Civile

Società stabile occulta, da Netflix al Fisco 56 milioni

Stabile organizzazione occulta anche senza dipendenti in Italia. L’elemento tecnologico ha prevalso su quello umano per l’omessa dichiarazione

di Angelo Mincuzzi

Netflix fa pace con il Fisco italiano e chiude il contenzioso con l’Agenzia delle Entrate pagando 55 milioni e 850mila euro a titolo di imposte, sanzioni e interessi. È un accordo importante, quello raggiunto ieri tra il Fisco e il gruppo californiano di video on demand, perché è il primo caso al mondo nel quale è stata contestata l’esistenza di una stabile organizzazione occulta a una società senza alcun dipendente sul territorio italiano. E ora l’intesa-apripista tra Netflix e Fisco potrebbe essere replicata – molto presto - sugli altri fronti che la Procura della Repubblica e il Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Milano hanno aperto negli ultimi mesi con altre società tecnologiche dalle caratteristiche organizzativa simili a quelle di Netflix.

«Siamo soddisfatti di aver posto fine a questa vicenda, che ha riguardato gli anni fiscali 2015-2019. Abbiamo mantenuto un dialogo ed una collaborazione costanti con le autorità italiane e continuiamo a credere di aver agito nel pieno rispetto delle norme italiane e internazionali applicabili», ha commentato la società statunitense.

Netflix, però, non ha solo sanato la posizione fiscale degli ultimi anni ma dal primo gennaio 2022 ha modificato l’intero sistema degli abbonamenti che vengono adesso pagati alla Netflix Services Italy, una società completamente italiana che ha sede legale a Roma e operativa a Milano, e non più alla olandese Netflix International BV. Questo «determinerà – ha sottolineato il procuratore della Repubblica di Milano, Marcello Viola – la tassazione in Italia dei redditi prodotti dalla vendita degli abbonamenti agli utenti residenti sul territorio nazionale».

Le indagini dei magistrati e della Guardia di Finanza hanno ricostruito l’esatta estensione dell’infrastruttura digitale (il content delivery network), con cui Netflix diffondeva in Italia i propri contenuti. L’infrastruttura - composta da 350 server utilizzati in via esclusiva dal gruppo di streaming on demand e installati stabilmente sull’intero territorio nazionale presso data center e operatori di telefonia - è stata ritenuta essenziale e significativa per lo sviluppo del business di Netflix in Italia, perché avrebbe garantito l’offerta di un servizio streaming di qualità agli utenti finali, grazie alla vicinanza dei server rispetto al mercato di riferimento.

Per la prima volta, dunque, l’elemento tecnologico ha prevalso su quello umano per contestare l’omessa dichiarazione dei redditi.

L’inchiesta della magistratura era partita nel 2019. I pm sostenevano che, anche se la società risiedeva all’estero (il quartier generale europeo è ad Amsterdam), possedeva in Italia una «sede fissa di affari per mezzo della quale esercita in tutto o in parte la sua attività». Gli asset che l’azienda americana utilizzava in Italia – aggiungevano i pm - erano cavi, fibre ottiche, computer, server e algoritmi, che avrebbero fatto rientrare Netflix nel concetto di “stabile materiale”. Una ricostruzione che la società respingeva. Poi, invece, è stato raggiunto l’accordo.

Nel 2021 Netflix aveva modificato la propria organizzazione in altri tre grandi mercati europei, Gran Bretagna, Francia e Spagna, portando la fatturazione degli abbonamenti in capo a società esistenti nei rispettivi paesi e non più in Olanda. Un anno dopo il sistema è stato esteso anche all’Italia. Netflix Services Italy registrava nel 2021 (prima della riorganizzazione) un fatturato di 19 milioni di euro e 937mila euro di utile netto. I dipendenti erano 29.

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