Civile

Indeducibilità parziale dell'Imu sugli immobili strumentali tra il 2013 e il 2021: la sentenza della Corte Costituzionale 262/2020, e' il game over o lascia questioni ancora aperte?

Il 4 dicembre u.s. la Corte Costituzionale ha depositato le motivazioni della sentenza n. 262 del 2020, con cui ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23

di Vittorio Giordano*


1. Il 4 dicembre u.s. la Corte Costituzionale ha depositato le motivazioni della sentenza n. 262 del 2020, con cui ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 «Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale», nel testo anteriore alle modifiche apportate dall'art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», nella parte in cui dispone che, anche per gli immobili strumentali, l'imposta municipale propria è indeducibile dalle imposte sui redditi d'impresa.
Tale deposito è stato, come noto, preceduto dalla diramazione di un comunicato stampa nel quale sono state anticipate le conclusioni raggiunte dalla Corte. Detto comunicato ha, però, parafrasato il contenuto di alcune delle argomentazioni espresse dalla Consulta in modo non del tutto consono al loro contenuto, in particolare per quanto attiene uno degli aspetti che più ha fatto discutere i primi commentatori, segnatamente se il giudizio espresso dai giudici costituzionali fosse, per così dire, "ancipite", nel senso cioè, da un lato, di incostituzionalità del regime di integrale indeducibilità dall'IRES dell'IMU sugli immobili strumentali vigente nell'anno 2012 e, dall'altro e per converso, di piena legittimità invece dei diversi regimi di deducibilità parziale dalla prima della seconda imposta che si sono avvicendati (diversamente modulando la percentuale di deducibilità forfetaria dei costi riferibili al sostenimento del tributo locale) con riferimento ai periodi di imposta compresi tra il 2013 ed il 2021, ancorché questi ultimi non formassero oggetto del rinvio pregiudiziale da parte della CTP di Milano.
Dico subito che, a parere di chi scrive, la portata della sentenza in questione è limitata alla sola incostituzionalità del regime di indeducibilità integrale vigente per il periodo di imposta 2012, senza che sia stato espresso alcun giudizio in ordine ai successivi regimi di indeducibilità parziale tale da precluderne il riesame (rectius, l'esame) se e quando dovessero formare oggetto di successive ordinanze di rinvio.

