Casi pratici

Risarcimento del danno non patrimoniale e infedeltà coniugale

Violazione degli obblighi di fedeltà e risarcimento del danno

di Tiziana Cantarella

la QUESTIONE
La violazione degli obblighi di fedeltà può legittimare una richiesta risarcitoria? In che rapporto si pongono pronuncia di addebito e richiesta risarcitoria? Quali sono i presupposti, individuati dalla giurisprudenza, per legittimare l'azione risarcitoria?


È noto che il tradimento sia la causa principale delle crisi coniugali e, di conseguenza, delle cause di separazione tra i coniugi. Se, da un lato, esso integra un condotta considerata, ancora, come moralmente riprovevole tanto che colui che la commette difficilmente, per lungo tempo, riesce a scrollarsi di dosso l'etichetta del traditore, dall'altro, esso comporta delle conseguenze giuridicamente rilevanti alle quali il fedifrago difficilmente pensa nell'atto in cui è impegnato a commettere il tradimento.
È ormai pacifico, infatti, nella giurisprudenza in materia, sempre più ricca e frequente, che l'infedeltà coniugale, oltre a essere causa di addebito della separazione, comporti l'obbligo del risarcimento del danno in favore del coniuge tradito, in particolare, laddove il tradimento si sia consumato secondo modalità particolarmente lesive. L'art. 143 c.c. stabilisce che «con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia».
Tale disposizione, quindi, annovera il dovere di fedeltà tra i doveri nascenti dal matrimonio la cui violazione può comportare, da un lato, la pronuncia della separazione con addebito, anche a sensi dell'art. 151 c.c. secondo il quale «la separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole.
Il giudice, pronunciando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio», dall'altro, essa può essere fonte anche di risarcimento del danno.
Il riferimento normativo per giustificare tale diritto al risarcimento, anche se di primo acchito potrebbe pensarsi sia l'art. 1218 c.c., è rappresentato, senza dubbio alcuno, dagli artt. 2043 e 2059 c.c. Per rispettare lo schema di cui all'art. 2043 c.c. è, ovviamente, necessario che tra l'infedeltà e il danno lamentato sussista un rapporto di causalità, rapporto quest'ultimo che andrà provato dal coniuge che avanza la richiesta risarcitoria.
Sul punto, difatti, la giurisprudenza della Suprema Corte è concorde nel ritenere che grava sulla parte che richiede l'addebito della separazione all'altro coniuge per inosservanza dell'obbligo di fedeltà l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza; viceversa, è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, ossia l'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, dimostrare le circostanze su cui tale eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà (Cassazione civ., ord. 5 agosto 2020, n. 16691; In tal senso, si v. Tribunale di Oristano, 4 febbraio 2021, n. 63).
Il nesso eziologico, quindi, dovrà di certo escludersi quando l'infedeltà si inserisce in un contesto matrimoniale già in crisi oppure quando essa sia stata superata dai coniugi i quali hanno ripreso un andamento sereno della propria vita matrimoniale.
In un certo senso, si potrebbe dire che il principio guida è lo stesso seguito per il riconoscimento dell'addebito e cioè che così come per quest'ultimo è necessario che l'infedeltà sia stata la causa e non la conseguenza della crisi matrimoniale anche per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno è necessario che l'infedeltà sia stata la causa del danno ingiusto che si lamenta che, aspetto questo fondamentale, deve essere costituzionalmente rilevante (in tal senso, v. Tribunale di Cremona, 8 aprile 2021, n. 130).
Poiché il principio basilare sul quale si fonda l'obbligo di fedeltà e, in generale, tutti gli obblighi nascenti dal matrimonio, è il principio di "solidarietà matrimoniale", è chiaro che l'obbligo di fedeltà non si limita solo alla sfera sessuale, ben potendo costituire violazione del citato obbligo anche solo un tradimento platonico tale da violare la lealtà e la solidarietà che dovrebbero legare i coniugi all'interno del rapporto matrimoniale. Alla luce del suddetto principio, quindi, si richiede ai coniugi di abbandonare quelle scelte individuali che possano essere in conflitto con i doveri nascenti dal matrimonio: si richiede, cioè, ai coniugi un "sacrificio" in nome dei doveri assunti una volta contratto il matrimonio.
