Professione e Mercato

Si applica il favor rei per le norme del codice deontologico forense approvato nel 2014

Lo confermano le Sezioni unite della Cassazione con la sentenza n. 19296/2021

di Mario Finocchiaro

Ai sensi dell'articolo 65, comma 5, della legge n. 247 del 2012, che ha recepito il criterio del favor rei in luogo di quello del tempus regit actum, le norme contenute nel nuovo codice deontologico forense, approvato il 31 gennaio 2014, si applicano ai
procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato. Ne consegue che l'individuazione del regime giuridico più favorevole deve essere effettuata non in astratto, ma con riguardo alla concreta vicenda disciplinare, tenendo conto di tutte le conseguenze che potrebbero derivare dall'integrale applicazione di ciascuna delle due normative nella specifica fattispecie, e, all'esito dell'individuazione, quella ritenuta più favorevole deve essere applicata per intero, dovendo escludersi la possibilità di operare una combinazione tra la vecchia e la nuova normativa ricavandone arbitrariamente una terza attraverso l'utilizzo e l'applicazione di parti dell'una e parti dell'altra. Questo il principio espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza 10 giugno 2021 n. 16296. Nella specie, in sede di rinvio, il Consiglio Nazionale Forense aveva determinato la sanzione inflitta nella sospensione dall'esercizio della attività professionale per due anni, in sostituzione della cancellazione, originariamente applicata. In applicazione del principio sopra esposto la S.C. ha cassato tale statuizione, atteso che per stabilire se la sanzione inflitta in concreto risulti più o meno afflittiva di quella originariamente data, il Consiglio Nazionale Forense avrebbe dovuto procedere a comparare i trattamenti sanzionatori in concreto, e, in particolare, avrebbe dovuto valutare le possibilità del sanzionato di chiedere la reiscrizione e chiarire il periodo occorrente per la presentazione dell'istanza, per poter stabilire che un periodo di sospensione triennale, ancorché ridotto ad anni due per la concessione di attenuanti, doveva considerarsi, nel caso concreto, trattamento sanzionatorio più mite rispetto alla disposta cancellazione, al fine della corretta applicazione del principio del favor rei.

I precedenti
Per una fattispecie sotto alcuni profili analoga alla presente, per l'affermazione che la sanzione della cancellazione dall'albo, in quanto non più prevista, è inapplicabile e, in luogo di essa, deve essere comminata la sospensione dall'albo nella durata prevista dal nuovo codice deontologico, anche ove in concreto superiore rispetto a quella dettata dal precedente, Cassazione, sez. un., sentenza 27 dicembre 2017, n. 30993, che ha confermato la decisione impugnata che, nel comminare all'incolpato, in forza delle nuove previsioni, la sospensione in luogo della cancellazione dall'albo, determinava detta sanzione in tre anni, sebbene la disciplina precedente limitasse la durata della stessa da due mesi ad un anno, tenendo conto della attuale possibilità di comminare tale sanzione sino a cinque anni.
Per il rilievo che Il nuovo codice deontologico forense non prevede più la sanzione della cancellazione dall'albo, sicché, trattandosi di disciplina più favorevole per l'incolpato rispetto al regime previgente, quella sanzione è inapplicabile, giusta l'art. 65, comma 5, legge n. 247 del 2012, anche nei procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, Cassazione, sez. un., sentenza 20 settembre 2016, n. 18394.
Sempre nel senso che in materia l'individuazione del regime giuridico più favorevole deve essere effettuata non in astratto, ma con riguardo alla concreta vicenda disciplinare, tenendo conto di tutte le conseguenze che potrebbero derivare dall'integrale applicazione di ciascuna delle due normative nella specifica fattispecie, Cassazione, sez. un., sentenza 12 aprile 2021, n. 9546, ove - come nella decisione in rassegna - la precisazione che all'esito dell'individuazione, quella ritenuta più favorevole deve essere applicata per intero, dovendo escludersi la possibilità di operare una combinazione tra la vecchia e la nuova normativa ricavandone arbitrariamente una terza attraverso l'utilizzo e l'applicazione di parti dell'una e parti dell'altra.
La pronunzia del Consiglio Nazionale Forense, ora cassata, è stata resa a seguito di Cassazione, sez. un., sentenza 16 febbraio 2015, n. 3023, in Foro italiano, 2015, I, c. 1594 (con nota di Danovi R., Nuovo codice deontologico forense, successione di norme, tipizzazione degli illeciti e sanzioni disciplinari), secondo cui in tema di giudizi disciplinari nei confronti degli avvocati, le norme del codice deontologico forense approvato il 31 gennaio 2014 si applicano anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato, avendo l'art. 65, comma 5, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, recepito il criterio del favor rei, in luogo del criterio del tempus regit actum. (Nello stesso senso Cassazione, sez. un., 28 aprile 2020, n. 8242, in giustamm.it, 2020, fasc. 5).

