Civile

Successione, i fondi comuni non sono assimilati al denaro

di Angelo Busani

Le quote di fondo comune di investimento non sono da ricomprendere nel concetto di “denaro, gioielli e mobili” ai fini dell’imposta di successione, con la conseguenza che il valore di queste quote di fondo comune non influisce sul calcolo della presuntiva esistenza nell’asse ereditario di denaro, gioielli e mobilia per un valore pari al 10% dell’attivo ereditario. Lo afferma la Cassazione, con una decisione priva di precedenti, nell’ordinanza 22181 del 14 ottobre 2020.

Ai sensi dell’articolo 9, comma 2, Dlgs 346/1990 (il Tus, testo unico dell'imposta di successione), si considera compreso, in ogni attribuzione derivante da una data successione a causa di morte, un insieme di “denaro, gioielli e mobilia” per un valore pari al 10% del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario. Si tratta di una presunzione “relativa”, vale a dire che può essere resa inoperante effettuando l’inventario dell’eredità.

La norma è animata dalla “filosofia” secondo la quale gli eredi, che hanno la materiale disponibilità del denaro liquido e dei mobili appartenuti al defunto, non hanno alcuno stimolo a evidenziarli nella dichiarazione di successione, ma sono viceversa propensi a impossessarsene senza farne dichiarazione al fisco.

E così, ad esempio, se il de cuius, vedovo, deceda senza testamento lasciando ai suoi due figli un patrimonio (privo di passività) del valore di 5 milioni di euro, a ciascun figlio spetta una quota di eredità del valore di 2,5 milioni. Per calcolare il valore imponibile di ciascuna di dette due attribuzioni occorre sottrarre, dapprima, il valore della franchigia di pertinenza di ciascun figlio e, poi, applicare alla differenza la percentuale del 10%, con il risultato che il valore imponibile, per ciascun erede è di euro (2.500.000 – 1.000.000) + [(2.500.000 – 1.000.000) x 10%] = 1.500.000 + 150.000 = 1.650.000.

È ovvio che se nella dichiarazione di successione siano indicati, “denaro, gioielli e mobilia” per un importo superiore al 10% del valore dell’attivo ereditario, non si fa luogo all’applicazione della presunzione in parola.

A questo punto il discorso si sposta, dunque, sull’interpretazione del concetto di “denaro, gioielli e mobilia” per comprendere (per limitarsi al caso deciso dalla Cassazione con l’ordinanza 22181/2020) se possano esserne parte anche le quote di fondo comune di investimento, con la conseguenza che:

se le quote di fondo comune sono considerabili rientranti in tale ambito, sul loro valore non si applica la percentuale del 10% (e, anzi, la loro presenza diminuisce o elimina la base di calcolo della percentuale di calcolo della presunzione del 10%);

se le quota di fondo comune, invece, non sono considerabili rientranti in detto ambito, il loro valore concorre ad aumentare il risultato del calcolo del valore di denaro, gioielli e mobili presuntivamente rientranti nell’asse ereditario.

La Cassazione decide dunque in quest’ultimo senso osservando che la norma contenente la presunzione fa riferimento a beni caratterizzati da una «connaturata facilità di occultamento», ciò che evidentemente non accade per le quote di fondo comune, così come per i titoli azionari, le quote di partecipazione al capitale di società e i titoli obbligazionari.

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