Penale

Presupposti di configurabilità del reato di sfruttamento del lavoro

Nota a sentenza n. 24388/2022, pubblicata il 24 giugno 2022

di Tommaso Targa e Giuseppe Sacco*

Con la sentenza n. 24388/2022, pubblicata il 24 giugno 2022, la Cassazione (quarta sezione penale) ha definito gli elementi costitutivi della fattispecie del reato di sfruttamento del lavoro ex art. 603 bis cod. pen.. Esso è qualificabile come reato istantaneo con effetto permanente, potendo essere commesso attraverso l'assunzione del lavoratore sfruttato in condizioni di bisogno. Tuttavia, la norma penale incrimina non solo l'assunzione in sé, ma anche la condotta, protratta nel tempo, consistente nella utilizzazione o impiego di fatto del lavoratore. Di conseguenza, il comportamento del datore di lavoro è rilevante penalmente a partire dal momento in cui il lavoratore viene assunto e per tutto il tempo in cui il rapporto di lavoro continua in regime di sfruttamento.

Il fatto. La vicenda trae origine da un sequestro preventivo, disposto dal Gip presso il Tribunale di Lamezia Terme, di un rilevante importo a carico del legale rappresentante e dell'amministratore di fatto di una azienda, gravemente indiziati del reato di sfruttamento del lavoro. A seguito di una ispezione della Guardia di Finanza, è stato accertato che presso l'azienda venivano sistematicamente violate le disposizioni inderogabili, di legge e di contratto collettivo, poste a tutela dei lavoratori. Questi ultimi, a partire dall'assunzione, venivano informati che avrebbero dovuto lavorare per un numero di ore superiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva; in costanza di rapporto, hanno subito la unilaterale trasformazione dei loro contratti da full time a part time, percependo – da quel momento in poi - la retribuzione corrispondente al "formale" orario di lavoro part time, ma continuando a lavorare comunque un numero di ore pari al tempo pieno, oltre a svolgere ulteriori ore di lavoro straordinario; non fruivano di ferie, permessi, riposi settimanali. L'importo sequestrato è stato quantificato in misura pari all'ingiusto profitto conseguito dall'azienda attraverso l'omesso pagamento della retribuzione dovuta ai lavoratori per le ore di lavoro effettivamente prestate. Il sequestro è stato convalidato in sede di riesame con ordinanza del Tribunale di Catanzaro: ordinanza che è stata, quindi, impugnata con ricorso per cassazione e confermata in sede di legittimità.

La norma. Il reato è stato introdotto dall'art. 12 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 , convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. La norma penale è successivamente sostituita dall'art. 1, comma 1, della l. 29 ottobre 2016, n. 199 . L'attuale versione dell'art. 603 bis cod. pen., rubricato "Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro", dispone quanto segue:

"[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:

1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;

2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

[II]. Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

[III]. Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:

1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

2) la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;

4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

[IV]. Costituiscono aggravante specifica e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà:

1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;

2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;

3) l'aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro".

I motivi che hanno giustificato l'introduzione, nel 2011, di tale nuova fattispecie di reato erano connessi alla necessità – conseguente all'adozione di misure interne volte all'attuazione della direttiva 2011/36/UE, concernente la prevenzione e la repressione della tratta degli esseri umani e la protezione delle vittime - di colmare un vuoto normativo venutosi a creare fra gravi ipotesi di riduzione in schiavitù e tratta degli esseri umani (represse dagli art. 600 e ss. c.p.) e illeciti di natura contravvenzionale, in quanto tali di modesto disvalore penale (previsti dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 27 6, meglio noto come la c.d. "legge Biagi"), volti a reprimere alcune forme di intermediazione e interposizione illecita.

L'originaria formulazione della norma puniva l'intermediazione, che poteva essere realizzata solo dal caporale, con eventuale concorso nel reato del datore di lavoro ai sensi dell'art. 110 c.p.

Con la citata l. 29 ottobre 2016 n. 199, invece, è stato ampliato l'ambito applicativo della norma equiparando, sotto il profilo sanzionatorio, il c.d. caporalato alla condotta del datore di lavoro che assume e si avvale di manodopera.

