Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 20 e il 24 giugno 2022

di Giuseppe Cassano


Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello trattano le materie dei contratti bancari (riparto dell'onere della prova in caso di contestazioni), della remissione del debito, dell'azione di riduzione e, infine, della distanza tra costruzioni (in riferimento ai fabbricati antistanti). I Tribunali, da parte loro, si soffermano sulla distinzione tra trasportatore e spedizioniere, sulla responsabilità medica, sull'azione revocatoria, sulla garanzia per i vizi della cosa venduta, sulla responsabilità per il ritardo aereo e, infine, in materia di accreditamento sanitario.

CONTRATTI BANCARI
Controversie – Onere della prova
. (Cc, articolo 2697; Dlgs 1 settembre 1993 n. 385, articolo 117)
Sottolinea la Corte d'Appello di Firenze, adita in materia di contratti bancari, come, per regola generale, sia il cliente che agisce per la ripetizione dell'indebito a dover produrre in giudizio il contratto. In particolare, nei rapporti di conto corrente bancario, il cliente che agisca per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate in presenza di clausole nulle, ha l'onere di provare l'inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole, senza poter invocare il principio di vicinanza della prova al fine di spostare detto onere in capo alla banca, tenuto conto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione. Con la precisazione che quanto innanzi si applica se il correntista richiede in giudizio la nullità di singole clausole del contratto di conto corrente, e quindi la nullità parziale di esso. E cioè a dire, se si afferma la nullità parziale di un conto corrente, implicitamente si afferma anche che esso esiste in forma scritta, perché diversamente il contratto sarebbe viziato da nullità totale ex. art. 117 D.Lgs. n. 385/1993, e non da nullità parziale. Coerentemente, in questo caso si richiede all'attore di produrre il contratto per dimostrare la nullità parziale applicando il principio generale dell'art. 2697 c.c..
Se invece il correntista lamenta la nullità totale del contratto per mancanza di forma scritta, trova applicazione il principio contrario. Precisamente, sempre nei rapporti di conto corrente bancario, il cliente che agisca per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate in presenza di clausole nulle ha l'onere di provare l'inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole, salvo che alleghi la conclusione del contratto verbis tantum, la quale, se pacifica, impone al Giudice di rilevare la nullità del negozio e quindi la mancata valida pattuizione di interessi ultralegali e commissione di massimo scoperto, mentre, ove contestata, esime il correntista dall'onere di fornire la prova negativa dell'accordo, che spetta semmai alla banca documentare.
(Appello Firenze, sezione II, 21 giugno 2022 n. 1303)

REMISSIONE DEL DEBITO
Natura giuridica – Presupposti.
(Cc, articolo 1236)
È affermazione in punto di diritto dell'adita Corte d'Appello di Bari quella secondo cui la remissione del debito (art. 1236 c.c.), quale atto abdicativo di natura negoziale, esige e postula che il diritto di credito si estingua conformemente alla volontà remissoria e nei limiti da questa fissati, ossia che l'estinzione si verifichi solo se e in quanto voluta dal creditore, con la conseguenza che la volontà di remissione presuppone anche, e in primo luogo, la consapevolezza nel creditore dell'esistenza del debito non potendo certo configurarsi la remissione di un debito che lo stesso remittente reputi, a torto o a ragione, inesistente.
Ed invero la remissione, quale modo di estinzione dell'obbligazione diversa dall'adempimento, presuppone evidentemente l'esistenza del credito, in carenza del quale non può svolgere la sua funzione estintiva del rapporto obbligatorio. Quanto alla forma, o alla modalità espressiva, della volontà di rinuncia, essa deve essere idonea a veicolarne il contenuto con la precisazione che la remissione del debito non è soggetta a particolari requisiti di forma. Pertanto, ben può ammettersi una remissione tacita anche attraverso un comportamento concludente (dato che, come anticipato, la remissione del debito non richiede una forma solenne): tuttavia, è in tal caso indispensabile che la volontà abdicativa risulti da una serie di circostanze significative e inequivoche, assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto di credito. La necessità di una manifestazione inequivoca di volontà remissoria, da valutare con particolare rigore, è indispensabile in quanto occorre la non equivoca manifestazione di volontà del creditore volta alla rinuncia della prestazione, ovvero l'univoco comportamento del titolare assolutamente incompatibile con la volontà di avvalersi del diritto. È comunque necessario che i caratteri della univocità e concludenza - da riscontrare nel comportamento del soggetto, affinché da esso possa desumersi l'intento remissorio del creditore definitivo ed irrevocabile - siano valutati con estremo rigore e cautela: sicché, nel caso di dubbio sulla loro effettiva sussistenza, dev'essere esclusa la volontà di rimettere di debito.
(Appello Bari, sezione II, 22 giugno 2022 n. 1012)

