Casi pratici

Il contratto derivato: profili normativi e giurisprudenziali

di Giancarlo Marzo e Irene Barbieri

LA QUESTIONE

Cosa si intende per contratto derivato? Quali sono i possibili vizi del contratto derivato? E le conseguenze?

Il contratto derivato non è definito legislativamente, ma solo menzionato dall'art. 1 ("definizioni") del T.U.F. (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58: «Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52»).
L'art. 1, infatti, al n. 2, (modificato dal D.Lgs. 17.01.2003, n. 6, ed in seguito sostituito dall'art. 1 D.Lgs. 17.09.2007, n. 164), definisce quali siano gli "strumenti finanziari" e, tra di essi, prevede i contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati ("future"), "swap", accordi per scambi futuri di tassi di interesse e "altri contratti derivati" connessi:
- a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti;
- altri strumenti derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti;
- a merci il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti;
- a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati su un mercato regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione;
- a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna fisica del sottostante, diversi da quelli ora indicati, che non hanno scopi commerciali, e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini;
- a variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti;
- a beni, diritti, obblighi, indici e misure, diversi da quelli indicati precedentemente, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini.
È, dunque, la "connessione" ad un parametro eterodeterminato (valore mobiliare, merce, variabile climatica, beni, diritti ecc.) che rende il contratto "derivato". Pertanto, è l'oggetto del contratto che lo rende derivato o meno. Tale oggetto è "variabile", in quanto le prestazioni potranno essere determinate solo successivamente alla conclusione del contratto, ossia quando si verificherà un certo evento o in base alle variazioni di valore del parametro sottostante. L'elencazione dell'art. 1 del T.U.F. è esemplificativa e rinvia, al successivo n. 2 bis, inserito dall'art. D.Lgs. 17.09.2007, n. 164, ad un regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze, per l'individuazione di ulteriori contratti derivati. Il Legislatore mostra così di non aver voluto tipizzare i contratti derivati proprio per lasciare libertà negoziale alla complessa ingegneria finanziaria che ha creato questa tipologia di contratti e che è in costante evoluzione.


Definizione di alcuni specifici contratti derivati
I contratti a termine (futures) e di opzione (options) sono definiti dal regolamento della Borsa Italiana. Esso prevede all'art. 4.7.1 che:
«1. Nel mercato degli strumenti derivati possono essere negoziati contratti futures e contratti di opzione aventi come attività sottostante strumenti finanziari, tassi di interesse, valute, merci e relativi indici.
2. Per contratto futures si intende uno strumento finanziario di cui all'articolo 1, comma 2, lettera
f) del Testo Unico della Finanza con il quale le parti si impegnano a scambiarsi alla scadenza un certo quantitativo dell'attività sottostante a un prezzo prestabilito. La liquidazione a scadenza del contratto può altresì avvenire mediante lo scambio di una somma di denaro determinata come differenza tra il prezzo di conclusione del contratto e il suo prezzo di liquidazione.
3. Per contratto di opzione si intende uno strumento finanziario di cui all'articolo 1, comma 2, lettera i), del Testo Unico della Finanza, con il quale una delle parti, dietro pagamento di un corrispettivo (premio), acquista la facoltà di acquistare (opzione call) o di vendere (opzione put), alla o entro la data di scadenza, un certo quantitativo dell'attività sottostante a un prezzo prestabilito (prezzo di esercizio). La liquidazione del contratto può altresì avvenire mediante lo scambio di una somma di denaro determinata, per le opzioni call, come differenza tra il prezzo di liquidazione dell'attività sottostante e il prezzo di esercizio, ovvero, per le opzioni put, come differenza tra il prezzo di esercizio e il prezzo di liquidazione dell'attività sottostante, il giorno in cui la facoltà è esercitata o alla scadenza.