2. La sentenza in commento spicca non solo per chiarezza e rigore espressivo ma, soprattutto, per la non celata intenzione di fornire, una volta per tutte, delle linee-guida al legislatore in ordine all'esercizio della sua discrezionalità circa la selezione dei presupposti di imposta e, una volta operata tale selezione, circa i vincoli di carattere logico e costituzionale che ne derivano.
Esaminando con ordine le argomentazioni ivi espresse, si osserva che, nella parte motiva, la Corte, ricostruito il quadro normativo di riferimento che essa stessa ha valutato «poco lineare e sistematico», ha per prima cosa tolto di mezzo (si spera una volta per tutte) un equivoco in cui spesso indugia la parte erariale, e cioè che la deducibilità di una spesa inerente alla produzione del reddito di impresa configurerebbe una «agevolazione fiscale», sulla cui istituzione e modulazione giocherebbe, dunque, un ampio ruolo la discrezionalità del legislatore, il cui solo limite sarebbe costituito dal divieto di scelte del tutto arbitrarie e irrazionali. Al contrario, la Corte chiarisce come, una volta fissato il presupposto dell'IRES nel possesso di un «reddito complessivo netto» (art. 75, comma 1, TUIR), la deducibilità dei costi necessari alla produzione del reddito risponde alla finalità di restituire quanto più fedelmente possibile detto presupposto e da ciò consegue la connotazione di tale istituto come «di un carattere strutturale» dell'imposizione sui redditi, «dal momento che la sottrazione all'imposizione (o la sua riduzione) è resa necessaria dall'applicazione coerente e sistematica del presupposto del tributo». In questa prospettiva, la Corte arriva ad una prima importante statuizione sistematica, e cioè che costituendo «principio imprescindibile della determinazione del reddito d'impresa quello di inerenza del costo da portare in deduzione», da tale principio il legislatore non può quindi più decampare, costituendone il suo rispetto «il presidio della verifica della ragionevolezza delle deroghe rispetto all'individuazione di quel reddito netto complessivo che il legislatore stesso ha assunto a presupposto dell'IRES».
Fatte queste premesse, la Corte individua, a mio avviso del tutto correttamente, nell'art. 99 del TUIR una declinazione del medesimo principio per ciò che attiene ai costi derivanti da debiti tributari, ove solo si consideri che anche tali costi, qualora non scaturiscano da imposte per cui opera la rivalsa ovvero che a loro volta colpiscono il reddito, costituiscono anch'essi antecedenti causali nella produzione del reddito imponibile. In questa prospettiva, tanto la regola della deducibilità dei costi inerenti dal reddito di impresa è conformativa dell'assetto del tributo in questione che, per ben due volte, la Corte ne ripete l'inderogabilità da parte del legislatore, pena la compromissione della «coerenza del disegno impositivo». Ciò in quanto, nel pensiero della Corte, «l'ampia discrezionalità del legislatore tributario nella scelta degli indici rivelatori di capacità contributiva (ex plurimis, sentenza n. 269 del 2017) non si traduce in un potere discrezionale altrettanto esteso nell'individuazione dei singoli elementi che concorrono alla formazione della base imponibile, una volta identificato il presupposto d'imposta: quest'ultimo diviene, infatti, il limite e la misura delle successive scelte del legislatore». La conseguenza di questo – cristallino – ragionamento non può che essere, dunque, l'incostituzionalità della indeducibilità integrale dell'IMU dall'IRES, posto che la permanenza di detta regola nell'ordinamento farebbe sì che «l'entità del prelievo IRES subìto da ciascun soggetto risulta in realtà irragionevolmente determinata da un indice di capacità contributiva riferito a un presupposto diverso dal reddito netto».