Motivi di impugnazione. Il ricorso in cassazione è stato fondato sulla ritenuta violazione della disciplina della successione di leggi penali ex art. 2 cod. pen.. I ricorrenti hanno sostenuto che l'inclusione dei datori di lavoro, tra i possibili soggetti attivi del reato, è stata introdotta solamente nel 2016. Poiché i lavoratori di che trattasi erano stati assunti anteriormente all'introduzione del reato, i ricorrenti hanno sostenuto che la disposizione penale non sarebbe a loro applicabile, non potendo operare retroattivamente.
La Suprema Corte, rigettando il ricorso, ha evidenziato che il reato - per la sua natura permanente - viene commesso a partire dal momento in cui i lavoratori vengono assunti a condizioni non in linea con le previsioni di legge e di CCNL. Ma la commissione del reato non si consuma in questo momento, protraendosi per tutta la durata in cui in concreto si verifica lo sfruttamento dei lavoratori. Di conseguenza, il reato può essere commesso anche quando i datori di lavoro hanno assunto i lavoratori prima dell'introduzione della norma penale, ma hanno continuato a mantenerli in servizio, in condizioni di sfruttamento, successivamente all'entrata in vigore della suddetta norma, così come modificata dalla novella del 2016.

Con estrema chiarezza, la sentenza ha argomentato che "il reato si perfeziona attraverso modalità alternative che riguardano non solo l'assunzione ma anche l'utilizzazione o l'impiego di manodopera. Non è esatto, pertanto, sostenere che, ai fini della individuazione del momento perfezionativo del reato, debba aversi riguardo al solo dato primigenio dell'insorgenza del rapporto di lavoro … la lesione del bene giuridico protetto dalla norma permane finché perdura la condizione di sfruttamento e approfittamento; pertanto, a far data dal 4 novembre 2016 il datore di lavoro che assume, impieghi o utilizzi manodopera nella ricorrenza dei presupposti di scritti nel comma 1, n. 2, della citata norma, deve rispondere del reato di sfruttamento di manodopera".

Tale argomentazione della Suprema Corte appare in linea con la fattispecie di reato, il cui primo elemento costitutivo è costituito dalla condizione di sfruttamento che, come si può dedurre dalla dizione normativa, presuppone la reiterazione della condotta criminosa con la conseguenza che il singolo inadempimento (come potrebbe essere, ad esempio, la mera assunzione) nemmeno sarebbe idoneo a integrare la fattispecie.

Tale conclusione, dunque, oltre ad essere perfettamente in linea con il tenore letterale della norma penale, è coerente con l'intento del legislatore di punire lo sfruttamento, da intendersi come comportamento per definizione prolungato nel tempo. Pertanto, il reato è già di per sé integrato nel momento in cui avviene l'assunzione dei lavoratori a condizioni di sfruttamento, ma ovviamente il reato richiede anche l'effettiva applicazione di tali condizioni nella gestione del rapporto di lavoro e si protrae per tutto il tempo in cui queste condizioni contra legem vengono imposte ai lavoratori.

La sentenza, peraltro, ha sottolineato che il conteggio dell'importo sequestrato è stato correttamente effettuato tenendo conto delle retribuzioni non corrisposte a partire dal 2016, ossia da quando è stato introdotto il reato che i ricorrenti hanno commesso, proseguendo nella loro condotta illecita, iniziata anteriormente.

Da ultimo, la Cassazione ha anche definito la nozione di stato di bisogno: quest'ultimo non richiede che lo sfruttamento del lavoratore avvenga mediante costrizione fisica o morale. E' invece sufficiente che il datore di lavoro approfitti del contesto socio economico e della situazione personale del lavoratore per imporgli condizioni di lavoro inferiori agli standard di legge: condizioni che vengono accertate obtorto collo "per la necessità di mantenere un'occupazione, non esistendo, nel contesto in cui è maturata la vicenda, possibili reali alternative di lavoro".

*a cura di Tommaso Targa e Giuseppe Sacco, Studio Trifirò & Partners


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