4. In ogni caso l'attività sottostante uno strumento derivato deve soddisfare caratteristiche di liquidità, continuità delle negoziazioni, disponibilità o reperibilità di tutte le informazioni rilevanti, disponibilità di prezzi ufficiali o comunque significativi. Qualora l'attività sottostante sia costituita da indici, gli stessi devono essere caratterizzati da trasparenza nei metodi di calcolo e di diffusione».


Terminologia necessaria alla comprensione del fenomeno
Per comprendere questa definizione ed in generale qualsiasi contratto derivato e la giurisprudenza in merito, è necessario chiarire il "gergo finanziario" impiegato:
- call option: facoltà di acquistare;
- put option: facoltà di vendere;
- covered warrants: titoli liberamente negoziabili sui mercati regolamentari e rappresentativi di opzioni (Trib. Napoli 22 marzo 2005, in Contratti, 2006, 113 ss. con nota di GAETA );
- swaps: contratto aleatorio con cui le parti si obbligano reciprocamente all'esecuzione, l'una nei confronti dell'altra, alla scadenza di un termine prestabilito di una prestazione pecuniaria il cui ammontare è determinato da un evento incerto (Cass. 19 maggio 2005, n. 10598, in Mass. Giust. Civ., 2005). A seconda dell'evento incerto, gli swap sono classificati in:
i) commodity swap: se si riferiscono alle merci;
ii) interest rate swap: se si riferiscono ai tassi di interesse;
iii) currency swap: se si riferiscono alle valute;
iv) credit default swap: se si riferiscono all'insolvenza del debitore principale (reference entity);
- reference entity: il debitore che presenta un certo rischio di credito. Vi sono contratti derivati (ad es. credit default swap) che trasferiscono il rischio del credito, ossia il rischio che il debitore diventi insolvente;
- over the counter: negoziazione al di fuori dei mercati regolamentari, che avviene di regola per i contratti swap. I contratti derivati a termine e di opzione sono, invece, negoziati nei mercati regolamentati;
- netting: compensazione;
- hedging: scopo di garanzia del contratto;
- mark to market: l'atto di assegnare ad ogni contratto presente nel portafoglio un prezzo che rifletta il suo valore corrente di mercato (v. indagine conoscitiva ABI sull'utilizzo e la diffusione degli strumenti di finanza derivata e delle cartolarizzazioni nelle pubbliche amministrazioni del 1° aprile 2009);
- par: il valore corrente dell'attività sottostante al momento della sottoscrizione del contratto è nullo;
- non par: il valore corrente dell'attività sottostante al momento della sottoscrizione del contratto è negativo per una delle parti;
- up front: somma di denaro che una parte versa all'altra in condizione "non par", ossia più svantaggiata (Trib. Terni 8 febbraio 2012, in I contratti, 5/2012, con nota di RUGGI e SETTANI );
- IDEM: mercato degli strumenti derivati, ossia il mercato di borsa in cui si negoziano contratti futures e contratti di opzione aventi come attività sottostante strumenti finanziari, tassi di interesse, valute, merci e relativi indici (art. 1.3 del regolamento di Borsa Italiana).

Quadro normativo
I contratti derivati sono sia "contratti", e perciò sottoposti alle norme generali sui contratti dettate dal Codice civile agli artt. 1321 e seguenti, sia "strumenti finanziari", perciò sottoposti alle norme del T.U.F. e regolamenti della Consob o della Banca d'Italia ad esso connessi.
In quanto "contratti", essi devono presentare tutti i requisiti di cui all'art. 1325, ossia: accordo delle parti; causa; oggetto; la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge a pena di nullità. Essendo atipici, ossia non espressamente disciplinati dal Codice o da una legge speciale, ma elaborati dalle parti, in base alle loro specifiche esigenze di negoziazione, essi sono legittimi se diretti alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico, ex art. 1322 c.c. Per stabilire ciò, dovranno essere valutati tutti gli elementi essenziali del contratto ed in particolare la sua causa. I vizi in cui potranno incorrere i contratti derivati saranno, perciò, i vizi dei contratti in generale, che possono essere genetici (attengono alla fase di formazione del contratto - il contratto "è nato male"):
- nullità, per mancanza di forma scritta, mancanza di causa in concreto o per violazione dell'art. 1322 c.c.;
- annullabilità, per dolo o errore; o funzionali (attengono alla fase di esecuzione del contratto - "il contratto è nato bene ma funziona male"):
- risoluzione, per inadempimento, per impossibilità sopravvenuta o eccessiva onerosità (ove non espressamente esclusa).