3. Senonché, la Corte ha ritenuto come, nonostante tale statuizione di illegittimità costituzionale, manchino tuttavia «i presupposti» per la sua estensione d'ufficio in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge della legge 11 marzo 1953, n. 87, alle disposizioni che hanno disciplinato la materia successivamente a quella censurata, prevedendo limitazioni, variamente modulate, alla piena deducibilità dell'IMU dall'IRES. Ciò in quanto – osserva la Corte – il legislatore si è «gradualmente corretto … fino a giungere alla virtuosa previsione, certamente non più procrastinabile, della totale deducibilità a partire dal 2022».
Le poche righe che la Corte dedica per liquidare la questione bastano, tuttavia, per ritenere insoddisfacente una lettura che veda, nell'accertamento circa la carenza dei presupposti in questione, l'espressione di un giudizio "pieno" e nel merito sulla legittimità costituzionale di tutte le disposizioni di "parziale" deducibilità dell'IMU entrate in vigore successivamente a quella che formava oggetto dell'ordinanza di rimessione. Induce a tale conclusione, anzitutto, la circostanza che, così ragionando, si assisterebbe ad una contraddizione con la medesima sentenza nella parte in cui la Corte ha ritenuto che eventuali limitazioni alla deducibilità dei costi inerenti alla produzione del reddito imponibile, sotto forma di deducibilità parziale o forfetaria, sono giustificate dal punto di vista costituzionale nei limiti della proporzionalità e della ragionevolezza. Dette limitazioni, pertanto, risultano accettabili ove si tratti di tutelare esigenze di carattere fiscale, quali ad esempio quelle «di: a) evitare indebite deduzioni di spese di dubbia inerenza; b) evitare ingenti costi di accertamento; c) prevenire fenomeni di evasione o elusione», ovvero rispondano a finalità extrafiscali purché funzionali a «specifici valori costituzionali» come "nel caso dell'indeducibilità dei costi da reato al fine di penalizzare condotte disapprovate dall'ordinamento». Ed infatti, non sembra possibile comprendere come la parziale deducibilità dell'IMU dall'IRES risponda alle prime o alle seconde finalità, posto che la medesima sentenza, da un lato, dà conto del fatto che i beni immobili oggetto del caso di specie sono «"beni al sole", difficilmente sfruttabili per manovre evasive, elusive o erosive» e, dall'altro, che alle esigenze di gettito, in particolare, «il legislatore è tenuto a rispondere in modo trasparente, aumentando l'aliquota dell'imposta principale, non attraverso incoerenti manovre sulla deducibilità, che si risolvono in discriminatori, sommersi e rilevanti incrementi della base imponibile a danno solo di alcuni contribuenti». La circostanza, dunque, che il graduale aumento della deducibilità dell'IRES sia intervenuto allorché il legislatore ha preso «atto, via, via, di esigenze di equilibrio del bilancio (art. 81 Cost.)» non sembra perciò dirimente per ritenere una volta per tutte soddisfatto il contemperamento tra tale finalità (pure meritevole agli occhi della Costituzione) e quella di trasparenza nella scelta dei criteri di riparto degli oneri tributari secondo capacità contributiva, una volta che – come si è visto - la Corte, con la medesima sentenza, ha ritenuto che quest'ultima finalità non può essere sempre e comunque soccombente rispetto alla prima. D'altronde, sia consentito rilevare, se fosse bastevole una deducibilità dall'IRES dell'IMU sugli immobili strumentali limitata al 20 per cento del relativo importo, tale essendo la minore misura di deducibilità parziale prevista dalle disposizioni successive all'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23/2011, non si vedrebbe perché la Corte abbia dichiarato quest'ultima disposizione tout court incostituzionale e non, invece, solo nella parte in cui non prevedeva una deducibilità pari almeno al (presunto) minimo costituzionale.
In ogni caso, la conferma finale del fatto che l'accertamento dell'assenza dei presupposti in questione non costituisca, da parte della Corte, l'espressione di un giudizio di piena legittimità delle disposizioni di deducibilità parziale dell'IMU si rinviene nella circostanza che di tale giudizio non se ne trova traccia alcuna nel dispositivo della sentenza in commento. Quest'ultimo, infatti, si limita a dichiarare l'incostituzionalità del solo art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011 senza, di contro, rigettare la (fantomatica) questione di legittimità rispetto agli artt. 3 e 53 della Costituzione delle altre disposizioni di deducibilità parziale dell'IMU dall'IRES richiamate dalla Corte.

