Casi pratici

Affido condiviso e salvaguardia della bigenitorialità: ratio dei "punitive damage"

Attuazione coattiva dei provvedimenti di affido a carattere non patrimoniale

di Giulia Sapi

LA QUESTIONE

Nell'ipotesi di comportamenti posti in essere da un genitore volti a impedire all'altro di tenere con sé la prole e a esercitare correttamente il proprio diritto di visita, quali strumenti di coercizione il giudice può prescrivere nei confronti del genitore inadempiente? In caso di perdurare di condotte genitoriali pregiudizievoli per il corretto sviluppo dei rapporti genitori-figli, quali misure potranno essere adottate? Le suddette condotte possono essere oggetto di risarcimento del danno? Esiste una responsabilità aquiliana nel diritto di famiglia?

L'art. 709 ter c.p.c. affronta, dunque, il problema, assai frequente nella pratica, dell'attuazione coattiva dei provvedimenti di affidamento dei minori a carattere non patrimoniale. Finora il rispetto delle varie disposizioni volte a disciplinare i rapporti non economici tra genitori e figli contenute nelle sentenze di separazione o di divorzio, nel verbale di separazione consensuale e nell'ordinanza presidenziale, dipendeva in gran parte alla spontanea osservanza dei soggetti obbligati. Difatti, in caso di inosservanza ad esempio del diritto di visita del genitore non affidatario, ben poco era possibile fare per raggiungerne il rispetto, se non chiedere qualche modifica punitiva delle condizioni di affidamento o di ricorrere al non molto efficace strumento penale (art. 570 c.p. e 12 sexies legge n. 74 del 1987). Adesso, invece, il Legislatore con la norma in esame ha introdotto nel nostro ordinamento un sistema progressivo di misure coercitive indirette volte a garantire l'osservanza di tutti i provvedimenti in senso lato di affidamento, istruzione ed educazione dei minori.


Nuovo contesto normativo: principio della bigenitorialità
Con la legge n. 54/2006 il Legislatore, sulla scia anche degli orientamenti emersi in sede internazionale, ha inteso attuare il diritto del minore a un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, prevedendo un meccanismo che consenta loro di partecipare attivamente alla vita del figlio anche dopo la crisi coniugale. In questa prospettiva la bigenitorialità è un diritto soggettivo del minore, da collocare nell'ambito dei diritti della personalità. Dunque nel nuovo impianto codicistico l'affidamento condiviso diventa così regola generale, mentre quello monogenitoriale, verso il quale il Legislatore mostra un chiaro disfavore, è relegato a ipotesi residuale. L'affidamento condiviso comporta che ciascun genitore sia tenuto a operare direttamente per la cura del figlio, dividendo e, necessariamente, coordinando con l'altro, le relative responsabilità sulla base di un progetto educativo comune. Inoltre l'esercizio della potestà spetta a entrambi i genitori.
In questo nuovo contesto normativo, l'art. 709 ter c.p.c. si inserisce, dunque, nell'ambito dell'esecuzione dei provvedimenti relativi alla prole disponendo che, in caso di controversie tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà o delle modalità dell'affidamento, «a seguito di ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni» . Si è voluto, pertanto, conferire al giudice ampi spazi di discrezionalità permettendogli di avvalersi dei mezzi ritenuti più adatti allo scopo, assicurando in tal modo l'elasticità e la flessibilità della decisione alla fattispecie concreta. Parte della dottrina, a tal proposito, ha evidenziato invece che il lessico ripetitivo adoperato per connotare la condotta punibile ne lascia i contorni talmente indefiniti che la sua concreta applicazione dipenderà da una eccessiva valutazione discrezionale del giudice affievolendo, da un lato, l'efficacia dissuasiva della misura coercitiva (non essendo ben chiaro ex ante quale sia la condotta vietata) e, dall'altro, violando il principio di legalità al cui rispetto dovrebbe essere ispirato anche un apparato sanzionatorio di questo genere. Il comma 2 sancisce invece che il giudice «in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento» possa modificare i provvedimenti in vigore e possa anche congiuntamente: «1) ammonire il genitore inadempiente; 2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; 3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell'altro; 4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende».