In quanto strumenti finanziari, alla loro conclusione e alla loro esecuzione è applicabile la normativa del T.U.F. (artt. 21 rubricato "criteri generali" e 23 T.U.F., rubricato "contratti") e i successivi regolamenti della Consob, secondo la quale si può far valere:
- nullità per difetto di forma scritta (artt. 1325 c.c. e 23 T.U.F.);
- responsabilità precontrattuale per violazione di obblighi comportamentali precedenti alla stipulazione del contratto di intermediazione finanziaria (se non tali da configurare il dolo della banca e la conseguente annullabilità);
- risoluzione del contratto per violazione di obblighi comportamentali che presidiano alla corretta esecuzione del contratto di investimento e, quindi, ai singoli ordini.
In ogni caso, è salvo il diritto al risarcimento dei danni subiti dal cliente.

Elementi essenziali del contratto derivato e rimedi
Le parti
Le parti dei contratti derivati possono essere sia privati sia intermediari finanziari sia enti pubblici (con alcune limitazioni).
Dipende se il contratto derivato sia negoziato nei mercati regolamentati, come nel caso di contratti finanziari a termine e di opzione, in cui la controparte dell'investitore è un intermediario finanziario, od "over the counter", come nel caso degli swap, in cui la controparte dell'investitore può essere un privato.
È importante tenere a mente che le parti del contratto derivato possono essere diverse da quelle del contratto sottostante, per cui, ad esempio: la Banca Caia concede un mutuo a Tizio a tasso variabile (attività sottostante) e Tizio stipula un contratto con la Banca Mevia in base al quale, decorso un anno dalla concessione del mutuo, verrà calcolato l'ammontare degli interessi dovuti su di esso applicando sia il tasso variabile sia il tasso fisso del 2,5% e gli ammontari così calcolati verranno compensati tra di loro e l'eventuale saldo sarà dovuto dalla Banca Mevia se il tasso variabile è superiore, mentre sarà dovuto da Tizio se il tasso fisso è superiore.
L'individuazione delle parti del contratto e la loro qualifica è necessaria per comprendere il tipo di obblighi informativi che incombe sulla controparte ai sensi dell'art. 21 T.U.F. e degli artt. 26 e 29 del regolamento Consob 11522/1998.
Queste norme impongono agli intermediari finanziari di informarsi sul profilo del cliente (know your costumer rule), di informarsi sulla natura delle operazioni (know your merchandise rule) e di informare il cliente sulla natura delle operazioni e di sconsigliarlo dall'eseguire l'operazione se non adeguata al suo profilo di rischio, e compiere l'operazione solo se egli dichiari per iscritto di voler procedere, nonostante sia stato sconsigliato.
Pertanto, se la controparte dichiara di essere un operatore qualificato ai sensi dell'art. 31 del regolamento Consob 11522/1998, l'intermediario è esonerato dall'acquisire informazioni sul suo profilo di rischio e potrà basarsi su tale dichiarazione per stabilire l'adeguatezza ad esso del prodotto finanziario. L'intermediario finanziario, però, dovrà sempre valutare l'adeguatezza del prodotto al profilo di rischio, informare il cliente sulla natura speculativa dell'investimento e, in generale, curare l'interesse del cliente, comportandosi con buona fede e correttezza, sia al momento della stipula del contratto sia nel corso della sua esecuzione, ai sensi degli artt. 1173, 1374 e 1375 c.c. (Trib. Milano 19 aprile 2011, n. 5443, in I contratti, 8-9/2011, 761 ss.).
