casi di instaurazione di un rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione in violazione di norme imperative di legge sono numerose le sentenze che hanno dichiarato nullo il contratto pur salvaguardando il trattamento economico percepito e maturato in relazione alla prestazione lavorativa data in applicazione dell'art, 2126 c.c., [Consiglio di Stato 3464/2011, 5362/2007, 4620/2007, Trib. Firenze 27.01.2011]. Inoltre, occorre considerare che sia in caso di nullità del contratto individuale di lavoro oppure sia in caso di annullamento della procedura di reclutamento gli effetti sono gli stessi.

Ebbene, la funzione del diritto è quella di rassicurare ciascuno nei rapporti con gli altri consentendogli di vivere, di scegliere e di programmare la propria vita. Indubbiamente, a tutela dei ricorrenti potrebbe soccorrere il principio dell'affidamento e certezza del diritto che consiste nella possibilità di conoscere la valutazione concreta dei comportamenti umani operata dal diritto positivo. Nell'ordinamento italiano il principio di affidamento e certezza del diritto, pur non essendo sancito nella Costituzione, è stato spesso applicato dai giudici amministrativi, con particolare riferimento all'irretroattività e all'intangibilità degli atti. Infatti, è la stessa Giustizia Amministrativa in una sentenza non troppo risalente ha riconosciuto che il notevole decorso del tempo e il superamento di un rilevante numero di esami universitari costituiscono elementi che giustificano, in modo più che consistente, l'applicazione del principio di certezza del diritto e che, quindi, in casi del genere, vi sia una situazione di affidamento, con avvio in buona fede di un articolato "percorso di studio" che va tutelato mantenendo la situazione giuridica e di fatto concretizzatasi [Consiglio di Stato sez. VI, 25.07.2019].

Inoltre, sempre il Consiglio di Stato con sentenza n. 4167/2020, ha riconosciuto l'applicazione dell'art. 4 comma 2 bis del D.L. del 30.06.2005, n. 115 convertito con legge 17.08.2005 n. 168, in relazione all'intervenuto superamento delle prove ed al loro inserimento nelle graduatorie. La norma in questione dispone che: «Conseguono ad ogni effetto l'abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d'esame scritte e orali previste dal bando, anche se l'ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela». L'effetto prodotto dalla norma, come chiarito nella sentenza cit., discende infatti dal conseguimento del titolo in quanto tale, a prescindere dal fatto che l'amministrazione lo abbia o no rilasciato con riserva dell'esito del processo nel merito [in senso contrario Consiglio di Stato sentenza n. 5154/2022].

Per di più, la Corte costituzionale, con la sentenza del 09.04.2009 n. 108, aveva dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità di tale disposizione, sulla base di alcune considerazioni che ne chiariscono lo scopo. Ad avviso della Corte, in primo luogo la norma non prevede una sanatoria, dato che non riguarda vizi o irregolarità già verificatisi, ma dispone per il futuro, disciplinando in via generale gli effetti dell'azione amministrativa. In particolare, essa disciplina il caso, che qui rileva, in cui un candidato sia stato ammesso con riserva ad una prova d'esame per effetto di un provvedimento cautelare e l'abbia in concreto superata: in tal caso, la norma stessa interviene rendendo irreversibile l'effetto così creatosi, a prescindere dall'esito nel merito del processo. La sua ragione ispiratrice è allora costituita dalla volontà, espressa dal legislatore, di proteggere l'affidamento del privato, il quale abbia superato le prove di esame e - in ipotesi - avviato in buona fede la relativa attività professionale, nonché l'interesse generale alla certezza dei tempi di accertamento dell'idoneità dei candidati e dei relativi rapporti da loro instaurati nello svolgimento dell'attività professionale di cui si tratta.

Per tale ragione, la Corte ha escluso che la norma violi da un lato la parità di condizioni dei candidati e dall'altro il diritto di difesa dell'amministrazione, perché l'effetto dell'abilitazione consegue pur sempre ad un nuovo accertamento dell'amministrazione stessa, che può riguardare, in potenza, chiunque dei candidati stessi. D'altronde, è opportuno segnalare che il Tar del Lazio ha statuito che «in considerazione della sopravvenuta assunzione in servizio del prof. [omissis] a tempo indeterminato in seguito alla proposizione dell'appello, vada dichiarata la sopravvenuta carenza d'interesse del ministero alla decisione del gravame. Appare dirimente a questo fine l'avvenuta stipula di contratto a tempo indeterminato con il prof. [omissis] da parte dell'ufficio scolastico regionale per la Campania per la classe di concorso a033 con decorrenza giuridica ed economica dal 1° settembre 2015 senza che risulti essere stata apposta riserva alcuna all'efficacia del contratto, condizionata all'esito della impugnazione. Dal comportamento della parte appellante nel suo insieme emerge in maniera evidente come sia venuto meno l'interesse a una decisione dell'appello nel merito» [così: Cons. Stato Sez. VI Sent., n. 4853/2016, Cons. Stato Sez. VI Sent., 19.12.2016, n. 5386 e Cons. Stato Sez. VI Sent., 19.12.2016, n. 5387, e Cons. Stato n. 6 del 2016, per cui «in questo contesto viene in rilievo, da parte dell'Ufficio, un adeguamento spontaneo - e non meramente consequenziale e come tale avente rilevanza provvisoria - alla misura cautelare. Dallo svolgersi della vicenda emerge l'adozione, da parte dell'Amministrazione, di un atto di acquiescenza, dal che consegue la cessazione della materia del contendere sulla controversia essendo come detto sopravvenuta una situazione nuova e diversa da quella esistente al momento della proposizione del ricorso di primo grado tale da rendere certa l'inutilità di una decisione di merito»].

