Civile

Inammissibile l’istanza di revocazione basata sulla falsità delle prove da accertare nello stesso giudizio

di Mario Finocchiaro

L'articolo 395, n. 2 , del Cpc indicando, quale presupposto della istanza di revocazione che si sia giudicato su prove dichiarate false postula che tale dichiarazione sia avvenuta con sentenza passata in giudicato anteriormente alla proposizione della istanza di revocazione. È inammissibile, pertanto, l'istanza di revocazione basata sulla falsità di prove da accertare nello stesso giudizio di revocazione. Lo ha precisato la corte di Cassazione con la sentenza 11404/2016.

Un orientamento consolidato - Conforme a costante giurisprudenza. Sempre nello stesso senso cfr. Cassazione, sentenze 22 febbraio 2006, n. 3947; 29 agosto 1998, n. 8650; 18 maggio 1996, n. 4566; 11 febbraio 1992, n. 1538, nonché Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 29 agosto 2002, n. 4355, in «Foro amministrativo CDS», 2002, p.1674.
Con riferimento a un caso di specie, si è osservato, da parte dei giudici amministrativi, che pur se è vero che l'azione penale diretta a far valere la falsità di documenti in base ai quali è stata accolta la domanda del privato in sede di giudizio cognitorio può costituire presupposto per la revocazione della sentenza di merito, ai sensi dell'articolo 395, n. 2. , del Cpc, è altresì vero che a seguito della proposizione dell'impugnazione revocatoria si determina una pregiudizialità di cause tale da giustificare la sospensione del giudizio di ottemperanza medio tempore instaurato, fermo restando d'altro lato che il giudicato penale sulla falsità della prova documentale costituisce a sua volta presupposto dell'istanza di revocazione, occorrendo a tal fine che le prove siano già state «dichiarate false». La mera pendenza del giudizio penale di falso non comporta di per sé l'inottemperanza al giudicato, né costituisce valido motivo per la sospensione del giudizio di ottemperanza. Consiglio della giustizia amministrativa per la Sicilia, sezione giurisdizionale, sentenza 27 luglio 2005 n. 473, in «Ragiusan »2005, n. 259-260, p. 65.
Per i giudici di merito, sostanzialmente conforme alla giurisprudenza ricordata sopra, Appello Napoli, sentenza 20 giugno 2008, in «Giurisprudenza di merito», 2008, p. 2541: ai fini dell'ammissibilità e conseguente accoglimento dell'istanza di revocazione è indispensabile che la falsità delle prove utilizzate sia stata accertata incontestabilmente prima della proposizione dell'impugnazione e nel contraddittorio di tutte le parti coinvolte.
Nella stessa ottica della pronunzia in rassegna, si è affermato, altresì, che la querela di falso è proponibile in via incidentale nel giudizio di cassazione, dando luogo alla sua sospensione, solo quando riguardi atti dello stesso procedimento di cassazione (il ricorso, il controricorso e l'atto-sentenza) o i documenti di cui è ammesso, nel suddetto procedimento, il deposito ai sensi dell'articolo 372 del Cpc, e non anche in riferimento ad atti del procedimento che si è svolto dinanzi al giudice del merito e la cui falsità vuole essere addotta per contestare il vizio di violazione di norme sul procedimento in cui sia incorso il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, Cassazione, sentenza 16 gennaio 2009, n. 986, secondo cui, pertanto, ove si adduca la falsità degli atti del procedimento di merito, la querela di falso va proposta in via principale ed è nella impugnazione per revocazione, ai sensi dell'articolo 395, comma 1, n. 2, del Cpc, il mezzo per rescindere la sentenza che, poi, possa essere riconosciuta aver pronunciato su prove dichiarate false, laddove la nozione di prova, dovendosi correlare al tipo di vizio di cui si dimostri che la sentenza è risultata essere affetta, può essere costituita dalla relazione di notificazione di un atto processuale (nella specie, dalla relazione di notificazione di ordinanza pronunciata, ex articolo 426 del Cpc, fuori udienza), quando il vizio della sentenza sia un vizio derivante da violazione della norma sul procedimento che di tale atto dispone la notificazione.

