Civile

Fine vita, la volontà si può ricostruire con l’amministratore

di Angelo Di Sapio e Daniele Muritano

Valgono anche le dichiarazioni dell’amministratore di sostegno per ricostruire la volontà della persona che assiste. Lo ha stabilito il Giudice tutelare di Roma, con decreto del 23 settembre. Una pronuncia che aggiunge un tassello per valutare il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento (Dat) previsti dalla legge 219/2017, della quale va ancora scoperta l’effettiva portata culturale, medico-ospedaliera e giuridica.

Il decreto riguarda il caso di un amministratore (ads) con rappresentanza esclusiva in ambito sanitario che aveva chiesto di essere autorizzato a rifiutare le terapie somministrate alla beneficiaria. Il giudice ha dichiarato il non luogo a provvedere. Il ragionamento si focalizza sulla lettera dell’articolo 3, comma 4 della legge 219/2017, secondo cui, nel caso in cui la nomina dell’ads preveda tale rappresentanza, il consenso informato al trattamento sanitario è espresso o rifiutato da lui, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità d’intendere e volere. Il giudice può intervenire solo in caso di divergenza tra ads e medico sulla prosecuzione delle cure: per quest’eventualità il giudice di Roma si è riservato ogni provvedimento.

La peculiarità del caso stava qui: la beneficiaria non era in grado di esprimere la sua volontà, che pertanto andava ricostruita. Ma come? Anche «in via presuntiva, alla luce delle dichiarazioni rese in passato dall’amministrata, anche alla presenza dello stesso amministratore», afferma il giudice. Il passaggio evoca il caso Englaro. La Cassazione considerò imprescindibile la voce della paziente, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni o dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti (sentenza 21748/2007).

Il decreto dà però l’impressione d’inciampare in un automatismo. La legge 219/2017 non ha disciplinato le modalità di conferimento all’ads dei poteri in ambito sanitario e il loro esercizio, che restano regolati dal Codice civile. Lo dice la Corte costituzionale nella sentenza 144/2019 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 20 giugno), per cui l’esegesi dell’articolo 3, commi 4 e 5 della legge 219/2017, tenuto conto dei princìpi che conformano l’amministrazione di sostegno, porta a negare che l’attribuzione della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario rechi con sé, anche e necessariamente, il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita.

In sintesi, per la Consulta il conferimento della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario non basta. Per esprimere il rifiuto a tali trattamenti, in assenza di Dat, occorre una specifica attribuzione di poteri. Solo dopo l’ads non va ulteriormente autorizzato. Così è il giudice ad avere un ruolo centrale, non l’ads.

S’insegna che anche il diritto muto è parte integrante dell’ordinamento. Ma è difficile dire se un decreto di non luogo a provvedere basti a integrare un decreto di nomina silente, comprendendo implicitamente nell’oggetto dell’amministrazione anche il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita. La materia è delicatissima e, parafrasando Goethe, va detto che la chiarezza sarebbe doverosa per una giusta distribuzione di poteri e responsabilità.

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