E proprio alla luce del principio da ultimo menzionato, la giurisprudenza e la dottrina hanno superato la concezione di fedeltà solo come obbligo dall'astenersi da rapporti fisici con altre persone, dando così rilievo oltre che al c.d. "tradimento platonico", che ricorre quando, malgrado l'assenza di rapporti sessuali, il coniuge nutra un certo coinvolgimento affettivo per un terzo, anche al c.d. "tradimento apparente" che ricorre, in particolare, ogniqualvolta il coniuge abbia posto in essere delle condotte tali da far percepire all'esterno la consumazione di un tradimento.
Il riconoscimento da parte della Suprema Corte del diritto al risarcimento del danno derivante da responsabilità civile nella famiglia ha attraversato una lunga evoluzione giurisprudenziale prima di essere riconosciuto come rimedio principe, addirittura più dell'addebito, per tutte quelle condotte poste in essere da un coniuge in danno dell'altro coniuge.
Inizialmente, infatti, la Corte riteneva che la sanzione unica e sola per l'infedeltà coniugale fosse l'addebito. Successivamente, si sono susseguite pronunce che accompagnavano l'addebito con il risarcimento del danno laddove l'infedeltà fosse condotta per mezzo di condotte particolarmente lesive dei diritti dell'altro coniuge, diritti, ovviamente, meritevoli di tutela costituzionale. Alla luce di tali pronunce, la condotta del coniuge infedele doveva concretizzarsi in una condotta dolosa o gravemente colposa tale da arrecare un danno ingiusto al coniuge che andasse al di là della "mera" sofferenza conseguente al tradimento di per sé.
Con la sentenza 15 settembre 2011, n. 18853 la Corte di Cassazione ha definitivamente "slegato" il diritto al risarcimento del danno dalla pronuncia di addebito della separazione prevedendo la legittimità di un'azione risarcitoria autonoma indipendentemente dalla pronuncia dell'addebito nell'ambito del processo di separazione, pur mantenendo la posizione circa la necessità della gravità della condotta infedele che dovesse andare oltre i limiti della normale tollerabilità richiesta a ciascun coniuge nell'ambito della vita matrimoniale.
Di recente, come di seguito si dirà, la Suprema Corte sembra addirittura aver superato anche tale assunto, riconoscendo il diritto al risarcimento del danno "solo" a seguito del tradimento in sé e per sé senza che necessariamente sia accompagnato da condotte particolarmente lesive o pregiudizievoli per l'altro coniuge, fermo restando, però, indipendentemente dalle modalità con le quali il tradimento si consumi, che esso abbia comunque comportato un danno ingiusto meritevole di tutela.
La fonte della richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente al tradimento è rappresentata, perciò, dal combinato disposto degli artt. 2043 e 2059 c.c.: perché il coniuge tradito possa avere diritto al risarcimento del danno occorre che, secondo lo schema di cui all'art. 2059 c.c., egli lamenti una lesione di un diritto non patrimoniale che sia meritevole di tutela costituzionale e, quindi, il diritto alla salute, alla riservatezza, alla onorabilità e dignità, alla realizzazione nell'ambito del proprio nucleo familiare, nonché nelle relazioni sociali.
In altri termini, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, la natura giuridica del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio implica che la sua violazione non sia sanzionata unicamente con le misure tipiche del diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, ma possa dar luogo anche al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c. purché la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto (Cassazione civ., ord. 19 novembre 2020, n. 26383).

Rapporto tra pronuncia di addebito e risarcimento del danno
Come sopra accennato, il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in ipotesi di infedeltà coniugale ha subito nel corso degli anni una notevole evoluzione giurisprudenziale: da circostanza strettamente correlata con la pronuncia di addebito a carico del coniuge fedifrago, il risarcimento è stato gradualmente "slegato" dall'addebito, escludendosi l'esistenza di pregiudizialità tra il riconoscimento dell'addebito e il risarcimento del danno.
Pertanto, indipendentemente dall'andamento della causa di separazione che, quindi, potrebbe anche essere consensuale, il coniuge che ritiene di aver subito una lesione per il fatto illecito dell'altro coniuge, può agire per il risarcimento del danno rappresentato dalla sofferenza patita per il tradimento subito, soprattutto se tale tradimento si è consumato con modalità particolarmente lesive per la dignità del coniuge tradito.