Ulteriori precisazioni - Sempre al riguardo si è precisato, altresì:
• il decreto di archiviazione emesso dal giudice penale ex articolo 409 del Cpp, per la sua natura di atto giudiziale non definitivo, non integra accertamento della falsità di una prova che possa dare luogo al giudizio di revocazione ex articolo 395, n. 2, del Cpc, Cassazione, sentenze 9 gennaio 2015, n. 156 e 6 luglio 2002, n. 9834;
• ai fini della proponibilità dell'impugnazione per revocazione, il riconoscimento della falsità della prova, previsto dall'articolo 395 ,n. 2, del Cpc come motivo di revocazione, è solo quello proveniente dalla parte a favore della quale la prova è stata utilizzata, mentre è irrilevante l'accertamento della falsità compiuto in giudizi vertenti tra terzi. Pertanto nella controversia tra il contribuente e l'erario riguardante la determinazione del valore di un fondo oggetto di compravendita, ai fini del computo dell'imposta di registro, non costituisce motivo di revocazione della sentenza che abbia rigettato il ricorso l'accertamento, avvenuto in sede penale nei confronti del sindaco, della falsità del certificato di destinazione urbanistica allegato all'atto di compravendita, Cassazione, sentenza 6 febbraio 2009, n. 2896;
• la prova falsa che, ai sensi dell'articolo 395, n. 2, del Cpc, consente la proponibilità dell'impugnazione per revocazione, è quella che sia stata dichiarata tale con sentenza passata in giudicato, ovvero quella la cui falsità sia stata riconosciuta dalla parte a cui vantaggio essa è stata utilizzata dal giudice (nella specie, si trattava, invece, di deposizioni testimoniali riconosciute false o reticenti dagli stessi testimoni), Cassazione, sentenza 29 agosto 1994, n. 7576;
• prova falsa, ai sensi dell'articolo 395 n. 2 Cpc è quella che sia stata dichiarata tale con sentenza passata in giudicato, ovvero quella la cui falsità sia stata riconosciuta dopo la sentenza impugnata. Questo secondo presupposto non può consistere nella valutazione del contenuto di una deposizione testimoniale che la parte compia in maniera difforme da quella seguita dal giudice del merito o nella confessione sostanzialmente resa dalla parte nel corso di un giudizio, Cassazione sentenza 30 marzo 1992 n. 3863, in «Giurispurenza italiana», 1993, I, 1; c. 105;
• qualora il giudicato civile di condanna sia l'effetto di attività processuale fraudolenta di una parte in danno dell'altra, posta in essere mediante la precostituzione e l'uso in giudizio di prove false, la parte danneggiata, oltre alla proposizione della impugnazione per revocazione, qualora siffatta attività integri gli estremi di un fatto-reato, può costituirsi parte civile nel relativo procedimento penale, così provocando l'esercizio del potere-dovere del giudice penale di statuire ed attuare concretamente l'obbligazione risarcitoria discendente in via diretta dall'accertamento fatto-reato stesso (articolo 185 del Cp), che non può trovare ostacolo nel suindicato giudicato civile che ne rimane travolto. Tale potere-dovere del giudice penale, in caso di estinzione del reato per qualsiasi causa, si trasferisce, con identica ampiezza, e quindi senza preclusioni in dipendenza del precedente giudicato civile, al giudice civile adito dalla parte danneggiata per ottenere il risarcimento del danno causato dal fatto-reato, Cassazione, sentenza 18 maggio 1984, n. 306;
• il concetto di prova, ai fini dell'ipotesi di revocazione prevista dall'articolo 395, n. 2 , del Cpc, va inteso in senso strettamente strumentale rispetto alle domande ed alle eccezioni proposte dalle parti e cioè nel senso di mezzo di controllo della veridicità dei fatti posti a fondamento delle contrapposte pretese, pertanto, la ipotesi di falsità delle prove considerata dalla disposizione citata non è configurabile in ordine a falsità concernenti attività meramente processuale che (come, nella specie, la falsità della relata di notifica dell'atto introduttivo del giudizio) non incidono sulla veridicità delle prove sulle quali si è giudicato e vanno, perciò, fatte valere, nell'ambito dello stesso processo in cui sono state poste in essere, mediante le eccezioni di nullità ed i normali mezzi d'impugnazione, Cassazione, sentenza 19 marzo 1983, n. 1957;
• ai sensi dell'articolo 395, comma 1, n. 2, del Cpc ai fini della revocazione della sentenza emessa in base a prove documentali necessariamente dichiarate false, occorre che le prove stesse siano state determinanti, nel senso che la sentenza sarebbe stata diversa se il giudice avesse conosciuto la falsità. È inammissibile, quindi il ricorso in revocazione ove l'accertata falsità non abbia in alcun modo inciso sulla decisione gravata. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 4 ottobre 1993, n. 990, in «Foro amministativo», 1993, p. 2075.
In tema di giudizi disciplinari nei confronti degli avvocati ed in ipotesi di giudizio di revocazione della sentenza del Consiglio nazionale forense ex articolo 395, n. 2, del Cpc, si è osservato che il riconoscimento della falsità della prova, equiparato alla dichiarazione giudiziale della falsità medesima, è solo quello proveniente dalla parte in favore della quale la prova stessa è stata utilizzata nella definizione del giudizio e non anche quello proveniente dal suo autore che sia rimasto, tuttavia, estraneo al giudizio, ancorché interessato alla definizione dello stesso, Cassazione, sezioni Unite, sentenza 3 maggio 2005, n. 9098 che ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto inammissibile il ricorso per revocazione, non integrando l'ipotesi del riconoscimento della falsità della prova le dichiarazioni rese in giudizio e poi successivamente modificate di altro avvocato, che non era stato parte nel procedimento disciplinare..
Per la precisazione - infine - che in tema di contenzioso tributario, il ricorso per revocazione per l'ipotesi prevista dal n. 2 dell'articolo 395 del Cpc (utilizzo di prove false) deve essere presentato entro 60 giorni dal momento della scoperta della falsità della prova e non dal momento della pronuncia dichiarativa della falsità, in quanto il disposto del comma 2 dell'articolo 51 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 (nella parte in cui prevede che «il termine di sessanta giorni decorre dal giorno in cui... sono state dichiarate false le prove») deve essere letto ed interpretato sia sistematicamente, alla luce di quanto previsto dall'omologa disposizione del codice di procedura civile (l'articolo 326, comma 1, secondo cui «il termine decorre dal giorno in cui è stata scoperta... la falsità»), sia in modo da evitare sospetti di incostituzionalità della disposizione (per possibile contrasto con gli articoli 3 e 24 cost.), laddove, ancorando il termine dell'impugnazione alla data della scoperta della pronuncia della falsità della prova, finirebbe per limitare la tutela giurisdizionale della parte rimasta ignara all'intervenuto accertamento della falsità medesima, Cassazione, sentenza 25 maggio 2011, n. 11451.

Corte di Cassazione - Sezione I - Sentenza 1° giugno 2016 n. 11404

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