4. In questo contesto, dunque, non può che ritenersi che «i presupposti» la cui carenza impedisce alla Corte di estendere la propria decisione alle altre disposizioni che limitano parzialmente la deducibilità dell'IMU dall'IRES non sono, dunque, quelli di carattere sostanziale perché possa accertarsi il contrasto tra queste e la Costituzione bensì, e inevitabilmente, quelli di carattere processuale - attinenti cioè alle modalità con cui si snoda il processo di legittimità costituzionale in via incidentale - indispensabili affinché la Corte sia munita del potere di valutare e sindacare tale contrasto con riferimento a disposizioni diverse da quelle che hanno formato oggetto della remissione da parte del giudice a quo.
Tale potere è, come noto, sancito dal richiamato art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, «Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale» – espressamente menzionato nella motivazione della sentenza in esame – il quale, in particolare, dispone che la Corte ha il potere di dichiarare l'incostituzionalità di disposizioni «altre» rispetto a quelle rientranti «nei limiti dell'impugnazione» sottopostale allorché tale illegittimità «deriva come conseguenza dalla decisione adottata». Che cosa debba intendersi per "conseguenza" della decisione di illegittimità dichiarata, tale da consentire la deroga rispetto al principio processuale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato valevole (in virtù proprio della prima parte del medesimo art. 27) anche nei giudizi di costituzionalità, è questione non ancora completamente sviscerata dalla Corte Costituzionale (1) . In particolare, si è ritenuto che ricorra tale requisito allorché sussista un caso del tutto assimilabile a quello che ha costituito oggetto del quesito accolto in via diretta (C.Cost. n. 558/1989), non essendo, di contro, sufficiente la mera identità dei vizi di legittimità, specie laddove l'estensione della decisione, coinvolgendo disposizioni complesse e variamente articolate, richiederebbe un'analitica motivazione da parte della Corte per ciascuna delle disposizioni denunciate (C.Cost. n. 232/1975). E, a parere di chi scrive, sembra proprio che il self-restraint operato dalla Corte nel caso di specie sia nel senso indicato da quest'ultima massima giurisprudenziale, specie ove si consideri che il bilanciamento tra esigenze di equilibrio di bilancio e tutela del principio di riparto in base a capacità contributiva richiederebbe di esaminare, partitamente e con specifica motivazione, se ciascuna diversa previsione di deducibilità forfetaria (la cui misura varia di provvedimento in provvedimento, se non addirittura di anno in anno) rispetti tale bilanciamento, ovvero sia – appunto – "sbilanciata" in favore delle esigenze erariali a discapito di altri interessi pure tutelati dalla Costituzione.
In questa prospettiva, dunque, la sentenza n. 262/2020 non può perciò fare stato sulla legittimità costituzionale di queste ultime disposizioni, diverse da quella che ha formato oggetto di rinvio da parte della CTP di Milano, le quali ben potranno formare oggetto di nuovi rinvii pregiudiziali da parte dei giudici chiamati ad applicarli in sede di richieste di rimborso della maggior IRES assolta per effetto della loro applicazione, non incontrando tali questioni alcun ostacolo per effetto del giudicato costituzionale, essendo anzi la loro promozione da ritenersi vieppiù giustificata alla luce dei ragionamenti espressi dalla Corte Costituzionale. Del resto, autorevole dottrina ha osservato a proposito come, a seguito dell'accoglimento di una questione di incostituzionalità «non è affatto infrequente che il nuovo testo, immettendosi tra gli altri testi, generi nuovi significati di sospetta costituzionalità, provocando un intervento ulteriore della Corte (2)» e, si osserva, sono numerosi i casi di pronunce della Corte aventi ad oggetto casi di sospetta incostituzionalità derivanti, proprio, da precedenti decisioni della medesima Corte di accoglimento di questioni di legittimità costituzionale (3)

5. Nel delineato contesto, non sembrano dunque apprezzabili quelle primissime pronunce giurisprudenziali (4)che, poggiando su un'acritica lettura del comunicato stampa diramato dalla Corte, ne hanno tratto la conclusione secondo cui sarebbero automaticamente legittimate, sotto il profilo del rispetto degli artt. 3 e 53 della Costituzione, le limitazioni parziali alla deducibilità dell'IMU. In disparte ogni considerazione su come possa assumersi un comunicato stampa tra le fonti del diritto, tale da fondare addirittura la decisione adottata da un organo giurisdizionale, va comunque osservata una sostanziale diversità di contenuti tra quello richiamato e le motivazioni espresse dalla Corte nella sentenza n. 262 del 2020 proprio sulla questione che qui preme chiarire. Mentre il primo, infatti, parlava di un «percorso graduale» che, in considerazione delle esigenze di equilibrio del bilancio, sarebbe «virtuosamente sfociato» nella previsione di piena deducibilità dell'IMU dall'IRES, le motivazioni danno invece conto di un legislatore che si è «gradualmente corretto» fino a giungere ad una decisione «non più procrastinabile» quale quella della totale deducibilità a partire dal 2022.
In altri termini, se dalla lettura del comunicato stampa si aveva dunque l'impressione che la Corte qualificasse l'evoluzione normativa in materia come un percorso liberamente scelto in ragione di un principio attuabile in modo graduale secondo la valutazione discrezionale del legislatore, le motivazioni restituiscono, piuttosto, i tratti di una doverosa emenda compiuta dal legislatore ancorché per aggiustamenti parziali e completata, infine, solo grazie alla previsione, «non più procrastinabile», di piena deducibilità dell'IMU destinata ad entrare in vigore in un prossimo futuro. Ma ciò vuol dire – sembra di comprendere – che, prima che entrasse a regime la previsione di integrale deducibilità dell'IMU sugli immobili strumentali dall'IRES, gli interventi correttivi effettuati dal legislatore non erano, evidentemente, del tutto soddisfacenti rispetto agli obblighi imposti dagli artt. 3 e 53 della Costituzione.
Anche per tale ragione, quindi, si reputa che la vicenda che riguarda la legittimità costituzionale di tali interventi sia ben lungi dal potersi considerare conclusa.