Nella sentenza n. 18853/2011, sopra citata, la Suprema Corte afferma in particolare che «anche nell'ambito della famiglia i diritti inviolabili della persona rimangono infatti tali, cosicché la loro lesione da parte di altro componente della famiglia può costituire presupposto di responsabilità civile. Fermo restando che la mera violazione dei doveri matrimoniali, o anche la pronuncia di addebito della separazione, non possono di per sé e automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria, dovendo, in particolare, quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l'art. 2059 c.c., riconnette detta responsabilità, secondo i principi da ultimo affermati nella sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 delle Sezioni Unite, la quale ha ricondotto sotto la categoria e la disciplina dei danni non patrimoniali tutti i danni risarcibili non aventi contenuto economico e, quindi, entrambi i tipi di danno in relazione ai quali è stata formulata la domanda dell'odierna ricorrente».
I Giudici di Legittimità, quindi, nell'affermare che non sussiste alcun automatismo tra la violazione dei doveri coniugali o, addirittura, tra la pronuncia di addebito e il risarcimento del danno, intendono sostenere che, per richiedere il risarcimento del danno, non è sufficiente la mera violazione dei doveri coniugali di cui all'art. 143 c.c., o anche la pronuncia di addebito, ma occorre, altresì, che ricorrano i presupposti di cui all'art. 2059 c.c. e cioè che il tradimento abbia comportato delle conseguenze pregiudizievoli per il coniuge tradito (Cassazione civ., 19 novembre 2020, n. 26383 cit.; in tal senso v. anche Tribunale di Padova, 24 giugno 2021, n. 1308).
Pertanto, posto che non sussiste il suddetto automatismo, è chiaro che, indipendentemente dall'addebito, è legittima un'azione autonoma volta a ottenere il riconoscimento del risarcimento del danno per la condotta fedifraga del coniuge che abbia provocato un danno biologico o esistenziale al coniuge. E ciò, in quanto, mentre nel procedimento di separazione verrebbero fatte valere le cause della separazione, nel procedimento per risarcimento dei danni verrebbe fatto valere un diritto soggettivo, tutelato anche dalla Carta Costituzionale e cioè il diritto alla salute, all'immagine, alla riservatezza, all'onore e alla dignità del coniuge ecc. (sul punto, v. Cassazione civ., 7 marzo 2019, n. 6598 cit.; Tribunale di Crotone, 24 giugno 2020, n. 548).
La separazione, infatti, è un procedimento la cui natura è quella di regolare le questioni attinenti all'impossibilità della convivenza tra i coniugi, ma non è fisiologicamente destinato al ristoro dei danni subiti dai coniugi nell'ambito del rapporto matrimoniale, i cosiddetti danni endofamiliari, e tra questi il danno da infedeltà il cui accertamento e riconoscimento può trovare la sua giusta collocazione in un giudizio autonomo rispetto a quello di separazione.
L'addebito costituisce la sanzione "tipica" per la violazione dei doveri coniugali, ma in concreto è assolutamente inidoneo al soddisfacimento dei diritti del coniuge che ha subito il "torto".
Le conseguenze dell'addebito, infatti, si limitano alla perdita del diritto all'assegno di mantenimento dall'altro coniuge, anche nell'ipotesi in cui il "traditore" non fosse economicamente autonomo (art. 156 c.c.), e alla perdita dei diritti successori nei confronti dell'altro coniuge (artt. 548 e 585 c.c.). È evidente come tali conseguenze siano afflittive solo per il coniuge economicamente più debole, non sussistendo alcuna portata sanzionatoria/afflittiva rispetto al coniuge economicamente più forte: egli, infatti, non avrebbe avuto diritto in ogni caso al mantenimento da parte dell'altro coniuge e, presumibilmente, essendo quest'ultimo economicamente più debole, egli non avrebbe alcun interesse ai propri diritti successori, validi in astratto, ma concretamente privi di significato.
L'addebito, quindi, ha una portata concretamente ed economicamente afflittiva solo se pronunciato nei confronti del coniuge economicamente più debole, il quale subirebbe delle perdite importanti (se non addirittura vitali), soprattutto rispetto al suo diritto all'assegno di mantenimento.
Da quanto sopra detto si evince l'importanza del riconoscimento di un diritto al risarcimento del danno "legato" dalla pronuncia di addebito, in quanto solo lo strumento risarcitorio risulta in concreto capace di parificare la condizione giuridica dei due coniugi.