Obiettivi e presupposti dell'art. 709 ter c.p.c.
Alla luce di quanto già brevemente osservato dell'art. 709 ter c.p.c. possiamo affermare che la sua ratio è quella di assicurare una sollecita definizione delle controversie insorte tra i genitori al fine di impedire che l'inutile protrarsi del tempo, impedendo le scelte da prendere nell'interesse del minore ovvero perpetrandosi gli impedimenti alla sua frequentazione con un genitore, possa provocare un grave pregiudizio al pieno e sano sviluppo psicofisico della prole. A tal uopo è opportuno ribadire che l'art. 30 Cost. collega funzionalmente il diritto del minore a un sano sviluppo della sua personalità ai doveri che ineriscono, prima ancora dei diritti, all'esercizio della potestà genitoriale e al giusto esplicarsi delle modalità di affidamento. Con l'apparato sanzionatorio previsto dalla disposizione in esame si vuol garantire, dunque, al minore la continuità del rapporto genitoriale nella maniera più equilibrata possibile, e conseguentemente possiamo affermare che il principio ispiratore dei provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c. è il principio di bigenitorialità. Il sorgere di una controversia tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà o all'esercizio delle modalità dell'affidamento costituisce il presupposto per l'intervento del giudice, il quale convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni per la risoluzione del conflitto.
Intervento giudiziale
Al fine di interpretare la generica locuzione adoperata dal Legislatore (provvedimenti opportuni) e conseguentemente individuare la tipologia dei provvedimenti che il giudice può adottare, è opportuno correlare il disposto dell'art. 709 ter c.p.c. con il comma 3 dell'art. 337ter c.c., nella parte in cui sancisce che, in caso di disaccordo dei genitori su decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione e alla salute, la decisione è rimessa al giudice. Pertanto, anche in caso di controversie aventi a oggetto questioni di maggior interesse per i figli (ad esempio la scelta della scuola), bisogna negare un potere di intervento diretto del giudice, potendo quest'ultimo solamente adottare i provvedimenti opportuni nel senso che dovrà conferire il potere di decisione a quello dei genitori che, nel caso concreto, ritenga il più adatto a tutelare gli interessi del minore (ex art. 316 c.c.), in ossequio al principio costituzionale dell'autonomia della famiglia. Il comma 2 della disposizione in esame prevede che «in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento», il giudice potrà modificare i provvedimenti vigenti e, anche congiuntamente, irrogare una (o più di una) delle misure sanzionatorie previste. Quindi in caso di condotte da parte di uno dei genitori più gravi il Legislatore ha previsto l'adozione di misure più incisive, preventivamente e specificatamente individuate.

Diversificazione delle misure adottabili dal giudice
L'art. 709 ter c.p.c. contiene, dunque, una diversificazione delle misure adottabili dal giudice a seconda della gravità del comportamento posto in essere dal genitore al fine di assicurare una migliore efficacia del rimedio preso. Il previsto potere di adottare misure coercitive da parte del giudice in aggiunta a quello di modificare i provvedimenti in vigore (comma 2) ha lo scopo di rendere il provvedimento di affidamento attuale ed efficace a tutela del superiore interesse del minore, e di cercare di prevenire il ripetersi di future inadempienze o violazioni. Le prime applicazioni giurisprudenziali dell'articolo di cui trattasi dimostrano che è stato utilizzato ad esempio in caso di unilaterale iniziativa, da parte di uno dei genitori, di trasferire la residenza dei figli oppure nel caso in cui un genitore ostacoli il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento. La giurisprudenza di merito ha esteso l'ambito applicativo della norma anche alle inadempienze relative alle obbligazioni a contenuto economico. A tal proposito, è stato rilevato che «anche la violazione degli obblighi economici è tale da giustificare l'applicazione delle misure di coercizione indiretta di cui all'articolo 709 ter c.p.c., atteso che anche le inadempienze di natura economica sono tali da recare un grave pregiudizio alla qualità della vita della prole» (Tribunale di Napoli 2 agosto 2007). In tal senso si è pronunciato ad esempio anche il Tribunale di Bologna 19 giugno 2007, il Tribunale di Modena 29 gennaio 2007, e il Tribunale di Reggio Emilia 4 luglio 2007.