La violazione degli obblighi informativi, se precedenti alla stipula del contratto quadro di intermediazione, comporta la responsabilità precontrattuale dell'intermediario, se successivi, determina la risolubilità del contratto per inadempimento, ed in ogni caso l'obbligo di risarcire i danni causati con la conclusione del contratto.
Se, però, il comportamento dell'intermediario è connotato da intenzionalità o è "truffaldino", per cui la banca ha dolosamente omesso l'informazione per indurre la controparte a concludere il contratto, allora il contratto sarà annullabile per dolo contrattuale.
Si ricorda, però, che incombe sull'intermediario l'onere di dimostrare di aver adempiuto i propri obblighi informativi, nel caso sia invocato il rimedio della responsabilità precontrattuale o della risoluzione del contratto, mentre incombe sull'investitore l'onere di provare il dolo della banca e che si è determinato a concludere il contratto a causa del comportamento doloso della banca.


La causa
La causa del contratto è il suo elemento più discusso - come lo è stato per i contratti in generale, tanto che "la causa del contratto" è stata definita una "formula magica", con il problema che nel caso di contratti derivati è una "formula magica matematica".
Posto che non esiste una definizione normativa di "causa", generalmente si fa riferimento alla relazione del ministro guardasigilli che la definisce come «funzione economico-sociale del negozio riconosciuta rilevante dall'ordinamento ai fini di giustificare la tutela dell'autonomia privata» (Cass. civ. 13 febbraio 2009, n. 3646, in Mass. giur. it., 2009) e dall'altra come funzione individuale della stipulazione, cosiddetta teoria della "causa concreta".
L'individuazione della causa del contratto è necessaria perché il Codice stabilisce che il contratto è nullo quando la causa è illecita, quando è contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume (art. 1343) e che la illiceità ricorre quando la pattuizione è posta in essere per eludere l'applicazione di una norma imperativa (art. 1344).
Inoltre, come detto, il contratto atipico per essere legittimo deve essere volto alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico. Il vaglio di legittimità del contratto atipico "passa" necessariamente per la sua causa.
La causa dei contratti derivati può essere sia assicurativa sia speculativa. La causa è assicurativa quando il contratto derivato fa sorgere in capo alla controparte l'obbligo di tenere indenne l'investitore per il rischio su di lui gravante in base al contratto sottostante. Dunque, deve esistere un rischio in capo all'investitore in virtù del quale egli stipula un contratto derivato che abbia l'effetto di annullare questo rischio mediante il suo trasferimento in capo alla controparte. Tornando all'esempio precedente, con la conclusione del contratto di mutuo con la Banca Caia grava su Tizio il rischio dell'oscillazione del tasso variabile.
Egli stipula il contratto derivato con la Banca Mevia, così che egli pagherà il saldo solo se l'ammontare degli interessi calcolati applicando il tasso variabile è inferiore a quello calcolato applicando il tasso fisso. Se invece accade il contrario, le oscillazioni al rialzo del tasso variabile saranno tutte a carico della Banca Mevia. In tal modo, Tizio si è assicurato per il rischio di aumento dei tassi variabili oltre la soglia del tasso fisso.
Tale contratto si distingue dall'assicurazione perché il rischio è corso da entrambe le parti, mentre nell'assicurazione di cui agli artt. 1882 ss. c.c. il rischio è corso solo dall'assicurato.
Se il contratto derivato ha finalità assicurativa è meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico. Il contratto derivato può avere, però, anche causa speculativa: quando non esiste un rischio preesistente "neutralizzato" dal contratto derivato, ma il rischio è creato dal contratto stesso.
La rischiosità del contratto, oltre che dall'oggetto, può desumersi dall'inserzione nel testo contrattuale della clausola di esclusione della risoluzione in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, ai sensi dell'art. 1469 c.c.