La disciplina transitoria
Sempre in margine all'articolo 65, comma 5, legge n. 247 del 2012, si è precisato, tra l'altro:
- la disposizione in questione, nella parte in cui detta la disciplina transitoria in base al principio del favor rei - stabilendo che si applicano le norme più favorevoli per l'incolpato anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore - si riferisce solamente alle norme del nuovo codice deontologico forense; laddove si tratti, invece, di atto d'impugnazione, la norma applicabile, con riferimento ai relativi termini, è quella vigente al momento della sua proposizione, in base al principio tempus regit actum, Cassazione, sez. un., sentenza 19 luglio 2018, n. 19653, secondo la quale in un caso in cui un avvocato aveva impugnato la decisione del Coa irrogativa della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per la durata di mesi tre, il termine - perentorio - d'impugnazione era quello stabilito dalla previgente disciplina - di venti giorni ex articolo 50, comma 2, regio decreto n. 1578 del 1933 all'epoca ancora vigente - anziché quello di trenta giorni dalla data di notifica della decisione ex art. 33 regolamento CNF 21 febbraio 2014, n. 2;
- le sanzioni disciplinari contenute nel codice deontologico forense hanno natura amministrativa con la conseguenza che, con riferimento al regime giuridico della prescrizione, non è applicabile lo ius superveniens, ove più favorevole all'incolpato, quando la contestazione dell'addebito sia avvenuta anteriormente all'entrata in vigore della nuova disciplina normativa, Cassazione, sez. un., sentenza 18 aprile 2018, n. 9558. (Nello stesso senso, sul rilievo che il principio di retroattività della lex mitior non riguarda il termine di prescrizione, ma solo la fattispecie incriminatrice e la pena, Cassazione. Sez. un., sentenze 16 novembre 2015, n. 23364; 16 luglio 2015, n. 14905, in Rassegna forense, 2015, p. 937; 2 febbraio 2015, n. 1822. Contra e, in particolare, nel senso che l'art. 65, comma 5, legge n. 247 del 2012, laddove sancisce che le norme del nuovo codice deontologico forense si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli, spiega i propri effetti anche con riguardo al regime della prescrizione, Cassazione, sez. un., sentenza 27 ottobre 2015, n. 21829, in Rassegna forense, 2015, p. 950);
- il nuovo codice deontologico forense prevede, per la minaccia di azioni alla controparte, la sanzione della censura, inferiore a quella della sospensione dall'esercizio della professione già prevista, per la medesima condotta, dal regime previgente, sicché, trattandosi di disciplina più favorevole per l'incolpato, quella sanzione è applicabile, giusta il criterio del favor rei desumibile dall'articolo 65, comma 5, legge n. 247 del 2012, anche nei procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore per fatti ad essa anteriori, Cassazione, sez. un., sentenza 20 settembre 2016, n. 18395.

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