SUCCESSIONE TESTAMENTARIA
Azione di riduzione – Onere della prova
. (Cc, articoli 556, 563 e 2697; Legge 14 maggio 2005 n. 80)
La Corte d'Appello di Napoli sottolinea in sentenza come, in materia di successione testamentaria, il legittimario che propone l'azione di riduzione abbia l'onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonchè quello della quota di legittima violata dal testatore.
Prodromo dell'azione di riduzione è la cd. riunione fittizia ex art. 556 c.c., la quale consente di calcolare la quota del patrimonio della quale il de cuius poteva disporre (cd. quota disponibile) e la quota riservata ai legittimari (cd. quota di legittima o di riserva), verificando conseguentemente l'eventuale sussistenza della lesione di legittima o la sua entità.
A tal fine, ha l'onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva oltre che proporre, sia pure senza l'uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione della medesima mediante il calcolo della disponibile e la susseguente riduzione delle donazioni compiute in vita dal "de cuius". Un tale onere che grava sulla parte ai sensi dell'art. 2967 c.c. non può assolversi, né essere surrogato, ricorrendo alla consulenza tecnica d'ufficio. Le parti, infatti, non possono sottrarsi all'onere probatorio di cui sono gravate ex lege e pensare di poter rimettere l'accertamento dei propri diritti all'attività del consulente. Il ricorso al consulente deve essere disposto non per supplire alle carenze istruttorie delle parti o per svolgere una indagine esplorativa alla ricerca di fatti o circostanze non provati, ma per valutare tecnicamente i dati già acquisiti agli atti di causa come risultato dei mezzi di prova ammessi sulle richieste delle parti. Infine, si consideri che, in base all'art. 563 c.c., nel caso di vittorioso esperimento dell'azione di riduzione se il donatario contro il quale è stata pronunciata la riduzione ha alienato a terzi gli immobili - e non sono trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione - il ricorrente (legittimario leso), escusso precedentemente il patrimonio del donatario incapiente, ha la facoltà di agire contro i terzi per recuperare quanto di sua spettanza e comporre così la sua quota di legittima.
Qualora i venti anni siano trascorsi, non vi è alcun rimedio per il legittimario vittorioso nell' azione di riduzione, se il patrimonio del donatario è incapiente per soddisfare i crediti del legittimario stesso.
(Appello Napoli, sezione II, 22 giugno 2022 n. 2874)

DISTANZE TRA COSTRUZIONI
Fabbricati antistanti – Disciplina
. (Dm 2 aprile 1968 n. 1444)
La Corte d'Appello di Napoli interviene in ordine alla disciplina normativa sulle distanze tra costruzioni. Rileva in materia la norma dell'art. 9 D.M. n. 1444/1968 che (per i <<nuovi edifici>>) prescrive la distanza di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Si tratta di una disposizione che (diversamente dalle norme del codice civile dettate sulle distanze) persegue obiettivi di interesse pubblico (non operando nei rapporti tra privati) e, in particolare, quello di preservare l'ordinato sviluppo dell'attività edilizia, nonché quello di preservare la salute dei cittadini, evitando il prodursi di intercapedini malsane. Il richiamato art. 9 stabilisce in modo inequivoco l'obbligo di osservare la distanza prevista quando anche una sola delle pareti fronteggiantisi sia finestrata e, in tale disposizione, non vi è alcun vuoto normativo che possa lasciar spazio a un'integrazione da parte della normazione locale. E cioè a dire, l'esistenza di una finestra è un dato di fatto, che non può essere sovvertito da alcuna diversa previsione di un regolamento edilizio e, ai fini dell'applicazione della norma in esame, devono intendersi come finestrate solo le pareti munite di finestre qualificabili come vedute. Tale norma ha un valore precettivo, e inderogabile, e prevale sulla disciplina legislativa regionale salvo che questa preveda deroghe al regime generale delle distanze nel senso di porre limiti maggiori;
la stessa ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti edilizi. Si osserva, infine, nella sentenza resa dall'adita Corte di Napoli come due fabbricati, per essere antistanti, non devono necessariamente essere paralleli, ma possono anche fronteggiarsi con andamento obliquo, purché tra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale che l'avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento. Da tale principio discende che non danno luogo a pareti antistanti gli edifici posti ad angolo retto, né quelli in cui sono gli spigoli opposti a potersi toccare se prolungati idealmente uno verso l'altro.
(Appello Napoli, sezione VI, 23 giugno 2022 n. 2916)

