Società

Rinuncia al concordato preventivo e inefficacia delle ipoteche giudiziali

Il regime di inefficacia delle ipoteche giudiziali non si estende all'ipotesi di rinuncia volontaria alla domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo

di Rossana Mininno

La procedura concordataria, disciplinata dal Titolo III del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 ("Legge fallimentare" o "L.F."), consente all'imprenditore commerciale di evitare, mediante la regolazione dei rapporti con i creditori in maniera concertata con i medesimi, che lo stato di crisi evolva in fallimento: il concordato preventivo, «diversamente dal fallimento, caratterizzato da finalità solo liquidatorie, tende piuttosto alla risoluzione della crisi di impresa» (Cass. civ., Sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4329).

L'obiettivo del superamento dello stato di crisi dell'imprenditore è «ritenuto meritevole di tutela sotto il duplice aspetto dell'interpretazione della crisi come uno dei possibili e fisiologici esiti della sua attività e della ravvisata opportunità di privilegiare soluzioni di composizione idonee a favorire, per quanto possibile, la conservazione dei valori aziendali, altrimenti destinati ad un inevitabile quanto inutile depauperamento» (Cass. civ., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521).

Quanto al profilo ontologico, il concordato preventivo risulta «caratterizzato da una prevalente natura contrattuale, e dal decisivo rilievo della volontà dei creditori e del loro consenso informato» (Cass. civ., Sez. I, 25 ottobre 2010, n. 21860).

Tuttavia, non si tratta di un contratto a prestazioni corrispettive, ma di un «istituto avente una natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici e conduce, all'esito dell'omologa, alla cristallizzazione di un accordo di natura complessa ove una delle parti (la massa dei creditori) ha consistenza composita e plurisoggettiva» (Cass. civ., Sez. I, 13 luglio 2018, n. 18738).

Al fine della sua ammissibilità il concordato preventivo «deve essere apprezzato sotto il profilo dell'effettiva realizzabilità della causa concreta perseguita con il procedimento, con il suo obiettivo specifico, senza alcun contenuto fisso e determinato, correlato al tipo di proposta formulata ed inserito in un più generale quadro volto, da un lato, al superamento della situazione di crisi dell'impresa e, dall'altro, all'assicurazione del soddisfacimento, pur ipoteticamente modesto e parziale, dei suoi creditori» (Cass. civ., Sez. I, 31 luglio 2019, n. 20652).

La domanda per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso al Tribunale del luogo in cui il debitore ha la propria sede principale (art. 161, co. 1, L.F.).La domanda è pubblicata, a cura della Cancelleria, nel Registro delle Imprese (art. 161, co. 5, L.F.).

La domanda può essere presentata unitamente alla proposta concordataria completa dei relativi allegati (domanda c.d. piena) oppure priva di proposta (domanda c.d. con riserva o in bianco o con prenotazione).

Nel caso di presentazione della domanda di concordato con riserva il Giudice concede al debitore un termine entro il quale il medesimo deve provvedere al deposito della proposta concordataria, del piano e della relativa documentazione (art. 161, co. 6, L.F.).

Sull'istanza concordataria si pronuncia il Tribunale, il quale dichiara aperta la procedura con decreto non soggetto a reclamo (art. 163 L.F.).

Il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto (art. 177, co. 1, L.F.).

In caso di approvazione del concordato da parte dei creditori il Giudice delegato riferisce al Tribunale, il quale fissa un'udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del Commissario giudiziale.Il Tribunale provvede all'omologazione del concordato preventivo con decreto motivato, con il quale si chiude la procedura (art. 181 L.F.).

Una questione recentemente sottoposta al vaglio dei Supremi Giudici di legittimità ha riguardato l'applicabilità del terzo comma dell'articolo 168 della Legge fallimentare nell'ipotesi in cui il debitore abbia rinunciato alla domanda di concordato in epoca antecedente alla sua ammissione alla procedura.

La citata disposizione stabilisce l'inefficacia, rispetto ai creditori anteriori al concordato, delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso nel Registro delle Imprese.

La Prima Sezione civile della Corte di cassazione ha ritenuto l'inapplicabilità del terzo comma dell'articolo 168 della Legge fallimentare nell'ipotesi in cui il debitore, dopo aver rinunciato alla domanda di concordato preventivo, sia stato, in un momento successivo, dichiarato fallito.

Per pervenire a tale esito i Supremi Giudici hanno valorizzato il carattere di strumentalità della norma, la quale «non è funzionale alle esigenze proprie del mero procedimento che segue alla domanda di concordato ancora non ammesso, ma a quelli di una composizione negoziale della crisi che sopravvengano: onde, se ciò non avviene per la rinuncia al ricorso ed estinzione del procedimento, quel regime risulta ingiustificato ex tunc».

Conclusivamente, i Giudici della Prima Sezione hanno enunciato il seguente principio di diritto: «L'art. 168, comma 3, l. fall., il quale dispone l'inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni anteriori all'iscrizione nel registro delle imprese del ricorso per concordato preventivo rispetto ai creditori anteriori al concordato, non si applica qualora, rinunciata la domanda di concordato preventivo prima dell'ammissione al concordato medesimo, sia stato in un momento successivo dichiarato il fallimento dell'imprenditore, trovando l'inefficacia degli atti nell'ambito della procedura fallimentare la propria disciplina nell'art. 69-bis l. fall.» (ordinanza n. 8996 del 31 marzo 2021).

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