Il contratto derivato con causa speculativa si distingue dagli altri contratti aleatori quali il gioco e la scommessa, perché: a) svolge una funzione economica degna di tutela; b) l'attività degli intermediari finanziari non è assimilabile a quella di una casa da gioco autorizzata.
Per tale motivo, qualora l'intermediario finanziario agisca per il pagamento, il cliente non potrà opporre l'eccezione di cui all'art. 1933 c.c. (Cass. civ., 17 febbraio 2009 n. 3773, in Danno e resp., 2009, 503 ss., con nota di SANGIOVANNI ).
Qualora il contratto abbia causa speculativa, esso può essere ritenuto non meritevole di tutela da parte dell'ordinamento.
Ad esempio, è stata affermata la nullità dell'operazione negoziale che rappresenti, in concreto, un mezzo per posticipare le perdite pregresse anziché realizzare la funzione di strumento di copertura del rischio (Trib. Bari 15 luglio 2010, in I contratti, 3/2011, 244 e ss., con nota di PISAPIA , 260 ss.). In particolare, nel contratto derivato, in quanto contratto aleatorio, l'alea deve essere ripartita tra tutti i contraenti e non ricadere solo sul cliente.
Nel caso in cui, a fronte del guadagno certo dell'istituto di credito, alla controparte siano attributi margini di redditività del tutto aleatori, la giurisprudenza ha ritenuto che l'aleatorietà unilaterale di un contratto atipico non sia meritevole di tutela ex art. 1322 c.c.
È stata perciò riconosciuta tutela ex art. 700 c.p.c. alle controparti delle banche per inibire ad esse gli addebiti sui loro conti correnti in esecuzione di contratti swap con aleatorietà unilaterale (Trib. Modena 23 dicembre 2011, in I contratti, 3/2012, 130 ss., con nota di SANGIOVANNI ).
In conclusione, seppure è stata riconosciuta la funzione economica dei contratti derivati, dovrà essere valutata caso per caso la loro meritevolezza ex art. 1322 c.c.
Oggetto
L'oggetto è l'attività sottostante che è stata descritta nel paragrafo sulla definizione dei singoli contratti derivati. Infatti, in base all'oggetto, si distinguono futures, options, swap, covered warrants ecc., come sopra descritti.
L'attività sottostante può consistere in: valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, altri strumenti derivati, indici finanziari o misure finanziarie, merci o variabili climatiche o quant'altro frutto di inventiva finanziaria.
Il valore del contratto derivato è generalmente legato al valore dell'attività sottostante da formule matematiche che possono essere molto complesse.
Per determinare il valore del contratto, come detto, si ricorre al "mark to market". É stato ritenuto che il Mark to Market integri un elemento essenziale del contratto, dalla cui mancata indicazione la giurisprudenza fa discendere la nullità del contratto, ora per mancanza di causa, ora per indeterminatezza dell'oggetto. Tutti gli elementi dell'alea, ivi inclusi gli scenari ad essa conseguenti, sia favorevoli che non, costituiscono e integrano, per ciò, la causa del contratto derivato e, quindi, tutte le informazioni che attengono alla determinabilità del rischio, ossia dell'alea, ivi inclusa l'asimmetria iniziale tra prestazioni, id est il "prezzo" iniziale e potenziale dello swap (c.d. Mtm), devono necessariamente essere, ex ante, ben definiti e conosciuti con certezza dal cliente, anche al fine di pervenire all'esternalizzazione di un consenso informato (Tribunale di Bologna, sez. IV, sent. n. 2042 del 3 luglio 2018).


Forma
L'art. 23, comma 1, T.U.F. prevede che i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento o di servizi accessori a questi connessi debbano essere redatti per iscritto e una copia è consegnata al cliente.
La forma scritta ad substantiam è richiesta per il contratto quadro, non per i singoli ordini esecutivi di tale contratto. Il Legislatore non ha voluto "ingessare" gli scambi in questo mercato che, come noto, è estremamente dinamico.
In caso di mancanza di forma scritta del contratto quadro o contratto di investimento, esso è nullo. La nullità del contratto per difetto di forma scritta, però, è relativa, ossia può essere fatta valere solo dal cliente.
