Provocazione come attenuante della diffamazione se si concretizza in un'azione che prevarica la civile convivenza
Le offese veicolate su Facebook possono avere "giustificazioni" se contenute ai fatti attribuiti e non se mirano al pubblico disprezzo
La provocazione come attenuante o causa di giustificazione del reato di diffamazione scatta solo se si concretizza in un'azione che prevarica "oggettivamente" la forma della civile convivenza. Non scatta cioè la provocazione - come prevista dal Codice penale - per la sola percezione soggettiva di essere stati destinatari di atti al di fuori della civile convivenza. Stessa cosa va detta per l'attenuante di aver agito in stato d'ira, che non rileva sempre e comunque, ma solo se oggettivamente si è vittima del "fatto ingiusto" altrui. Così la Corte di cassazione con la sentenza n. 8898/2021 ha escluso le giustificazioni di due coniugi condannati per diffamazione ai danni di un ciclista del team che dirige il marito. Entrambi tramite facebook avevano utilizzato frasi offensive al riguardo dello sportivo considerandolo un bluffatore in ordine a un caso di sua assenza dalle gare per malattia certificata, cui seguiva - tra l'altro - un ricovero.
I ricorrenti pretendevano fosse loro riconosciuto lo stato d'ira indotto dal tenore di una telefonata occorsa tra il padre dello sportivo e il responsabile della squadra ciclistica. Ma la Cassazione ritiene congruo il ragionamento dei giudici secondo cui la violenza verbale del padre del ciclista era giustificata dall'affermazione del ricorrente che nel criticare l'assenza per malattia del figlio aveva aggiunto che lo avrebbe escluso anche da una seguente e importante gara a prescindere dal suo stato di salute. Quindi la minaccia di una ritorsione che ben poteva giustificare la reazione verbale dell'interlocutore. Mentre, al contrario, la reazione offensiva espressa dai due ricorrenti successivamente su facebook spezza quella contestualità tra offesa e reazione che può giustificare quest'ultima.
La Cassazione coglie anche l'occasione per spiegare quando affermazioni oggettivamente offensive possano essere giustificate. Nel caso concreto non sarebbe stato diffamatorio che i ricorrenti si appellassero all'organo di disciplina per manifestare le loro critiche al comportamento tenuto dallo sportivo e che loro, a torto o a ragione, ritenevano inaccettabile o contrario alla deontologia sportiva. In tale sede anche una critica sferzante o un'accusa specifica sarebbero rientrate nel perimetro dell'esimente dell'articolo 51 del Codice penale.
Il caso di Facebook pone poi un problema di insita maggiore offensività per l'ampia platea di chi viene a conoscenza delle opinioni espresse contro qualcuno. Sulla piazza virtuale, dice la Cassazione rileva - ai fini dell'inquadramento delle espressioni usate nella fattispecie della diffamazione - l'aver esposto non solo al pubblico ludibrio, ma addirittura al pubblico disprezzo, la persona messa nel mirino da chi scrive. Inoltre, nel caso specifico, oggetto dei post dei ricorrenti - al di là del limite della continenza delle espressioni nel caso concreto ampiamente superato - non era il fatto che aveva originato il disappunto cioè l'assenza per malattia, ma la persona stessa del ciclista, definito "suonato", "uomo di merda" e "briaco in bicicletta" con diretta lesione della reputazione e della considerazione sociale nei suoi riguardi.