Civile

Sì al compenso del coadiutore del curatore, anche se non iscritto all'albo

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di Patrizia Maciocchi

Il rapporto tra il curatore e il suo coadiutore non può essere considerato come una vera propria prestazione d'opera professionale. Per questo le prestazioni svolte non possono essere dichiarate nulle, ai fini del compenso, se il consulente non è iscritto ad un albo. La Corte di cassazione, con l'ordinanza 20193 depositata ieri, accoglie, applicando le norme in vigore all'epoca dei fatti, il ricorso della consulente contro la decisione della Corte d'Appello che, confermando la sentenza del Tribunale, aveva dichiarato nulle le prestazioni di consulenza Iva, compilazione buste paga, assunzioni e licenziamenti svolte dalla ricorrente per conto della procedura fallimentare, condannandola a restituire oltre 4.200 euro percepiti. Una scelta giustificata da un duplice fatto: non c'erano né l'autorizzazione di un giudice delegato né esisteva un'iscrizione ad alcun albo professionale. Per i giudici di primo grado, anche a volere superare l'assenza di un via libera del giudice delegato, restava lo scoglio della necessità di un'iscrizione all'albo. Impedimento che non si considerava aggirato dal certificato di iscrizione alla camera di commercio nella categoria dei prestatori di “servizi in materia di contabilità e consulenza fiscale formati da altri soggetti”. La Corte d'Appello, malgrado avesse verificato l'autorizzazione del curatore ad avvalersi di collaboratori, proveniente dal giudice delegato, aveva comunque considerato come non esistente il rapporto in virtù dell'articolo 2231 del Codice civile che nega il diritto alla retribuzione in caso di mancata iscrizioni all'albo per le professioni il cui svolgimento è subordinato al requisito. La Cassazione accoglie invece il ricorso, ricordando che il coadiutore del curatore figura prevista dal secondo comma dell'articolo 32 della legge fallimentare nella formulazione in vigore all'epoca dei fatti, e dunque precedente al Dlgs 5/2006) integra il lavoro del curatore, con funzioni di assistenza in linea con gli scopi della procedura. Un'opera che esula dunque da quella autonoma relativa alla vera e propria prestazione d'opera professionale. Il compenso che spetta al coadiutore del curatore, e nello specifico alla ricorrente, che aveva svolto il suo lavoro in seguito da un'istanza del curatore datata addirittura 1995, “trova il titolo – si legge nella sentenza – nel decreto di liquidazione emesso dal giudice delegato alla stregua della tariffa giudiziale che riguarda gli ausiliari giudiziari e viene posto a carico della massa fallimentare” . La nomina resta, dunque assoggettata alle norme pubblicistiche che regolano l'affidamento di incarichi nella procedura fallimentare.

Corte di cassazione - Sezione II - Ordinanza 25 luglio 2019, n.20193

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