CONTRATTO DI TRASPORTO
Trasportatore – Spedizioniere – Differenze
. (Cc, articoli 1362, 1715 e 1741)
Intervenuto in tema di danneggiamenti occorsi a talune merci trasportate il Tribunale di Firenze, nella sentenza qui in esame, precisa come, nel contratto di trasporto il vettore, verso un corrispettivo, assume l'obbligo di trasportare le cose ricevute in consegna da un luogo ad un altro, e non esaurisce il suo compito se non avviene la consegna al destinatario, assumendo su di sé i rischi connessi al trasporto. Diversa è la figura dello spedizioniere che opera come intermediario tra colui che ha necessità del trasporto e colui che effettua il trasporto, assumendo l'obbligo di concludere solo il contratto di trasporto e di compiere le operazioni accessorie. La responsabilità dello spedizioniere è diversa e molto più limitata rispetto a quella gravante sul vettore, e va ricondotta a quella più generale della responsabilità del mandato, di cui costituisce una specificazione, dove ai sensi dell'art. 1715 c.c. «in mancanza di patto contrario, il mandatario che agisce in proprio nome non risponde verso il mandante dell'adempimento delle obbligazioni assunte dalle persone con le quali ha contrattato (…)». Ai fini della configurabilità del trasporto occorre che vi sia una chiara assunzione da parte del vettore, nei confronti del mittente, dell'obbligo dell'adempimento e della responsabilità relativa. Ai fini, poi, di qualificare la posizione giuridica di un soggetto come spedizioniere/vettore ai sensi dell'art. 1741 c.c., è necessario provare l'unitaria obbligazione di esecuzione, in autonomia, del trasporto della merce con mezzi propri o altrui, verso un corrispettivo; in altri termini, occorre provare che il soggetto agente in guisa di spedizioniere abbia altresì assunto l'obbligo dell'esecuzione del trasporto con mezzi propri o altrui, e non soltanto quello di stipulare un contratto di trasporto in nome proprio e per conto del committente. Orbene, al fine di pervenire a tale conclusione occorre un'indagine da parte del Giudice sul concreto intento negoziale delle parti, da desumere anche dal comportamento complessivo delle parti stesse, facendo ricorso ai criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c..
(Tribunale Firenze, sezione III, 20 giugno 2022 n. 1888)

RESPONSABILITÀ MEDICA
Condotta omissiva - Danno da perdita parentale
. (Cc, articolo 2059)
Adito in materia di malpractice medica il Tribunale di Catania osserva in sentenza come, ai fini della responsabilità civile, la verifica del nesso causale tra condotta omissiva (del medico) e fatto dannoso (a carico del paziente) si sostanzia nell'accertamento della probabilità positiva, o negativa, del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell'omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del "più probabile che non", conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana). Ciò premesso il Tribunale precisa come il danno da perdita parentale va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell'irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell'alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti. Tale danno viene si configura come la lesione non patrimoniale (ex art. 2059 c.c.) che un soggetto subisce, in conseguenza dell'attività illecita posta in essere da un terzo ai danni di altra persona legata alla prima da un rapporto di natura familiare e/o affettiva, di talché esso riassume in sé i caratteri del danno esistenziale, in quanto afferente alla sfera dinamico-relazionale del soggetto interessato, e quelli propri del danno morale, inteso come sofferenza intima del superstite.
(Tribunale Catania, sezione V, 21 giugno 2022 n. 2853)