Le problematiche sottese alla conclusione di un contratto d'investimento di derivati finanziari da parte di una P.A., in particolare un Ente locale
É in ultimo con la sentenza n. 8770 del 12 maggio 2020 che la Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è pronunciata rispetto alle molteplici problematiche concernenti la stipula di contratti di interest rate swap da parte dei Comuni.
La vicenda in parola origina da alcuni dei contratti summenzionati, conclusi dal Comune di Cattolica con una Banca negli anni 2003 e 2004, in riferimento ai quali l'Ente locale proponeva, nei confronti della controparte, domanda volta ad ottenere la declaratoria di nullità, l'annullamento o l'accertamento dell'inefficacia sopravvenuta ai sensi del Decreto Ministeriale 1° dicembre 2003, n. 389, oltre che la condanna della convenuta alla restituzione dei pagamenti ex articolo 2033 c.c. e, in subordine, al risarcimento del danno, quantificabile in relazione ai "differenziali negativi attesi".
Il Comune, partendo dal presupposto che il contratto di swap, specie se comprensivo di una clausola di iniziale upfront (come due dei tre rapporti sostanziali oggetto di giudizio), vista la sua natura aleatoria costituisce per l'Ente pubblico una forma di indebitamento (attuale o potenziale), ne aveva eccepito l'invalidità. Nessuno dei suddetti contratti, infatti, recava la determinazione del valore attuale degli stessi al momento della stipulazione (cd. mark to market), che un'attenta giurisprudenza di merito definiva, invece, elemento essenziale dello stesso ed integrativo della sua causa tipica (un'alea razionale e quindi misurabile) da esplicitare necessariamente ed indipendentemente dalla sua finalità di copertura (hedging) o speculativa. Inoltre, secondo l'Ente locale, i contratti in questione dovevano ritenersi violativi, non solo dell'articolo 119 Cost., u.c., ma anche della L. n. 289 del 2002, articolo 30, comma 15 e 202 T.U.E.L. (Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con Decreto Legislativo n. 267 del 2000): in essi non risultava la circostanza che l'indebitamento, insito, implicito e prevedibile nei contratti in questione (esplicito quanto alle clausole di upfront) fosse stato contratto "per finanziare spese di investimento" (la documentazione prodotta dal Comune attestando, anzi, una diversa destinazione). Ancora, in nessuno dei tre contratti risultava riscontrabile un puntuale riferimento ai mutui sottostanti, in relazione ai quali i negozi sarebbero stati stipulati, con conseguente mancata emersione della causa concreta delle singole operazioni, di cui non pareva quindi dimostrata l'esistenza; così come non poteva dirsi che i contratti fossero muniti di un oggetto avente i requisiti di cui all'articolo 1346 c.c. Infine, il Comune aveva sottolineato che, in spregio all'articolo 42, comma 2, lettera i), T.U.E.L., la stipula dei predetti swap era stata disciplinata dal Consiglio comunale attraverso delle mere linee di indirizzo, successivamente poste in atto dalla Giunta e dal Dirigente, quanto al primo contratto, e solo da determinazione dirigenziale, per i successivi.
Avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Bologna, riformando la decisione del Tribunale di Bologna in primo grado, aveva accolto il gravame del Comune, la Banca ha proposto ricorso per Cassazione affidandolo a cinque motivi di ricorso. Vista la complessità degli argomenti coinvolti, la questione concernente la validità dei contratti di swap conclusi dai Comuni è stata devoluta alle Sezioni Unite che si sono preoccupate, per lo più, di risolvere due problematiche:
- la possibilità di qualificare l'assunzione dell'impegno dell'Ente locale che stipuli il contratto, avente ad oggetto il nominato derivato, come indebitamento finalizzato a finanziare spese diverse dall'investimento;
- l'individuazione dell'organo chiamato a deliberare una simile operazione.
