Civile

Mediazione applicabile in ambito familiare anche nelle sottrazioni internazionali di minori

di Giuseppe Buffone

In perfetta sintonia con le ultime indicazioni legislative (che hanno promosso il ricorso a strumenti alternativi di risoluzione delle controversie giudiziali: si veda da ultimo, negoziazione assistita, ex lege n. 162 del 2014), il tribunale per i minorenni di Bologna, in un caso di sottrazione internazionale, sollecita un percorso di mediazione familiare proponendo ai genitori in lite di provare a risolvere la lite insorta mediante un accordo, avvalendosi di esperti; ciò inducendoli ad anteporre alle ragioni individuali del conflitto, il preminente interesse del minore conteso.

La vicenda concreta all'origine della decisione - Due coniugi (cittadini italiani), genitori di due bambini di 6 e 3 anni, fissano la loro residenza negli Stati Uniti. A seguito di una crisi familiare insorta tra i partners, la madre torna in Italia con i figli e non fa più rientro in America.
Il padre dei bambini denuncia la consorte per sottrazione internazionale. La procedura conduce all'intervento del tribunale per i minorenni di Bologna che, sentiti marito e moglie, propone alla coppia un percorso di mediazione familiare. I genitori accettano l'invito.
È una decisione che consta di pochi precedenti analoghi.

La sottrazione internazionale di minori - La residenza abituale del minore, intesa come luogo in cui questi ha stabilito la sede prevalente dei suoi interessi e affetti, costituisce uno dei principali «affari essenziali» per la vita del fanciullo. Il luogo di residenza abituale dei minori, pertanto, deve essere deciso dai genitori «di comune accordo» (Cc, articolo 316, comma 1).

La scelta della residenza - Trattandosi di una delle questioni di maggiore importanza per la vita del minore, anche in caso di disgregazione della unione familiare la scelta della residenza abituale deve essere assunta di comune accordo da padre e madre (Cc, articolo 337-bis, comma 3) e ciò pure là dove sia stato fissato un regime di affidamento monogenitoriale (Cc, articolo 337-quater, comma 3) con l'una eccezione dell'affidamento cosiddetto rafforzato o super-esclusivo (su cui tribunale di Milano, sezione IX civile, 20 marzo 2014; tribunale di Pavia 29 dicembre 2014, Relatore Frangipane; tribunale di Torino, sezione VII civile, 22 gennaio 2015, Presidente Castellani).

La soluzione in caso di disaccordo - In caso di disaccordo, è dato ricorso al giudice: non è, cioè, ammissibile una decisione unilaterale del singolo genitore. In altri termini, il trasferimento unilaterale (cioè non concordato) della prole realizzato da un genitore senza il consenso dell'altro integra un atto illecito.
Ove il minore sia condotto all'estero da un genitore senza il consenso dell'altro (o non rientri nella casa familiare, con trattenimento in un altro Stato) si consuma, in particolare, una condotta di sottrazione internazionale (sub specie di sottrazione o mancato rientro).
La sottrazione di minori con implicazioni internazionali costituisce la forma più grave di illecito genitoriale poiché non solo recide il legame genitoriale tra il fanciullo e il genitore che subisce la condotta sottrattiva, ma pure obbliga l'interessato al ricongiungimento con la sua prole a far fronte alle innumerevoli difficoltà determinate dalla dimensione transfrontaliera del torto subito.
Peraltro, la soluzione del problema richiede necessariamente una attività di collaborazione di più Stati.

Gli strumenti internazionali - Da qui, come noto e per quanto qui interessa, il ricorso a strumenti internazionali che istituiscono procedure giurisdizionali multi-level deputate a ripristinare il rapporto genitoriale mutilato (si veda, quanto alla Ue, il Reg. Ce n. 2201 del 2003; altrimenti, Convenzione dell'Aia del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ratificata dall'Italia con legge 15 gennaio 1994 n. 64).
L'utilizzo di questi strumenti - in uno con le altre misure di reazione previste dal diritto interno - può condurre, come noto, anche alla sospensione della responsabilità genitoriale di chi ha commesso la sottrazione; ma può anche protrarsi nel tempo, per un periodo di non scarsa rilevanza.

I limiti che emergono dalle soluzioni giudiziali - La soluzione giudiziale del conflitto è, insomma, tendenzialmente (e naturalmente) carica anche di profili punitivi o quanto meno sanzionatori con ripercussioni inevitabilmente negative per lo sviluppo del minore: meno negative di quelle derivanti dalla sottrazione, ma comunque negative. Quali altre strade allora?