Ambito di applicazione e competenza
Il presupposto cardine affinché il giudice possa intervenire ex art. 709 ter c.p.c. consiste nel fatto che sia già stato emesso un provvedimento che disciplini l'affidamento dei figli o l'esercizio della potestà nella separazione, nel divorzio, nell'annullamento del matrimonio o nei rapporti tra genitori non sposati. Difatti giova ricordare che ai sensi dell'art. 4 comma 2, della legge n. 54/2006, le disposizioni della stessa si applicano anche in caso di annullamento del matrimonio e ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. Per quanto concerne il profilo della competenza, l'articolo in commento prevede che sia competente «il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all'art. 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore». Una delle questioni processuali maggiormente dibattute riguarda l'identificazione del giudice competente, in pendenza del giudizio di separazione o divorzio: l'espressione contenuta nel comma 1 dell'art. 709 ter c.p.c.giudice del procedimento in corso si riferisce al tribunale in composizione collegiale o al giudice istruttore del procedimento di separazione o divorzio? L'orientamento prevalente della giurisprudenza di merito (Tribunale Catania 22 dicembre 2006; Tribunale di Modena 29 gennaio 2007) ritiene che l'espressione usata dal Legislatore debba essere riferita al giudice istruttore ovvero a colui che possiede tutti gli elementi indispensabili per poter valutare la condotta posta in essere dalle parti e l'effettivo interesse dei figli potendo, quindi, dare una risposta immediata alla richiesta di soluzione della controversia che ha bisogno di un sollecito rimedio. Comunque rimane inalterato il potere del collegio, all'esito dell'intero giudizio, di valutare l'intera controversia e, quindi, anche il contenuto dei provvedimenti adottati dal giudice istruttore ex art. 709 ter c.p.c. Solamente il Tribunale di Pisa (decreto 19 dicembre 2007) ha interpretato la norma nel senso che debba considerarsi competente il tribunale collegiale facendo leva sul fatto che il giudizio di separazione (o divorzio) è di attribuzione collegiale pertanto quest'ultimo è il dominus del procedimento, mentre il giudice istruttore è titolare di circoscritti poteri limitati allo svolgimento dell'istruttoria e all'adozione dei provvedimenti urgenti. Inoltre il Tribunale di Pisa argomenta la propria interpretazione affermando che la locuzione giudice del procedimento in corso vale sia come criterio di competenza, individuando, tra più tribunali, quello investito della decisione, sia come criterio di assegnazione della causa, individuando, tra più giudici dello stesso ufficio, quello a cui attribuire la controversia, al fine di concentrare le statuizioni relative a una famiglia in capo a un unico giudice. Infine sostiene che tale ricostruzione garantisce maggiormente le parti atteso che, rinviando l'ultimo comma dell'articolo in esame ai mezzi di impugnazione ordinaria, ove la competenza fosse del giudice istruttore le parti potrebbero unicamente prospettare la questione al collegio ex art. 178, comma 1, c.p.c. Nell'ipotesi in cui il giudizio di separazione o di divorzio sia stato già definito con sentenza passata in giudicato (oppure con decreto di omologazione) la norma in commento stabilisce che competente a conoscere delle controversie insorte tra i genitori sia «il tribunale del luogo di residenza del minore» .Tale deroga al Foro generale della persona fisica può trovare giustificazione nella necessità di dover assicurare la vicinanza del giudice al figlio minore allo scopo di semplificare tutte le attività che si dovessero rendere necessarie (ad esempio audizione del minore, espletamento di c.t.u.). La giurisprudenza di merito (cfr. Corte d'Appello di Caltanissetta 8 febbraio 2007, Corte d'Appello di Catania, 8 febbraio 2007) ha affermato che la proposizione del ricorso ex art. 709 ter c.p.c. è possibile anche quando i processi di separazione, divorzio e invalidità del matrimonio siano pendenti in grado di appello dal momento che la norma in esame non distingue tra giudice di primo grado e quello di secondo grado.