Si trattava, cioè, di capire se lo swap - in particolare quello che prevede un upfront - possa costituire per il Comune un'operazione che genera un indebitamento volte a finanziare spese differenti da quelle di investimento, a norma della L. n. 289 del 2002, articolo 30, comma 15 e, dunque, se la stipula del relativo contratto rientri o meno nella competenza riservata al Consiglio comunale, implicando una delibera di spesa che impegni i bilanci per gli esercizi successivi, giusta l'articolo 42, comma 2, lettera i), T.U.E.L.
Prima di tutto, però, gli Ermellini hanno risolto la problematica concernente la possibilità di ammettere la conclusione di contratti derivati da parte degli Enti locali nel periodo di riferimento. A questo proposito, la Corte ha precisato che la L. n. 147 del 2013 (la cd. Legge di stabilità per il 2014) ha precluso, salvo eccezioni, agli Enti locali l'accesso ai derivati. Il tutto sul presupposto della spiccata aleatorietà delle negoziazioni aventi ad oggetto gli strumenti finanziari in esame, come espressa dalla Corte costituzionale, con la decisione n. 52 del 2010, nell'esigenza di «evitare che possa essere messa in pericolo la disponibilità delle risorse finanziarie pubbliche utilizzabili dagli enti stessi per il raggiungimento di finalità di carattere pubblico e, dunque, di generale interesse per la collettività». Pertanto, il legislatore, con l'articolo 1, comma 572, lettera d), di tale Legge, ha previsto, a pena di nullità rilevabile unicamente dall'Ente, che la firma di tali tipi di contratti da parte dell'organo pubblico necessiti di un'attestazione scritta, da cui risulti la sua specifica conoscenza dei rischi e delle caratteristiche del derivato, nonchè delle variazioni intervenute nella copertura del sottostante indebitamento.
Questo significa che il riconoscimento della legittimazione dell'Amministrazione a concludere contratti derivati, sulla base della disciplina vigente fino al 2013 (quando la L. n. 147 del 2013, ne ha escluso la possibilità) e della distinzione tra i derivati di copertura e di derivati speculativi, in base al criterio del diverso grado di rischiosità di ciascuno di essi, comportava che solamente nel primo caso l'Ente locale potesse dirsi legittimato a procedere alla loro stipula. Non senza, però, ulteriori limiti alla liceità di siffatti tipi contrattuali per la PA, visti i problemi generali relativi alla determinatezza (o determinabilità) dell'oggetto del contratto; quelli secondo i quali la validità dell'accordo va verificato in presenza di un negozio (tra intermediario ed ente pubblico o investitore) che indichi (o meno) la misura dell'alea, calcolata secondo criteri riconosciuti ed oggettivamente condivisi, perchè il legislatore autorizza solo questo genere di scommesse sul presupposto dell'utilità sociale di quelle razionali, intese come specie evoluta delle scommesse di pura abilità.
Sulla scorta delle predette risultanze, la Corte ha formulato la prima conclusione: alla luce della disciplina normativa vigente fino al 2013 (quando la L. n. 147 del 2013, ha escluso la possibilità di fare ulteriore ricorso), i Comuni italiani potevano utilmente ed efficacemente procedere alla stipula di contratti derivati di copertura con qualificati intermediari finanziari solo in presenza di una precisa misurabilità/determinazione dell'oggetto contrattuale, comprensiva sia del criterio del mark to market sia degli scenari probabilistici, sia dei cd. costi occulti, allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole l'ente di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto, costituente una rilevante disarmonia nell'ambito delle regole relative alla contabilità pubblica, introduttiva di variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa riportati in bilancio.