*a cura dell' Avv. Vittorio Giordano Founding Partner di Giordano-Merolle Studio Legale Tributario

note:

1- Sul tema della illegittimità costituzionale consequenziale cfr. in dottrina D'ORAZIO, Profili problematici (teorici e pratici) dell'illegittimità derivata delle leggi, in Giur. Cost., 1968, 2602; ROSSI-TARCHI, La dichiarazione di illegittimità conseguenziale nella più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in AA.VV, Strumenti e tecniche di giudizio della Corte costituzionale, Milano, Giuffrè, 1988; CERASO, Precedente sentenza di accoglimento (additiva) inammissibilità della quaestio o manifesta infondatezza, Giur. cost. 2000, II, 1089; BIENTINESI., Un caso di illegittimità consequenziale in materia di requisiti di accesso alla Polizia di Stato e alla Magistratura ordinaria, in Giur. cost., 1994, II, 2277; BRUNELLI, Significative convergenze: illegittimità derivata di norme analoghee sentenze manipolative, in AA. VV., Scritti in memoria di Livio Paladin, I, Napoli, Jovene, 2004, 343 ss; CHIEPPA R., A proposito di illegittimità consequenziale e potere di ufficio della Corte, in Giur. cost., 2009, III, 1494 e ss. CHINNI D., Lasciarle vivere o aiutarle a morire? L'illegittimità consequenziale di disposizioni inutili, in Giurisprudenza italiana, 2009, fasc. 12, 2624 ss.
2 - Così BIN, La Corte Costituzionale tra potere e retorica: spunti per la costruzione di un modello ermeneutico dei rapporti tra Corte e giudici di merito, in AA.VV., La Corte Costituzionale e gli altri poteri dello Stato, Torino 1993.

3 -BIN, id., richiama a tale proposito sent. 173/1984, in "Giur.cost." 1984, I, 1129 ss.; sent. 237/1984, in "Giur.cost." 1984, I, 1690 ss.; sent. 63/1987, in "Giur.cost." 1987, I, 495 ss.; sent. 103/1982, in "Giur.cost." 1982, I, 1013 ss. (il "testo originario" dell'art. 186 c.p.m.p., come "risulta ora modificato per effetto della sentenza n. 26 del 1979" "trasmoda di certo in irragionevolezza e impone pertanto alla Corte di intervenire al fine di eli¬minare una situazione normativa, il cui perdurare non è costituzionalmente consentito"); sent. 332/1988, in "Giur.cost." 1988, I, 1385 ss.; sent. 112/1968, in "Giur.cost." 1968, 1751 ss.; sent. 102/1982, in "Giur.cost." 1982, I, 1002 ss.; sent. 89/1979, in "Giur.cost." 1979, I, 664 ss.; sent. 469/1990, in "Giur.cost." 1990, I, 2807 ss. (che dichiara illegittima la norma che vieta di processare i disertori in contumacia, per il "perverso effetto" provocato dalla sent. 503/1989 che ha limitato il ricorso all'arresto in flagranza); sent. 26/1969, in "Giur.cost." 1969, 359 ss.; sent. 215/1983, in "Giur.cost." 1983, I, 1291 ss. ("palese irrazionalità" conseguente alla sent. 131/1979).
4 - In particolare, CTP Milano, sez. 10, depositata il 27 novembre 2020.

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