AZIONE REVOCATORIA ORDINARIA
Requisiti – Fondo patrimoniale
. (Cc, articolo 2901)
Il Tribunale di Latina ripercorre in sentenza gli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza in tema di azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) precisando, tra l'altro, che l'atto di costituzione di un fondo patrimoniale è a titolo gratuito sicché, ai fini dell'accoglimento dell'azione pauliana, è sufficiente che ricorra il requisito della sussistenza di una ragione di credito, dell'eventus damni in pregiudizio del creditore, nonché della consapevolezza nel debitore del pregiudizio arrecato. In particolare, si accoglie una nozione lata di credito, comprensiva della ragione (o aspettativa), con conseguente irrilevanza dei normali requisiti della certezza, della liquidità e dell'esigibilità, ben potendo anche un credito eventuale, in quanto litigioso, determinare l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria. In particolare, nel caso di negozio costitutivo di fondo patrimoniale, si anticipa all'assunzione della garanzia fideiussoria il sorgere del diritto di credito sicché, ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria, è sufficiente la mera consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, c.d. scientia damni, la cui prova può essere fornita anche con presunzioni e senza che assumano viceversa rilevanza l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (consilium fraudis). Quanto all'eventus damni, a concretare lo stesso è sufficiente che l'atto di disposizione del debitore renda anche solo più difficile la soddisfazione coattiva del credito, concretando tale requisito anche la mera variazione qualitativa del patrimonio del debitore integrata con la costituzione in fondo patrimoniale di un bene immobile di proprietà dei coniugi in tal caso determinandosi, in presenza di una (già prestata) fideiussione in favore di terzi, il pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva.
(Tribunale Latina, sezione I, 20 giugno 2022 n. 1292)

GARANZIA PER I VIZI DELLA COSA VENDUTA
Vendite a catena – Responsabilità
. (Cc, articoli 1455, 1490, 1492 e 2697)
Il Tribunale di Palermo, chiamato a pronunciarsi in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, evidenzia, quale premessa generale del suo argomentare, come nelle cosiddette vendite "a catena" l'azione contrattuale spetti all'acquirente nei soli confronti del diretto venditore, in quanto l'autonomia di ciascun trasferimento non gli consente di rivolgersi contro i precedenti venditori, restando salva l'azione di rivalsa del rivenditore nei confronti del venditore intermedio. Si fa così applicazione del principio di diritto secondo cui, in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all'art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all'art. 1492 c.c. è gravato dell'onere di offrire la prova dell'esistenza dei vizi e ciò in linea con i principi generali di cui all'art. 2697 c.c. che, nel primo comma, impone all'attore di provare i fatti che costituiscono il fondamento del diritto da lui fatto valere (fatti costitutivi), con la conseguenza implicita che, se tale prova egli non fornisce, la sua domanda viene rigettata.
Inoltre, gli artt. 1490 e 1492 c.c. in tema di azione redibitoria vanno interpretati con riferimento al principio generale sancito dall'art. 1455 c.c. con la conseguenza che l'esercizio dell'azione è legittimato soltanto da vizi concretanti un inadempimento di non scarsa importanza, i quali non sono distinti in base a ragioni strutturali, ma solo in funzione della loro capacità di rendere la cosa inidonea all'uso cui era destinata o di diminuirne in modo apprezzabile il valore, secondo un apprezzamento di fatto riservato al Giudice del merito.
(Tribunale Palermo, sezione III, 21 giugno 2022 n. 2719)

