Blogger responsabile se non rimuove i commenti illeciti segnalati
Per la Suprema corte, ordinanza n. 17360/2025, non è necessario che la comunicazione venga dalle “autorità competenti”
La Cassazione “allarga” la responsabilità del blogger (hosting provider non attivo) per i commenti ingiuriosi comparsi sul sito anche al caso in cui la conoscenza dei medesimi sia stata acquisita non da una “comunicazione delle autorità competente”, ma per altre vie. Per la Corte di cassazione, ordinanza n. 17360 depositata oggi, dunque, l’obbligo di rimozione delle informazioni illecite memorizzate sorge per l’hosting provider nel momento stesso in cui egli, in qualunque modo, acquisisca la conoscenza di fatti o circostanze che rendano tale illiceità manifesta. In quest’ottica, la «comunicazione delle autorità competenti» rappresenta solo una fonte qualificata di acquisizione della predetta conoscenza che, “verosimilmente, semplifica anche la valutazione per il prestatore del carattere manifesto dell’illiceità dell’informazione e l’eventuale giudizio sulla sua effettiva consapevolezza della stessa”.
Il ricorrente sentitosi diffamato dalla pubblicazione di commenti ritenuti diffamatori da parte di terzi utenti, non rimossi tempestivamente, aveva chiesto il risarcimento al curatore del blog. Sia il tribunale che la Corte di appello, tuttavia, avevano respinto la domanda. Per il giudice di secondo grado, infatti, l’obbligo di rimozione dei commenti illeciti (nella specie, diffamatori), per il prestatore di servizi (nella specie: hosting provider), ai sensi dell’art. 16 del Dlgs n. 70 del 2003, sussisterebbe solo a seguito di una comunicazione da parte delle autorità competenti in ordine al carattere illecito dei medesimi, cioè in base ad una “conoscenza qualificata” della illiceità, e non da una “mera conoscenza di fatto di essa, acquisita in altro modo”. In base a questa lettura l’obbligo di rimozione non conseguirebbe mai alla conoscenza del carattere illecito del commento acquisita in base alla segnalazione della parte lesa.
Per la Terza sezione civile si tratta di una affermazione in consapevole contrasto con quanto, invece, affermato dalla giurisprudenza di legittimità in sede penale in casi analoghi (12546/2019). E che collide con la ratio della norma (Dlgs 70/2003) che recepisce la Direttiva 2000/31/CE, nella quale non è prevista la “conoscenza qualificata”. Inoltre, una simile interpretazione “garantisce un equilibrato contemperamento tra la tutela della posizione del prestatore di servizi (non attivo) nella società dell’informazione, la cui responsabilità si è ritenuto opportuno limitare sul piano normativo, per favorire lo sviluppo e la trasmissione dei servizi e delle idee in tale ambito, e la tutela dei soggetti che possono esserne potenzialmente lesi”.
In definitiva, per la Cassazione il punto di equilibrio che emerge dalla normativa euro-unitaria ed interna è dato dai seguenti principi di diritto: «Il prestatore di servizi informatici che assuma il ruolo di hosting provider non attivo va, di regola, esente dalla responsabilità per la pubblicazione delle eventuali informazioni illecite che provengano dai terzi – e, più specificamente, in relazione alla problematica oggetto della presente controversia – per tutti gli eventuali commenti diffamatori inviati dai terzi, ma, una volta che egli acquisisca la consapevolezza della manifesta illiceità degli stessi (in qualunque modo, anche non necessariamente a seguito di una comunicazione delle autorità competenti, sebbene, in tale ultimo caso, possa essere più agevole percepire il carattere “manifesto” dell’illiceità), è tenuto ad attivarsi per rimuoverli tempestivamente, per continuare a godere dell’esenzione dalla indicata responsabilità»