Sequestro preventivo, non irragionevole l’assenza di termini perentori
Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 20658 depositata oggi, ribadendo la differente natura delle misure cautelari reali rispetto a quelle personali
Non è irragionevole una disciplina che prevede soltanto per il bene “libertà personale” e non anche per il bene “patrimonio” la presenza di termini perentori, di fase e complessivi, che ne legittimano la limitazione prima della definitività di una pronuncia di condanna. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 20658 depositata oggi, dichiarando inammissibile la questione di costituzionalità proposta dal legale rappresentante di una azienda che aveva subito un sequestro preventivo finalizzato alla confisca disposto a seguito della contestazione del reato di dichiarazione fraudolenta.
Il ricorrente sosteneva l’illegittimità degli articoli 321, co. 2, Cpp. 322-ter Cp., 12-bis, Dlgs 74/2000, in relazione agli articoli 6 Cedu, 3, 24, 27, 41 e 111 Cost. nella parte in cui non prevedono che la mancata celebrazione del processo secondo “tempi credibili” produca la caducazione della misura reale; o nella parte in cui non vengono inseriti (come per le misure cautelari personali o le misure patrimoniali di prevenzione antimafia) termini di fase o massimi entro i quali adottare un provvedimento definitivo (o, quantomeno, di primo grado), pena la decadenza del sequestro.
La Suprema corte per prima cosa afferma che in tal modo si richiede alla Consulta una sentenza manipolativa con conseguente sostituzione alle competenze del Legislatore. Aggiunge poi che si non affrontano le ragioni che hanno indotto il legislatore, “con opzione insindacabile perché non irragionevole, a distinguere in disciplina (compresi, dunque, anche i termini) le misure cautelari personali e quelle reali”.
E il discrimen risiede proprio sul piano della diversa tutela apprestata dall’ordinamento, rispettivamente, ai beni della libertà personale e della libertà patrimoniale. “Sono differenti, infatti – spiega la Cassazione -, i valori che l’ordinamento prende in considerazione: da un lato, l’inviolabilità della libertà personale, e, dall’altro, la libera disponibilità dei beni, che la legge ben può contemperare in funzione degli interessi collettivi che vengono ad essere coinvolti”.
Ciò comporta, dunque, la possibilità di costruire differentemente il “potere” del giudice di adottare le misure e, conseguentemente, la tipologia del controllo in sede di gravame, con i naturali riverberi che da ciò scaturiscono sul piano della difesa che gli interessati possono sviluppare” (Corte cost., sent. n. 229/1994).
Non vi è dunque alcuna irragionevolezza, prosegue la sentenza, in una disciplina che prevede la presenza di termini perentori solo per la libertà personale e non per il patrimonio. Del resto, aggiunge la Corte, mentre la caduta del vincolo reale comporta l’immediata restituzione del bene all’avente dritto, “la scadenza dei termini di durata massima della misura cautelare custodiale non impedisce che, perdurando le esigenze cautelari, l’indagato possa essere sottoposto ad un’altra misura, meno afflittiva ma comunque incidente sulla libertà personale. Dal che, un sistema che ammette forme di restrizione di questa libertà anche dopo la scadenza dei termini di durata massima della misura custodiale, così perpetrandosi un controllo sul soggetto destinatario che, invece, non sarebbe possibile alla scadenza di eventuali termini di durata massima della misura cautelare reale”.