La mediazione applicata alla sottrazione - Una strada alternativa alla soluzione giudiziale del conflitto è quella di provocare, nei genitori, un recupero delle competenze relazionali, mediante la sottoscrizione di accordi amichevoli.
Questa soluzione è, invero, considerata ben preferibile a quella somministrata dal plesso giudiziario. Ciò perché è «indispensabile risolvere i contrasti - anche gravi - tra i genitori in modo amichevole e civile, perseguendo come fine prioritario l'interesse del bambino ad avere relazioni affettive con entrambi» privilegiando «l'interesse superiore e primario del minore, cercando di raggiungere un accordo sulle modalità di affido e/o di visita» (si veda, nella pagina dedicata, questa esplicita indicazione, in: http://www.esteri.it).
È questa linea di azione che viene perseguita dal tribunale per i minorenni con una decisione allineata all'impostazione europea: valga ricordare che, dal 1987, è stata istituita l'apposita figura del mediatore del Parlamento europeo per i casi di sottrazione internazionale di minori.

La scelta del tribunale di Bologna - Il tribunale minorile bolognese sceglie, infatti, di proporre ai genitori un percorso di mediazione. Come noto, la mediazione è una forma alternativa di risoluzione delle controversie volta alla gestione positiva dei conflitti.
Essa ha lo scopo di indurre le parti a trovare una soluzione accettabile e soddisfacente per entrambe grazie all'assistenza di un terzo soggetto: il mediatore. La codificazione attuale ha un unico riferimento alla mediazione familiare, nell'articolo 337-octies, comma 2, del codice civile (già articolo 155-sexies del Cc), con un formante legislativo lacunoso e perciò poco esplorato; oggi addirittura imbarazzante poiché relega all'eventualità (e alla virtuosità delle prassi locali) l'istituto più importante in materia di risoluzione dei conflitti familiari.
A ogni modo, il tribunale dei minorenni di Bologna mostra di assegnare all'istituto della mediazione familiare una valenza generale, una sorta di «strumento privilegiato» a sostegno del minore, messo in moto, sostanzialmente, da due elementi concorrenti:
1) l'accordo dei genitori;
2) la valutazione favorevole del giudice.
Efficace il qualificare il diritto minorile come «diritto per i minori e non sui minori» così guardando al suo interesse preminente a prescindere dal tipo di conflitto che lo coinvolge nel processo.

Ma perché la mediazione familiare? - Il tribunale bolognese, nella decisione in esame, mette ben in mostra i vantaggi del percorso mediativo.
In primo luogo, «la decisione definirebbe la lite ma non chiuderebbe il conflitto»: il minore (salvato dalla sottrazione) dovrebbe affrontare una serie indefinita di ulteriori controversie giudiziali senza ritrovare un equilibrio nelle relazioni genitoriali.
In secondo luogo, solo la mediazione (e non anche la decisione giudiziale) è in grado di garantire una soluzione condivisa, senza vinti o vincitori ma solo con genitori partecipi di un disegno di «trasformazione del conflitto» (secondo la definizione efficace adottata da Fragomeni, «Conflitti: istruzioni per l'uso», 2014).

Mediazione come cultura e cultura della mediazione - L'esempio del tribunale bolognese dovrebbe essere seguito senza condizioni.
Anzi: il percorso di mediazione familiare, nell'ambito dei conflitti genitoriali, dovrebbe costituire un obbligo (o quanto meno un onere) preventivo ex lege; seguendo l'esempio di altri ordinamenti, si potrebbe ad esempio ipotizzare che, il preventivo ricorso alla mediazione familiare, esoneri dal pagamento del contributo unificato se poi viene introdotta la lite; oppure costituisca una condicio sine qua non per accedere al patrocinio a spese dello Stato.
Insomma incentivarne il ricorso poiché la mediazione familiare può aiutare (e molto) una famiglia nella fase patologia dei suoi rapporti. Anche nel processo di famiglia, come per il procedimento civile in generale, la mediazione si distingue come sistema omeostatico, capace di offrire ai litiganti un modo diverso di affrontare i conflitti, se possibile ricavandone elementi positivi piuttosto che rabbia e rancore.
Il conflitto non è sbagliato: è sbagliato il modo con cui lo si affronta.

Le osservazioni conclusive - In attesa di una seria e razionale riforma del sistema di mediazione familiare nella giustizia minorile, allo stato è auspicabile che i giudici del conflitto non sottovalutino le potenzialità dell'istituto. La mediazione è una forma di cultura ma presuppone una cultura della mediazione che ahimè non può dirsi ancora molto diffusa.
Troppo spesso il mediatore familiare è sottovalutato quasi come se il fallimento del tentativo di conciliazione del magistrato fosse indicativo del fatto che anche la mediazione non riuscirebbe. Ma il giudice non è un mediatore (proprio come il mediatore non è un giudice).
Quando la famiglia si disgrega e i coniugi/genitori non riescono a risolvere mediante accordo la loro lite, l'isola delle relazioni familiari, appena lambita dalle onde del mare del diritto, può scegliere di attraversare la quiete della mediazione piuttosto che imboccare la strada tempestosa del processo.
Il tribunale minorile e quello della famiglia dovrebbero più spesso decidere di non decidere, sollecitando nelle parti la consapevolezza di poter da sole trovare una soluzione, con l'assistenza degli esperti.
Proprio come ha fatto il tribunale di Bologna, nel caso sottoposto al suo esame.

Tribunale per i minorenni di Bologna - Ordinanza 5 marzo 2015

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