Per completezza, occorre precisare che la Corte di Cassazione, pur riconoscendo che la domanda risarcitoria possa essere avanzata in via autonoma rispetto alla separazione, nella sentenza del 1° giugno 2012, n. 8862, ha chiarito che il risarcimento del danno può essere riconosciuto contestualmente all'addebito nell'ambito del giudizio di separazione, non costituendo esso una duplicazione della sanzione rappresentata dall'addebito.
Tale principio di diritto è stato più volte ribadito dalla Suprema Corte, la quale, in una recente pronuncia, ha precisato che la violazione dei doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche prevista dal diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica di tali doveri che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad una autonoma azione diretta al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., senza che l'assenza di pronuncia di addebito in sede di separazione possa essere a questa preclusiva (Cassazione civ., ord. 7 marzo 2019, n. 6598).
Presupposti individuati dalla giurisprudenza per legittimare l'azione risarcitoria
Una volta stabilito il diritto del coniuge tradito a ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale, è opportuno indagare su quali siano i presupposti per poter pervenire a una pronuncia in tal senso che, secondo la giurisprudenza prevalente, non può essere conseguenza del "mero" tradimento.
È necessario, infatti, che l'infedeltà comporti la lesione di diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, anche ai sensi dell'art. 2 della Costituzione, e che la condotta illecita incida sui beni essenziali della vita con conseguente produzione di un danno ingiusto.
Ai fini del risarcimento, quindi, non dobbiamo trovarci di fronte a un tradimento "comune" ma, al contrario, deve trattarsi di un tradimento condotto con modalità particolarmente lesive per l'altro coniuge il cui pregiudizio non deve essere limitato alla naturale sofferenza interiore per la condotta fedifraga del proprio coniuge, ma deve concretizzarsi in una vera e propria offesa della sua dignità in una forma tale da ledere un diritto inviolabile della persona.
La Corte di Cassazione afferma, al riguardo, che mentre l'infedeltà, se è causa determinante della separazione tra coniugi, ha come conseguenza l'addebito della separazione, non sempre è, invece, fonte del riconoscimento del risarcimento del danno, il quale potrà sussistere solo quando l'infedeltà abbia dato luogo a un danno, costituzionalmente rilevante, significativo (quindi non futile) e dimostrabile. Devono, quindi, essere dimostrati l'infedeltà, il danno e il nesso di causalità tra i due, cioè si deve provare che l'infedeltà ha causato il danno. Tale danno, secondo la Suprema Corte, non potrà consistere nella sola "sofferenza psichica", ma dovrà avere le caratteristiche di una vera e propria "lesione della salute" o "lesione della dignità" causata dall'infedeltà (sul punto, v. Cassazione civ., 7 marzo 2019, n. 6598 cit.).
È evidente il richiamo che opera la giurisprudenza al principio di tolleranza il quale, essendo, senza dubbio alcuno, uno degli "elementi" che, per pacifico riconoscimento, debbano stare alla base dell'unione coniugale, deve essere ampiamente minato dalla condotta illecita dell'altro coniuge il quale deve mettere in atto delle condotte che superino il limite della normale tollerabilità richiesta a ciascun coniuge nell'ambito della vita matrimoniale. Ciò vuol dire che, pur essendo pacifico che il tradimento di per sé costituisca una violazione degli obblighi legati al matrimonio, non sempre, però, esso può essere causa di risarcimento del danno non patrimoniale: ciò potrà avvenire solo quando vengano integrati tutti gli elementi costitutivi del principio del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c. e gli elementi costitutivi del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., nelle forme esplicitate dalla sentenza del 2008 pronunciata a Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione la quale, come noto, è intervenuta sul concetto di danno non patrimoniale (sent. n. 16972/08). La violazione dell'obbligo di fedeltà, quindi, può essere fonte di responsabilità risarcitoria ex art. 2059 c.c. qualora l'infedeltà, per le modalità e i mezzi attraverso i quali sia condotta, abbia dato luogo alla lesione della salute del coniuge che, secondo lo schema generale del diritto al risarcimento ex art. 2043 c.c., dovrà essere in rapporto di causalità con la condotta illecita. Oppure, più in generale, quando la condotta infedele superi i limiti della normale tollerabilità perché condotta in modo offensivo e ingiurioso per l'altro coniuge tanto da ledere la sua dignità.
