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Riscaldamento, per l’ok ai nuovi criteri occorre la decisione dell’assemblea

Può decidere, seppure entro il limite minimo del 50 per cento dei prelievi volontari , la percentuale della quota dei consumi cosiddetta “variabile”

di Marco Panzarella e Matteo Rezzonico

Le nuove regole sulla ripartizione dei consumi del riscaldamento centralizzato in condominio non fanno dunque più riferimento alla Uni 10200, che in questi ultimi anni, tra continue revisioni e criticità, non ha mai del tutto convinto gli addetti ai lavori e i consumatori. Il Dlgs 73/2020 ha semplificato le cose, prevedendo che il «consumo volontario», connesso all’utilizzo che ciascun condomino fa del riscaldamento attraverso le valvole termostatiche è quindi caratterizzato da una quota variabile, non può mai essere inferiore ad almeno il 50 per cento del consumo complessivo. Di conseguenza, la quota del «consumo involontario», che non dipende dalle abitudini personali ma si riferisce soprattutto alle dispersioni di calore dell’impianto, non può essere in nessun caso superiore al 50 per cento.

Il principio generale rimane inalterato «ognuno paga in base a ciò che consuma», ma vengono meno i parametri per la ripartizione contenuti nella Uni 10200, che suddivideva i consumi involontari, e quindi la quota fissa, in base a «particolari millesimi di riscaldamento» calcolati da un tecnico abilitato. Tali millesimi tenevano conto del fabbisogno energetico delle singole unità immobiliari, ossia della quantità di energia che ogni appartamento dovrebbe prelevare per mantenere una temperatura interna costante di 20 gradi durante il periodo di accensione del riscaldamento.

Quota consumi «variabile»

Nell’attuale quadro normativo l’assemblea - attraverso una delibera votata dai condòmini - può decidere, seppure entro il limite minimo del 50 per cento dei prelievi volontari (che precedentemente era fissato al 70%), la percentuale della quota dei consumi cosiddetta “variabile”. Ma la decisione dell’assemblea – quantomeno così si ritiene - non può essere arbitraria, dovendo trovare riscontro in una diagnosi energetica/relazione tecnica. La decisione sul criterio di ripartizione delle spese di riscaldamento può anche essere assunta in sede di approvazione del preventivo e del consuntivo ordinario (e relativi riparti), con il voto favorevole, in seconda convocazione, di 333 millesimi oltre alla maggioranza degli intervenuti (articolo 1136, comma terzo, del Codice civile).

Nel caso in cui nel condominio sia in uso la norma Uni 10200 e la relativa tabella millesimale, potrebbe occorrere prima modificare il criterio di ripartizione e la tabella: in questo caso si potrebbe prevedere un quorum di 500 millesimi oltre alla maggioranza degli intervenuti.

Altre problematiche potrebbero insorgere in presenza di un regolamento condominiale contrattuale che preveda un criterio non del tutto incompatibile con quanto previsto dal Dlgs 102/2014, ma si tratta di fattispecie da valutare caso per caso per caso.

Qualora l’assemblea non raggiunga la maggioranza richiesta o adotti criteri illegittimi, ciascun condomino ha il diritto di rivolgersi all’Autorità giudiziaria, per esempio impugnando il riparto a norma dell’articolo 1137 del Codice civile, secondo il quale «contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’Autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti».

Ripartizione delle spese

La normativa in materia di riparto delle spese di riscaldamento di cui al Dlgs 102, rimane comunque cogente. E infatti, per l’articolo 16 del Dlgs 102/2014, il condominio alimentato da teleriscaldamento o da teleraffrescamento o da sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento, che non ripartisca le spese in conformità alle disposizioni di cui l’articolo 9, comma 5, lettera d), è soggetto a una sanzione amministrativa che varia da 500 a 2.500 euro.

Di particolare rilevanza è il ruolo assunto dall’Enea nel caso in cui una relazione tecnica accerti differenze di fabbisogno termico per metro quadro superiori al 50 per cento tra le unità immobiliari che compongono il condominio. In questo caso sarà compito dell’Agenzia indicare le ripartizioni delle spese in relazione a fattori quali zona climatica, prestazioni energetiche dell’edificio o l’anno di costruzione dello stabile, fornendo entro 90 giorni dall’entrata in vigore del Dlgs 73/2020 una “guida” da sottoporre al ministero dello Sviluppo economico.

In Italia sei zone climatiche

Ciò che al momento invece non cambia è la suddivisione dell’Italia in sei zone climatiche, individuate in funzione dei gradi-giorno, vale a dire la somma estesa a tutti i giorni di un periodo annuale convenzionale di riscaldamento delle sole differenze positive giornaliere tra la temperatura degli ambienti (fissata per convenzione a 20 gradi) e la temperatura media esterna giornaliera.

L’articolo 4 del Dpr 74/2013 (norma abrogata ma tuttora efficace sino all’emanazione del decreto di cui all’articolo 4, comma 1 quinquies del Dlgs 192/2005) stabilisce per ciascuna zona climatica della Penisola i periodi di accensione del riscaldamento e il tempo massimo in cui l’impianto centralizzato può stare in funzione, fermo restando che in casi eccezionali (si pensi, ad esempio, a un’ondata di freddo eccezionale) i criteri possono essere modificati.

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