Civile

Va provato indebito vantaggio dell'incapace da chi chiede la restituzione della prestazione

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di Paola Rossi

Chi contrae con un soggetto incapace rischia oltre all'annullamento dell'atto di non vedersi restituita la prestazione eseguita. E questo al di là che abbia agito o meno in buona fede. La sentenza n. 2460 depositata ieri dalla terza sezione civile della Corte di cassazione, spiega, infatti, che la restituzione scatta solo se si dimostra che l'incapace ha ricevuto un inedbito vantaggio dall'altro contraente. E la prova va data dalla controparte "capace". Inoltre, afferma la Corte di legittimità che tale interpretazione - già affermata nel caso in cui il contratto annullabile sia stato concluso direttamente dal soggetto incapace - si applica anche quando il tutore agisca in qualità di rappresentante, ma sprovvisto dell'autorizzazione del giudice tutelare.

La vicenda - Nel caso risolto dai giudici di legittimità si trattava di una rinuncia ad ulteriori pretese successorie da parte di un minore, unico erede della propria madre, rappresentato dal padre non autorizzato dal giudice tutelare. Da cui l'avvenuto annullamento del contratto. La transazione conclusa con lo zio materno aveva determinato da parte di questo il pagamento di somme individuate come acconti e l'impegno a versare un'ulteriore somma forfettaria. E proprio gli acconti erano stati l'oggetto della domanda riconvenzionale di ripetizione dell'indebito, respinta dai giudici di merito e da quelli di legittimità adesso.

La prova grava sul solvens capace - Ai fini della restituzione di quanto pagato al soggetto privo della capacità a contrarre, va provato dalla controparte che le somme versate non corrispondono ad alcun diritto dell'incapace e che costituiscono quindi un suo indebito vantaggio. Al contario, come afferma la sentenza di rigetto del ricorso, non grava sul soggetto incapace dimostrare che - al di là dell'annullamento della transazione - aveva comunque diritto alla prestazione ricevuta dall'altro contraente.
Come spiega la Cassazione tale regola sull'onere della prova deriva direttamente dal fatto che il soggetto incapace si presume che si trovi sempre in una situazione di maggior debolezza rispetto all'altro contraente, che quindi sopporta le conseguenze dell'annullamento ed è gravato dall'onere di provare il vantaggio ottenuto dall'incapace . Infatti, la legge parte dal presupposto che un soggetto privo della necessaria capacità giuridica, come il minorenne, se ha disposto del suo patrimonio presumibilmente lo ha fatto male o che pur avendo ricevuto la prestazione l'abbia dissipata.

Corte di cassazione - Sezione III civile - Sentenza 4 febbraio 2020 n. 2460

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