Questo avviene quando l'infedeltà viene condotta in modo manifesto, per esempio, mediante pubblicazioni su internet, oppure quando vengano coinvolti i luoghi frequentati dall'altro coniuge o, addirittura, il suo luogo di lavoro, provocando, così, la mortificazione e l'umiliazione dello stesso la cui immagine e il cui decoro vengono colpiti in modo particolarmente grave.
Oppure quando l'infedeltà si consumi in modo stabile e per un periodo di tempo molto lungo; sul punto, va richiamata la giurisprudenza secondo la quale: «una stabile relazione extraconiugale viola gravemente l'obbligo di fedeltà e può rendere intollerabile la convivenza, giustificando l'addebito al coniuge che ne è responsabile, solo quando sia accertata l'esistenza del nesso causale tra tradimento e crisi della coppia»; ovviamente, non vi è spazio per l'addebito qualora l'infedeltà sia la conseguenza di una pregressa grave rottura dell'armonia coniugale (ex multis, Cassazione civ., Sez. I, 1° marzo 2005, n. 4290; Cassazione civ., Sez. I, 12 aprile 2006, n. 8512).
O ancora quando l'infedeltà si consumi con una ex compagna/o, circostanza che, quindi, fa presumere che il legame tra i due non si sia mai spezzato e che, perciò, i sentimenti del coniuge infedele nei confronti dell'altro coniuge non siano mai stati genuini; oppure quando l'infedeltà si consumi in un momento di particolare fragilità dell'altro coniuge, per esempio durante il periodo di gravidanza o nel delicato periodo successivo al parto oppure durante una malattia oppure ancora durante un periodo di crisi lavorativa o, addirittura, di lutto; oppure quando l'infedeltà si consumi con una persona legata da un vincolo di parentela o amicale con l'altro coniuge.
È chiaro che nelle fattispecie elencate l'infedeltà rileva non in sé per sé, ma in quanto condotta con modalità oggettivamente lesive in modo grave del coniuge tradito che, quindi, pacificamente ha diritto al risarcimento del danno. In tal senso si è pronunciata la Suprema Corte con la citata sentenza del gennaio 2012, secondo la quale, seppur sia astrattamente riconoscibile il risarcimento del danno in favore del coniuge tradito, va respinta la domanda risarcitoria della moglie se non vi è alcuna lesione dei diritti fondamentali della persona, posto che l'unico fatto accertato è rappresentato dalla violazione del dovere di fedeltà da parte del marito in assenza di condotte idonee a concretizzare una lesione dell'integrità psico-fisica della moglie.
E così si era già espressa la Corte nel 2011 affermando che, stante la natura giuridica, oltreché morale, dei doveri coniugali di cui all'art. 143 c.c., l'infedeltà se posta in relazione di causalità con la fine del matrimonio (il quale, quindi, non doveva essere in crisi per altre cause), costituisce una grave violazione degli obblighi nascenti del matrimonio ed è, quindi, fonte di responsabilità ex art. 2043 c.c. anche in virtù delle modalità, della frequenza e delle circostanze attraverso le quali essa è stata condotta che hanno comportato la lesione di diritti costituzionalmente garantiti (v. sent. 15 settembre 2011, n. 18853). Ritenuto, poi, che la sanzione dell'addebito possa essere una sanzione inapplicabile, inutile o addirittura dannosa per il coniuge offeso e comunque avrebbe una portata meramente punitiva e non satisfattoria, il coniuge tradito ha diritto al risarcimento del danno ai sensi e per gli effetti degli artt. 2043 e 2059 c.c. (artt. 2 e 29 Cost.).
Anche i Tribunali di merito da tempo si esprimono in tal senso, infatti, già nel 2006, il Tribunale di Brescia affermava che sussiste il diritto al risarcimento del danno in favore del coniuge tradito se l'infedeltà è posta in essere con modalità che possano essere offensive dei diritti fondamentali del coniuge nell'essenza stessa della sua personalità, ivi compresa l'aspettativa della moglie di realizzarsi nell'ambito della dimensione familiare.
Ancor prima, il Tribunale di Firenze, 13 giugno 2000, stabiliva: «la contrarietà della condotta, tenuta dal coniuge, ai doveri derivanti dal matrimonio, è idonea a fondare non solo la pronuncia di addebito nella separazione, ma pure quella di responsabilità per danni all'integrità psico-fisica e più in generale alla salute dell'altro coniuge, con condanna al risarcimento del danno biologico (nella specie, il marito aveva fatto mancare per lungo tempo ogni assistenza alla moglie, malata di cancro)».
