Penale

Pa responsabile per i danni ai terzi arrecati dal dipendente che persegue i suoi fini

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di Paola Rossi

Risponde dei danni arrecati a terzi dal proprio dipendente l'amministrazione pubblica quando la condotta illecita è resa possibile approfittando del ruolo e delle funzioni assegnate. Questo, in sintesi il principio pronunciato dalla Corte di legittimità con la sentenza n. 13799/15 depositata ieri.

Il principio delineato - La Corte di cassazione ha letteralmente colto l'occasione per delineare il nesso che lega la responsabilità penale personale del dipendente con la responsabilità civile dell'amministrazione verso i terzi danneggiati.
I giudici di legittimità affermano, infatti, esplicitamente di approfittare di questo giudizio per cercare di tirar delle conclusioni organiche dagli orientamenti finora emersi in Cassazione sull'individuazione del nesso che lega al comportamento del dipendente la responsabilità civile della Pa verso chi abbia da quel comportamento derivato un danno.

La responsabilità e l'esimente - L'unica piena esimente per la responsabilità della Pa - nel caso specifico esclusa dai giudici di merito, ma riconosciuta dalla Cassazione - è che i fatti siano imprevedibili e disorganici rispetto all'andamento dell'ente pubblico. Ma tale mancanza di collegamento è difficilmente sostenibile quando, di norma, il fatto illecito che arreca un danno a terzi è di fatto reso possibile proprio per il ruolo istituzionale affidato e svolto dal reo. Per cui proprio l'ufficio affidato al dipendente pubblico diventa l'occasione stessa del comportamento illecito o penalmente rilevante come in questo caso. In realtà i giudici affermano che in capo alla pubblica amministrazione è individuabile una responsabilità di tipo oggettivo come qualificata dall'articolo 2049 del Codice civile e che questa viene meno solo di fronte a illeciti realizzati attraverso il compimento di fatti disorganici e imprevedibili rispetto alla normale vita dell'ente pubblico. Tale esimente è - come affermano igiudici di legittimità - una circostanza insostenibile nel caso di episodi dove la collocazione pubblica del dipendente è proprio il motivo a base del rapporto diretto del dipendente con il terzo danneggiato e dell'induzione alla fiducia da parte di quest'ultimo sulla positività dell'agire della Pa.

L'orientamento respinto e quello seguito - La Corte in questa decisione respinge un orientamento di legittimità cui aveva esplicitamente aderito il giudice di appello e che ravvisa il nesso di responsabilità civile della Pa per i danni conseguenti al reato commesso dal proprio dipendente fin dove l'azione del reo è “immedesimata” con lo svolgimento delle attività istituzionali che gli sono affidate, seppure violando norme regolamentari o commettendo abuso di potere. Invece, «laddove l'illecito si concreta nel perseguimento di finalità personali dell'agente, di fatto sostituite a quelle della Pa e in contrasto con queste, viene meno il rapporto di immedesimazione organica» scatta la piena esimente da ogni responsabilità civile della pubblica amministrazione.
La Cassazione contrasta questo orientamento precisando che mai sarebbe possibile individuare tra le finalità istituzionali il perseguimento di fatti illeciti a danno di terzi. E prosegue ricordando la generica previsione dell'articolo 28 della Costituzione di una responsabilità - senza distinzioni tra fatti penalmente rilevanti o meno - della Pa verso i cittadini.
Quindi la scelta che fa l'amministrazione delle persone che pone alle proprie dipendenze e il successivo e immanente dovere di vigilare sull'andamento dei propri uffici la espone alla piena responsabilità per i danni verso i terzi - anorma dell'articolo 2049 del Cc - al di là che siano determinati dall'agire colposo o doloso del proprio dipendente. Come nel caso specifico dove oltre al reato di peculato ai danni della Pa il dipendente del ministero della Giustizia si era impossessato di denaro e titoli di privati che egli gestiva in ragione del suo ufficio.

Corte di Cassazione – Sezione VI – Sentenza 31 marzo 2015 n. 13799

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