Quindi, le tematiche alle quali il Giudice sarà tenuto ad affrontare sono: la certezza del diritto combinato con la tutela dell'affidamento "in ambito privatistico" e il generale principio di conservazione (art. 1367 c.c.) e la nullità del contratto di lavoro ai sensi del D.lgs. 165/2001.

La P.A., infatti, in ogni caso nel perseguire i fini di interesse pubblico, deve sempre tener conto anche degli interessi privati coinvolti e deve bilanciarli rispettando le esigenze tra l'altro della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento.

Per ciò che concerne - sempre nell'ottica di certezza del dritto – gli elementi costitutivi del legittimo affidamento sono: l'elemento oggettivo, soggettivo e cronologico.
L'elemento oggettivo, inteso come presupposto tale da rendere l'affidamento fattibile. Perciò, non può essere meritevole di tutela un affidamento che scaturisce da atti endo-procedimentali (inserimento in coda nella graduatoria di merito).
L'elemento soggettivo, inteso come presupposto tale da conferire legittimità all'affidamento, quindi, si sostanzia nella convinzione di avere raggiunto definitamente il titolo e l'utilità (si pensi chi viene immesso in graduatoria di un concorso "senza alcuna riserva ovvero clausola risolutiva")
Infine, sicuramente l'elemento cronologico è di fondamentale importanza perché il notevole lasso di tempo ad es. dalla decisione cautelare alla decisione definitiva non fa altro che cristallizzare gli effetti favorevoli nonché la "convinzione" di aver raggiunto definitivamente il bene della vita (il superamento del concorso).

I principi sopra esposti - è da evidenziare - rispondono all'esigenza di tutelare l'interesse generale al buon andamento della pubblica amministrazione.
Orbene, il principo di buon andamento della pubblica amministrazione è previsto dall'art. 97 della Cost. affinché l'interesse pubblico, si conformi ai criteri dell'efficacia ed efficienza.

Dunque, è immaginabile che la P.A., per tutelare la certezza dell'azione amministrativa, nel decidere se applicare i poteri previsti "dall'autotutela", nel caso di un atto illegittimo, possa optare di privilegiare l'interesse generale e, quindi, garantire la continuità e il buon andamento dell'azione stessa rispetto all'interesse a ripristinare la legalità violata perché l'annullamento di un atto da parte della P.A. deve essere preceduto da una valutazione puntuale in merito alla sussistenza di un interesse pubblico.

Ancora, alla medesima conclusione si può pervenire anche in base al c.d. generale principio di conservazione ex art 1367 c.c., secondo cui il contratto o le sue clausole devono essere interpretati nel senso in cui possano avere qualche effetto anziché nessuno. Coerentemente, gli stessi atti, in ossequio al principio di conservazione, devono essere interpretati nel senso che ne risulti privilegiata la legittimità, anziché il suo contrario.

Infine – sempre in merito alla certezza del diritto – è di fondamentale importanza considerare la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea.
La Corte di giustizia ha statuito che «il principio della certezza del diritto, per quanto importante sia, non va applicato in modo assoluto, ma in concomitanza col principio di legalità. La decisione se l'uno o l'altro di detti principi debba prevalere nel caso singolo dipende dal confronto fra l'in¬te¬resse pubblico e gli interessi privati in contrasto, ossia, da un lato, l'interesse dei beneficiari, cioè il fatto che essi potevano in buona fede ritenere di non dover pagare contributi sul rottame (…) e potevano amministrare le loro aziende confidando nella stabilità di tale situazione, d'altro lato, l'interesse della Comunità, il quale consiste nel regolare funzionamento del meccanismo di perequazione (…) interesse il quale impone di evitare che gli altri contribuenti sopportino in via definitiva le conseguenze patrimoniali di esenzioni illegittimamente concesse a loro concorrenti». Inoltre, la Corte ha sottolineato l'importanza del «fattore tempo», ed in particolare che la revoca debba avvenire «in un termine ragionevole».

E anche dopo aver evocato «il principio fondamentale di certezza giuridica – norma giuridica da osservarsi nell'applicazione del trattato – ...», la Corte ha evidenziato la necessità di bilanciare la certezza del diritto con altre esigenze ed interessi rilevanti [Corte di Lussemburgo del 22.03.1961].

In conclusione, in una società giuridicamente, sempre più complessa e aperta a contesti possibili, la speranza è che tutti gli operatori del diritto non si rassegnano ad applicare con freddezza e sistematicità le norme che non consentano la prosecuzione dei rapporti di lavoro successivamente annullati ma che considerino che la certezza del diritto come un ideale che deve essere realizzato a applicato nell'ordinamento. Dunque, un ruolo fondamentale spetterà indubbiamente all'interprete/operatore del diritto - che dinanzi ad un legislatore lento - dovrà avere la forza e sensibilità di considerare che la certezza è un valore meritevole di essere perseguito dagli ordinamenti giuridici e che la sua tutela non può venir meno dalla circostanza che il diritto è più o meno incerto.

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*A cura dell'Avv. Gianfranco Nunziata , Partner 24 ORE Avvocati