Qualche anno dopo, il Tribunale di Milano, 4 giugno 2002, stabiliva: «pronunciata separazione giudiziale dei coniugi con addebito della stessa a uno di essi è ipotizzabile, a carico di quest'ultimo, una responsabilità risarcitoria ex art. 2043 del codice civile in quanto inadempiente ai doveri coniugali, ove venga accertata sia l'obiettiva gravità della condotta assunta dall'agente in violazione di uno o più doveri nascenti dal matrimonio, sia la sussistenza di un danno oggettivo conseguente a carico dell'altro coniuge e la sua riconducibilità in sede eziologica non già alla crisi coniugale in quanto tale, ma alla condotta trasgressiva, e perciò lesiva, dell'agente, proprio in quanto posta in essere in aperta e grave violazione di uno o più doveri coniugali». A riguardo, sebbene la Corte di Cassazione, con la sentenza del 2012 sopra più volte richiamata, sembra aver voluto iniziare a dare rilievo al tradimento in sé come fatto idoneo a provocare un danno ingiusto risarcibile indipendentemente dalle modalità attraverso le quali esso sia stato condotto, tale principio non sembra, però, esser stato poi accolto nelle successive e più recenti pronunce della Suprema Corte, secondo la quale, invece, il risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c. è ammesso purché la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia di tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto (Cassazione civ., 19 novembre 2020, n. 26383 cit.).
Di recente, si è, poi, pronunciato il Tribunale di Livorno osservando che la mera violazione di uno di detti doveri non comporta automaticamente l'addebito della separazione, dovendo essere preventivamente accertato se tale violazione è stata in concreto causa della rottura del rapporto coniugale, valutando anche la condotta dell'altro coniuge (c.d. giudizio comparativo). Analoga considerazione – a parer della giurisprudenza di merito – va fatta con riferimento al rapporto tra violazione dei doveri coniugali e responsabilità civile: «una volta accertata la violazione del dovere coniugale, dovrà, quindi, essere svolta una ulteriore indagine, e cioè se tale violazione abbia determinato un danno risarcibile. In altri termini, occorre un "quid pluris" rispetto alla mera violazione, che è costituito dalla lesione di diritti fondamentali della persona, un qualcosa in più rispetto alla rottura dell' "affectio coniugalis", che non può trovare tutela solo nei rimedi previsti dal diritto di famiglia e, quindi, di un danno risarcibile attraverso la responsabilità civile» (sent. 15 aprile 2020, n. 331).

Considerazioni conclusive
Alla luce di tutto quanto fin qui esposto è possibile concludere che secondo la prevalente giurisprudenza in materia va escluso qualsiasi nesso di pregiudizialità tra la pronuncia giudiziale di separazione con addebito e azione risarcitoria per infedeltà coniugale.
Il coniuge tradito, quindi, il quale si trova d'accordo con l'altro coniuge a definire la separazione alle condizioni stabilite concordemente, potrà scegliere di evitare un giudizio di separazione giudiziale, aderendo a una soluzione consensuale, ma potrà comunque agire con un'azione autonoma volta al riconoscimento giudiziale del diritto al risarcimento del danno subito a seguito dell'infedeltà, se tale infedeltà abbia provocato un danno ingiusto meritevole di tutela costituzionale da intendersi nella accezione di cui all'art. 2059 c.c. In questo modo, e solo in questo modo, si potrà ottenere la reintegra del pregiudizio subito dal coniuge tradito e la reale elisione degli effetti negati della condotta fedifraga. Fermo restando che, in ogni caso, il coniuge tradito potrà chiedere il risarcimento del danno contestualmente alla richiesta di addebito nell'ambito del processo per separazione purché, però, e questo è il principio pacificamente riconosciuto dalla Suprema Corte, il danno consista nella lesione di diritti costituzionalmente meritevoli di tutela. Va ricordato, infine, che la giurisprudenza non ritiene più necessaria la ricorrenza di condotte costituenti autonomi illeciti rispetto al tradimento, ovvero condotte ingiuriose o diffamatorie del coniuge, risultando sufficiente che il danno ingiusto sia stato provocato dal tradimento in sé e per sé e che lo stesso abbia inciso su diritti essenziali della vita, anche "solo" quello della realizzazione nell'ambito della vita familiare.

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