TRASPORTO AEREO INTERNAZIONALE DI PERSONE
Ritardi – Risarcimento danni – Onere della prova.
(Cc, articolo 1460; Conv. Montreal 28 maggio 1999; Reg. Ce 11 febbraio 2004 n. 261, articolo 6)
Il Tribunale di Roma muove il suo argomentare dal principio di diritto, di carattere generale, secondo cui chi agisce per l'adempimento, la risoluzione e/o il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale ha soltanto l'onere di allegare l'inadempimento dell'altra parte, spettando poi al debitore l'onere di dimostrare di aver adempiuto esattamente all'obbligazione su di esso gravante, ovvero di non avervi potuto adempiere per fatto a lui non imputabile. Tale ripartizione dell'onere probatorio – si osserva in sentenza - non è derogata dalla normativa europea e pattizia in materia di responsabilità del vettore aereo per ritardo, o cancellazione, del volo, dovendo il trasportato provare soltanto la fonte, negoziale o legale, del suo diritto ed il contestuale termine di scadenza mediante la mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il vettore convenuto è gravato dell'onere della prova dall'esatto adempimento. Analogo criterio di riparto dell'onere probatorio si applica al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga, a sua volta, dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.. Risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, il debitore eccipiente si può limitare ad allegare l'altrui inadempimento ed il creditore agente ha l'onere di dimostrare il proprio esatto adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione. Orbene, in tema di contratto di trasporto aereo internazionale di persone, regolato dalla Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 e dal Regolamento CE n. 261/2004, secondo l'adito Tribunale di Roma, il passeggero che agisce per il risarcimento del danno cagionato dal negato imbarco, dalla cancellazione (inadempimento), o dal ritardato arrivo dell'aeromobile rispetto all'orario previsto (inesatto adempimento), deve fornire la prova dell'esistenza del contratto di trasporto (ossia produrre il titolo o il biglietto di viaggio o altra prova equipollente) ed unicamente allegare l'inadempimento del vettore, spettando a quest'ultimo dimostrare l'esatto adempimento della prestazione, ovvero l'imputabilità dell'inadempimento a caso fortuito o forza maggiore, ovvero ancora il contenimento del ritardo entro le soglie di rilevanza fissate dall'art. 6, I, del Regolamento CE n. 261/2004.
(Tribunale Roma, sezione XVII, 22 giugno 2022 n. 9993)

ACCREDITAMENTO SANITARIO
Prestazioni rese – Pretese creditorie – Onere della prova
. (Costituzione, articolo 81; Cc, articolo 2697)
Osserva il Tribunale di Napoli, adito in materia di accreditamento sanitario, come, con riferimento alla pretesa creditoria della struttura sanitaria accreditata per le prestazioni erogate nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.), il mancato superamento del tetto di spesa, fissato secondo le norme di legge, e nei modi da esse previsti, non integra un fatto costitutivo, la cui prova deve essere posta a carico della parte creditrice (struttura sanitaria accreditata), mentre il suo avvenuto superamento rileva come fatto impeditivo, con conseguente onere della prova, ex art. 2697 c.c., a carico della debitrice A.S.L..
Si consideri che l'accreditamento istituzionale, costituisce una abilitazione a negoziare con la P.A. una volta acclarati i requisiti tecnici, strutturali e organizzativi generali e specifici della struttura, in difetto dei quali non può neppure aprirsi una fase negoziale.
Da ciò deriva che l'accreditamento di per sé non genera alcun obbligo di acquisto da parte della amministrazione delle prestazioni che nella struttura possono essere rese. Tale obbligo deriva, in forza del fondamentale principio costituzionale, ex art. 81 Cost., dalla programmazione finanziaria che può variare di anno in anno, modificando così il volume delle prestazioni acquistabili da parte della amministrazione pubblica. Precisamente, se la programmazione regionale obbedisce a criteri propri di ottimizzazione del servizio sanitario nazionale, l'accreditamento istituzionale costituisce una verifica tecnico strutturale per l'eventuale ingresso della struttura nel servizio, con l'effetto che elemento centrale dei rapporti di ordine finanziario con le strutture private diviene l'accordo contrattuale che concretizza il vincolo negoziale sulla base delle esigenze finanziarie dell'azienda sanitaria, definendo i limiti economici in cui circoscrivere l'acquisto delle prestazioni della struttura accreditata. L'osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il S.S.N. può erogare e che può permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato, con la conseguenza che deve considerarsi giustificata (anche) la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni extra budget. Gli operatori privati accreditati sono, quindi, soggetti di un complesso sistema pubblico-privato qualificato dal raggiungimento di fini di pubblico interesse di particolare rilevanza costituzionale, quale il diritto alla salute, su cui gravano obblighi di partecipazione e cooperazione nella definizione della pianificazione e programmazione della spesa sanitaria.
(Tribunale Napoli, sezione X, 23 giugno 2022 n. 6327)

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