Valutazione della tempestività del licenziamento per superamento del periodo di comporto
Licenziamento - Superamento del periodo del comporto - Recesso del datore di lavoro - Tempestività - Valutazione.
A differenza del licenziamento disciplinare, che postula l'immediatezza del recesso a garanzia della pienezza del diritto di difesa all'incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo del comporto per malattia, l'interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale va contemperato con quello del datore di lavoro a disporre di un ragionevole "spatium deliberandi", in cui valutare convenientemente la sequela di episodi morbosi del lavoratore, ai fini di una prognosi di sostenibilità delle sue assenze in rapporto agli interessi aziendali; in questo caso quindi il giudizio sulla tempestività del recesso non può conseguire alla rigida applicazione di criteri cronologici prestabiliti, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice di merito deve compiere caso per caso, con riferimento all'intero contesto delle circostanze significative.
• Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 11 settembre 2020, n. 18960
Licenziamento - Superamento periodo di comporto per malattia - Intimazione del licenziamento - Spatium deliberandi del datore di lavoro - Il licenziamento non deve necessariamente essere tempestivo.
Mentre nel licenziamento disciplinare sorge l'esigenza dell'immediatezza del recesso, volta a garantire la pienezza del diritto di difesa all'incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia l'interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale va contemperato con un ragionevole spatium deliberandi che va riconosciuto al datore di lavoro perché egli possa valutare convenientemente nel complesso la sequenza di episodi morbosi del lavoratore, ai fini di una prognosi di compatibilità della sua presenza in rapporto agli interessi aziendali. In questo caso la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice di merito deve fare caso per caso, con riferimento all'intero contesto delle circostanze significative. In altri termini, il datore di lavoro può sì recedere dal rapporto non appena terminato il periodo di comporto ma ha, altresì, la facoltà di attendere la ripresa del servizio per sperimentare in concreto se residuino o meno margini di riutilizzo del dipendente all'interno dell'assetto organizzativo dell'azienda. Solo in tale contesto l'eventuale prolungata inerzia datoriale, da valutare a decorrere dal rientro del lavoratore, può essere oggettivamente sintomatica della volontà di rinuncia al licenziamento e può ingenerare un corrispondente affidamento da parte del dipendente. Il perdurare dell'assenza del lavoratore, anche dopo il compimento del periodo comporto e nonostante una saltuaria ripresa del servizio, ben può legittimare il datore di lavoro a rinviare la sua decisione e tale comportamento può non essere un indice decisivo della volontà datoriale di soprassedere al recesso.
• Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 20 marzo 2019, n. 7849
Lavoro subordinato - Estinzione del rapporto - Diritto alla conservazione del posto - Malattia - Comporto - Licenziamento per superamento del periodo di comporto - Inerzia del datore di lavoro nel protrarsi dell'assenza - Rinuncia tacita al recesso - Configurabilità - Esclusione - Fattispecie.
In tema di licenziamento per superamento del comporto, il datore di lavoro può recedere non appena terminato il periodo suddetto, e quindi anche prima del rientro del prestatore, ma ha, altresì, la facoltà di attendere la ripresa del servizio per sperimentare in concreto se residuino o meno margini di riutilizzo del dipendente all'interno dell'assetto organizzativo, se del caso mutato, dell'azienda. Ne deriva che solo a decorrere dal rientro del lavoratore, l'eventuale prolungata inerzia datoriale può essere oggettivamente sintomatica della volontà di rinuncia al licenziamento e, quindi, ingenerare un corrispondente incolpevole affidamento da parte del dipendente, e che, in mancanza di detto rientro, non può prospettarsi alcun ritardo nell'intimazione del recesso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato dopo circa un anno dal superamento del periodo massimo di comporto, perdurando in detto lasso di tempo l'assenza del lavoratore, che aveva sollecitato un'ulteriore verifica medico legale).
• Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 20 settembre 2016 n. 18411
Licenziamento - Individuale - Per superamento del periodo di comporto - Tempestività - Valutazione - Criteri.
Il giudizio sulla tempestività del licenziamento per superamento del periodo di comporto non può conseguire alla rigida e meccanica applicazione di criteri temporali prestabiliti, ma va condizionato a una compiuta considerazione di ogni significativa circostanza idonea a incidere sulla valutazione datoriale circa la sostenibilità o meno delle assenze del lavoratore in rapporto con le esigenze dell'impresa, in un'ottica delle relazioni aziendali improntata ai canoni della reciproca lealtà e della buona fede, che comprendono, tra l'altro, la possibilità, rimessa alla valutazione dello stesso imprenditore nell'ambito delle funzioni e delle garanzie di cui all'articolo 41 della Costituzione, di conservazione del posto di lavoro anche oltre il periodo di tutela predeterminato dalle parti collettive, compatibilmente con le esigenze di funzionamento dell'impresa.
• Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 1° giugno 2015 n. 11314
Lavoro - Lavoro subordinato - Estinzione del rapporto - Diritto alla conservazione del posto - Infortuni e malattie - Comporto - Tempestività del licenziamento - "Spatium deliberandi" - Criterio temporale predeterminato - Esclusione - Valutazione caso per caso - Configurabilità - Fondamento - Valutazione - Necessità - Fattispecie.
La tempestività del recesso conseguente al superamento del periodo di comporto deve essere considerata in relazione all'esigenza di un ragionevole "spatium deliberandi" che va riconosciuto al datore di lavoro perché egli possa convenientemente valutare nel suo complesso la sequenza di episodi morbosi del lavoratore in rapporto agli interessi dell'azienda. Ne consegue che il giudizio sulla tempestività, o meno, del recesso non può conseguire alla rigida e meccanica applicazione di criteri temporali prestabiliti, ma va condizionato, invece, ad una compiuta considerazione di ogni significativa circostanza idonea a incidere sulla valutazione datoriale circa la sostenibilità, o meno, delle assenze del lavoratore in rapporto con le esigenze dell'impresa, in un'ottica delle relazioni aziendali improntata ai canoni della reciproca lealtà e della buona fede, che comprendono, fra l'altro, la possibilità, rimessa alla valutazione dello stesso imprenditore nell'ambito delle funzioni e delle garanzie di cui all'art. 41 Cost., di conservazione del posto di lavoro anche oltre il periodo di tutela predeterminato dalle parti collettive, compatibilmente con le esigenze di funzionamento dell'impresa.
• Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 25 novembre 2010 n. 23920