Ciò detto, la Corte ha poi mostrato di condividere l'orientamento dottrinale e giurisprudenziale secondo cui gli importi ricevuti a titolo di upfront costituiscono indebitamento - alla luce della normativa di contabilità pubblica e dell'articolo 119 Cost. - anche per il periodo antecedente l'approvazione del Decreto Legge n. 112 del 2008, articolo 62, comma 9, come modificato dalla L. n. 133 del 2008, in sede di conversione e, successivamente, sostituito dalla L. n. 203 del 2008, articolo 3 (finanziaria per il 2009), che ne ha dato definitivamente atto. Gli Ermellini hanno quindi precisato che, se il denaro ottenuto con l'upfront è da considerare indebitamento, lo stesso non può dirsi degli IRS conclusi dagli enti pubblici, i quali, eventualmente, possono presupporre un indebitamento. Infatti, l'operazione di swap va guardata nel complesso, perchè il suo effetto può, sostanzialmente, consistere in un indebitamento, com'è dimostrato da quegli enti locali che sono stati capaci di utilizzare gli IRS alla stregua di mutui e, tramite essi, in concreto, modificare e gestire il livello dell'indebitamento (senza dire che detti IRS si fondavano tendenzialmente, per legge, su un precedente indebitamento).
Fatta questa precisazione, la Corte ha infine evidenziato che l'autorizzazione alla conclusione di un contratto di swap da parte dei Comuni italiani, specie se del tipo con finanziamento upfront, ma anche in tutti quei casi in cui la sua negoziazione si traduca comunque nell'estinzione dei precedenti rapporti di mutuo sottostanti ovvero anche nel loro mantenimento in vita, ma con rilevanti modificazioni, deve essere data, a pena di nullità, dal Consiglio comunale ai sensi dell'articolo 42, comma 2, lettera i), T.U.E.L. di cui al Decreto Legislativo n. 267 del 2000 (laddove stabilisce che «Il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali: (...) "spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi (...)»); non potendosi assimilare ad un semplice atto di gestione dell'indebitamento dell'Ente locale con finalità di riduzione degli oneri finanziari ad esso inerenti, adottabile dalla Giunta comunale in virtù della sua residuale competenza gestoria ex articolo 48, comma 2, stesso Testo Unico.
Il principio di diritto così statuito è quello per cui il contratto di swap, in particolare quello che prevede una clausola iniziale di upfront, costituisce per la sua natura aleatoria una forma di indebitamento per l'Ente pubblico, attuale o potenziale. Per l'effetto, è nullo se non stipulato dal Consiglio comunale ma dalla Giunta.
Peraltro, già in passato le Sezioni Unite avevano avuto modo di occuparsi della stipula di contratti di interest rate swap da parte della P.A. Erano state infatti investite della questione relativa alla giurisdizione, ordinaria ovvero amministrativa, rispetto all'annullamento in via di autotutela, ad opera della P.A., delle delibere mediante le quali, previa indizione di una procedura selettiva, un Comune aveva è proceduto alla conclusione appunto di un contratto d'investimento in derivati finanziari. Orbene con ordinanza 23 ottobre 2014, n. 22554, gli Ermellini hanno statuito che, in tali casi, non sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, bensì di quello amministrativo, la condizione che si sia in presenza di atti prodromici rispetto alla successiva contrattazione di diritto privato, e che i vizi, in conseguenza dei quali la pubblica amministrazione si sia avvalsa del suo potere di eliminazione, attengano al "modo" attraverso il quale siffatti atti sono stati posti in essere, ovvero siano relativi, esclusivamente, agli stessi, non potendo il contraente pubblico far valere, in via unilaterale, vizi afferenti la validità del contratto ormai perfezionato, che rappresenta una questione che rientra nell'alveo della giurisdizione ordinaria. Tale dictum era sfociato a seguito dell'analisi dell'art. 23 del Regolamento CE n. 44/2001, dove si afferma che la competenza esclusiva a conoscere dei vizi negoziali, che nella fattispecie risultano afferenti la "causa" di un contratto d'investimento in derivati finanziari stipulato da una P.A., e che reca una clausola di proroga della giurisdizione per le controversie riguardanti la validità ed efficacia del medesimo, va attribuita ai giudici dello Stato membro concordato, trattandosi di controversia in materia civile e commerciale, e non in materia amministrativa.