Civile

Odissea l’iscrizione all’albo: medico vince dopo 10 anni

di Alessandro Galimberti

Dieci anni per ottenere l’iscrizione all’Albo degli odontoiatri presso l’Ordine provinciale dei medici di Milano, due lustri costellati da ricorsi di ogni ordine e grado (Corte costituzionale compresa) e che culmineranno, tra due settimane, in un giuramento atteso esattamente 120 mesi fa.

È emblematica nel suo genere la storia di George S., medico siriano laureato a Beirut (Chirurgien dentiste), cattolico - circostanza non priva di significato se riletta oggi - che il 1° ottobre del 2009 aveva pensato di trasferire in Italia, a Milano, la sua attività professionale. Un’aspirazione che il dentista potrà coronare però solo il prossimo 5 novembre, dieci anni, un mese e dozzine di tribolazioni burocratiche dopo, in un crescendo drammaticamente italico di carte bollate, e solo grazie al definitivo pronunciamento della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie. Questa, con una flemma argomentativa ammirevole, la scorsa estate ha chiuso con cinque pagine di motivazione una vicenda che ora approda a pubblico giuramento.

Tutto perché 25 giorni dopo la prima istanza del dr. George, con un’efficienza davvero meneghina il Consiglio dell’Ordine dei medici e odontoiatri di Milano aveva bocciato la richiesta in quanto non supportata dai «requisiti di legge» . Immediato il ricorso in via gerarchica alla Commissione centrale di cui sopra, che si allineava alla decisione senza nulla eccepire. Il motivo? È vero che il dottore ha conseguito una laurea siriana, assistita da un accordo internazionale di riconoscimento reciproco con l’Italia datato 1958, ma la ottenne nella sede di Beirut. Partita chiusa? Neanche un po’. George S. ricorre in Cassazione dove i giudici improvvisamente si accorgono che, forse, le modalità di costituzione della Commissione centrale (ancora lei) in ossequio a una legge pre-costituzionale (13 settembre 1946, n. 233: Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell'esercizio delle professioni stesse) sono illegittime rispetto alla Carta,nella parte in cui inserisce dei commissari di derivazione ministeriale. Il 7 ottobre del 2016, più o meno quando il plurirespinto medico siriano avrebbe potuto festeggiare i suoi sette anni di italica professione, la Consulta inverte la rotta dei “no” consecutivi: quella legge post bellica è incostituzionale, almeno per la parte impugnata. Il fascicolo torna allora in Cassazione che, forte del colpo di spugna calato dall’alto, cancella anche la teoria di niet che fino a quel momento aveva inseguito il dottore cattolico in fuga dal suo Paese (e nel frattempo trasferitosi ad esercitare nel vicino Golfo). Il caso a quel punto torna alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni mediche, non prima di aver scarrocciato per un paio di tappe anche davanti ai giudici amministrativi. Infatti,nelle more il ministero, incurante della pendente questione di legittimità, aveva reintegrato la “solita” Commissione centrale con i due “consueti” membri di derivazione ministeriale (Consiglio superiore della Sanità): per il Tar incredibilmente tutto ok, mentre il Consiglio di Stato il giorno dopo Santo Stefano annullava in parte - quella parte - il decreto costitutivo della Commissione.

La scorsa estate, dopo due giri completi dell’universo della giurisprudenza nazionale, il fascicolo del dr. George tornava nella sua sede naturale, la Commissione centrale. La quale, capito evidentemente ormai il vento che tira, ripercorre ancora una volta tutta l’intricata vicenda storica (compresi i due tentativi falliti dal medico di superare un’abilitazione italiana) e alla fine certifica che, nonostante una nota del ministero degli Esteri che il 27 ottobre 2009 (!) preannunciava l’uscita dell’Italia dall’accordo di reciprocità (mai però denunciato) e nonostante la laurea siriana fosse stata conseguita a Beirut, nonostante tutto il dr. George può essere iscritto a Milano. Giurerà il 5 novembre: «In questa vicenda forse c’è stata troppa pertinacia amministrativa» chiosa con humor il suo avvocato, Bruno Nascimbene.

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