Civile

Imposta di pubblicità, la foto di Google che ritrae il messaggio vale come prova

di Andrea Alberto Moramarco

Per verificare la sussistenza del messaggio pubblicitario che determina il pagamento dell'imposta di pubblicità, salvo contestazione del contribuente, hanno valida efficacia probatoria sia l'accertamento effettato da soggetto esterno all'organigramma comunale, sia le foto tratte da Google che ritraggono il messaggio pubblicitario. Ad affermarlo è la Cassazione con l'ordinanza n. 308/2020.

Il caso - La vicenda prende le mosse da un avviso di accertamento per l'imposta di pubblicità per il periodo 2009-2014 con il quale veniva contestato al titolare di un'agenzia pubblicitaria di aver promosso la sua attività tramite un veicolo parcheggiato contenente messaggi pubblicitari. La contestazione si fondava sul rilevamento effettuato nel 2009 e nel 2010 tramite foto google earth e google street view, nonché in base ad accertamento effettuato da persona incaricata dall'amministrazione nel 2014, dal quale si presumeva anche per gli anni intermedi l'avvenuta pubblicità per mezzo dello stazionamento del veicolo.
Il contribuente riteneva però di non dover pagare alcunché contestando la validità dell'accertamento effettuato «da una persona fisica estranea all'organigramma comunale», oltre che basato su «file scaricati da internet privi di qualsivoglia ufficialità».

La decisione - I giudici tributari in entrambi i gradi di giudizio ritenevano, tuttavia, legittimo il pagamento dell'imposta di pubblicità e lo stesso fa la Cassazione dichiarando inammissibile il ricorso presentato dal contribuente. La Suprema corte sottolinea come l'efficacia probatoria dell'accertamento effettuato dall'incaricato dall'ente locale, così come la stessa valenza di prova delle fotografie prese da internet, avrebbero dovuto essere contestate più opportunamente dal ricorrente nei gradi di merito.
A ogni modo, quanto all'accertamento disposto da persona incaricata, i giudici di legittimità ricordano che esso costituisce «mezzo di prova ancorché privo della forza probatoria privilegiata dell'atto pubblico». Quanto, invece, alle foto tratte da Google, per il Collegio si tratta pur sempre di fotografia, la quale comunemente costituisce «prova precostituita della sua conformità alle cose e ai luoghi rappresentati», salvo l'onere di chi voglia inficiarne l'efficacia di «disconoscere tale conformità». Un tale disconoscimento, «chiaro, circostanziato ed esplicito» non c'è stato da parte del contribuente, il quale, erroneamente, si è limitato a ritenere inattendibili i riscontri fotografici tratti da internet.

Corte di Cassazione – Sezione VI – Ordinanza 10 gennaio 2020 n. 308

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