Penale

Transfer pricing, rettifiche sui ricavi a rischio di rilevanza penale

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di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Le modifiche in arrivo al reato di dichiarazione infedele sull’abrogazione della disposizione in tema di valutazioni - contenute nel decreto fiscale 124/2019, in corso di conversione alla Camera - impongono in futuro maggiore cautela nelle ipotesi di operazioni infragruppo e quindi in tema di transfer pricing.

Ai fini della configurazione della dichiarazione infedele in futuro saranno punibili le valutazioni che singolarmente considerate differiscano in misura inferiore al 10% da quella ritenute corrette. Viene invece confermata la non punibilità nel caso in cui i criteri di valutazione concretamente applicati vengano enunciati in bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali. Inoltre la soglia d’imposta evasa (si veda l’altro articolo in pagina) che fa scattare il reato viene ridotta dagli attuali 150mila a 100mila euro.

Nel corso di controlli su imprese che hanno rapporti (ricavi o costi) con società controllanti o partecipate ubicate all’estero spesso l’amministrazione rettifica il valore dei beni e/o servizi oggetto di rapporti infragruppo. Generalmente si ritiene eccessivo il costo in questione dedotto dalla società italiana ovvero inferiore a quello reale l’importo dei ricavi fatturati alla società estera. Secondo quanto previsto dall’articolo 110 del Tuir i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente fanno parte dello stesso gruppo, sono valutati in base al valore normale dei beni e dei servizi. Proprio sulla determinazione del valore normale (da effettuarsi in base all’articolo 9 del Tuir) non sempre le conclusioni dei verificatori coincidono con quelle dei contribuenti interessati.

Ai fini penali occorre operare un distinguo a seconda che la rettifica alla impresa italiana attenga costi ritenuti esosi o ricavi ritenuti inferiori.

È il caso in cui l’impresa italiana acquista beni e servizi dalla controllata estera: secondo i verificatori, applicando la corretta determinazione del valore dei beni o i servizi ricevuti in ambito infragruppo, l’impresa italiana ha dedotto più costi di quelli ritenuti corretti. Il costo che viene ripreso a tassazione potrebbe condurre a una quantificazione dell’imposta evasa superiore ai 150mila euro (soglia di punibilità per la dichiarazione infedele ex articolo 4 del Dlgs 74/2000, che in futuro sarà di 100mila euro).

Con le modifiche apportate nel 2015 questa casistica ha trovato parziale risoluzione. Trattandosi, infatti, di costi indeducibili ai fini penali rilevano solo elementi passivi “fittizi” da intendersi come “inesistenti”. Tuttavia non sono mancati casi in cui è stata ritenuta sussistente un’ipotesi di sovrafatturazione o comunque di elementi fittizi per la parte eccedente il valore ritenuto reale, con conseguente contestazione della dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture recanti importi superiori al reale, o di dichiarazione infedele attraverso elementi passivi fittizi.

L’altra ipotesi attiene la vendita di beni o servizi eseguita dall’impresa italiana verso la controllata estera.

In genere l’amministrazione rettifica in aumento, applicando le regole sul transfer pricing, i ricavi, sostenendo che i beni o i servizi ceduti siano stati sottostimati al fine di trasferire materia imponibile all’estero. Per il soggetto italiano si tratta così di un ricavo sottratto a imposizione e quindi le modifiche future apportate al reato di dichiarazione infedele saranno particolarmente rilevanti sia per l’abbassamento della soglia di punibilità, sia per l’abrogazione della non punibilità per le valutazioni errate entro il 10 per cento.

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