Tutela aquiliana endofamiliare e legami con la responsabilità civile
Un'altra questione di primario interesse è quella relativa al rapporto della tutela risarcitoria ex art. 709 ter c.p.c. rispetto alla responsabilità civile, avendo la Suprema Corte, ormai da alcuni anni, riconosciuto la configurabilità di una responsabilità aquiliana nell'ambito dei rapporti coniugali e familiari. A tal proposito, la Corte di Cassazione ha preso in considerazione la responsabilità dei genitori per violazione dei doveri verso i figli e la responsabilità per violazione degli obblighi coniugali. Nel primo ambito, troviamo la pronuncia del 7 giugno 2000, n. 7133, che ha sostenuto che il comportamento del genitore che per anni aveva rifiutato di riconoscere il figlio costituisse una lesione dei diritti fondamentali della persona inerenti alla qualità di figlio e, dunque, potesse costituire presupposto per una condanna al risarcimento del danno, indipendentemente dall'esistenza di perdite patrimoniali. In seguito a tale sentenza, si sono avute pronunce di merito che hanno ritenuto risarcibile il danno sofferto dal genitore, o dal figlio, per gli ostacoli posti in essere dal genitore affidatario al c.d. diritto di visita del non affidatario.Tale danno è stato configurato come danno biologico e morale risarcibili ai sensi degli artt. 1226, 2043, 2057, 2059 e 2727 c.c. dalla sentenza del Tribunale di Roma del 13 giugno 2000. Mentre il Tribunale di Monza, con pronuncia del 5 novembre 2004, ha ritenuto che un forte condizionamento psicologico esercitato dal padre affidatario nei confronti del figlio, ostacolando in tal modo un sano rapporto con la madre, potesse dar luogo al risarcimento del danno morale ed esistenziale a favore della madre, privata della possibilità di assolvere i propri doveri verso il figlio. Quest'ultima decisione, dunque, configura tale danno come danno non patrimoniale da lesione di un diritto costituzionalmente garantito. Per quanto riguarda la seconda area di illeciti endofamiliari, con la sentenza della Corte di Cassazione del 10 maggio 2005, n. 9801, è stata riconosciuta la piena risarcibilità dei danni non patrimoniali occasionati da una violazione dei doveri coniugali.
La Suprema Corte ha così sancito che le norme costituzionali di garanzia dei diritti fondamentali sono direttamente e pienamente efficaci nei rapporti tra privati, pertanto non ci possono essere limiti alla risarcibilità dei danni per il fatto che i titolari si pongano o meno all'interno di un ambito familiare o per la circostanza che sussistano anche altri strumenti tipici. Il danno da illecito endofamiliare è risarcibile, in base al combinato disposto dell'art. 2059 c.c. e degli artt. 29-30 Cost., anche in mancanza di un'esplicita previsione di legge quando e nella misura in cui la lesione abbia caratteristiche tali da ledere valori tutelati dalla Costituzione.
Ruolo dei rimedi previsti ex art. 709 ter c.p.c.: differenti interpretazioni
A tal punto è necessario chiedersi quale sia il ruolo dei rimedi previsti dall'art. 709 ter c.p.c. Dalle prime applicazioni della norma in esame emergono essenzialmente due filoni interpretativi: quello che riporta il risarcimento dei danni ex art. 709 ter c.p.c. nell'ambito della responsabilità civile e quello che invece lo ricollega al risarcimento dei danni c.d. punitivi.
Dato letterale dell'articolo
I fautori della prima ricostruzione fanno leva sul dato letterale della disposizione in commento, la quale distingue tra il risarcimento dei danni nei confronti del genitore e quello nei confronti del minore, presumendo dunque che il Legislatore abbia riconosciuto ai soggetti la cui sfera sia stata lesa, il diritto al risarcimento del danno in base alle regole della responsabilità civile. Parte della dottrina ha criticato la sopra citata ricostruzione interpretativa, sostenendo che si basa su una petizione di principio, dando per dimostrato ciò che va dimostrato: la funzione riparatoria e compensativa dei danni ex art. 709 ter c.p.c. Difatti, tale dottrina afferma che la distinzione tra i danni a favore del minore e i danni a favore del genitore è effettuata dal Legislatore al fine di far emergere che il beneficiario della misura pecuniaria può essere sia il minore che il genitore, ma ciò non vale a dimostrare che il danno sia qualificato come compensativo anziché come sanzionatorio, dal momento che anche le misure pecuniarie sanzionatorie devono necessariamente essere irrogate a favore della vittima dell'illecito. A sostegno della prima linea interpretativa si è fatto leva anche sul profilo strutturale dell'articolo in esame, il quale effettua una tipizzazione legale delle fattispecie che danno luogo al rimedio risarcitorio, basate sulle violazioni degli obblighi inerenti ai rapporti con i figli dopo la formalizzazione della crisi coniugale e l'adozione di provvedimenti giudiziali volti a disciplinare un diverso assetto di tali rapporti. Potrebbe sostenersi, dunque, che il Legislatore abbia positivizzato una responsabilità civile per violazione dei provvedimenti giudiziali e inadempimento degli obblighi da essi scaturenti che copre un'area diversa dalla violazione degli obblighi matrimoniali, dando la necessaria copertura legale per il risarcimento del danno non patrimoniale (danno morale soggettivo) non trattandosi di violazioni che incidono su valori della persona tutelati direttamente dalla Costituzione (altrimenti sarebbe operante la clausola generale del danno non patrimoniale derivante dalla lesione di valori costituzionalmente protetti). La norma in commento avrebbe effettuato, secondo tale ricostruzione, una preventiva valutazione delle condotte in essa tipizzate: gravi inadempienze, atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, riconoscendo tutela risarcitoria ai danni morali soggettivi. Su tale scia troviamo in giurisprudenza la Corte d'Appello di Firenze (Sez. fer., decreto 22-29 agosto 2007) che ha espressamente qualificato il danno patito sia dal figlio, per la privazione della frequentazione del padre, che dal genitore, privato di mantenere un sano ed equilibrato rapporto con la prole, come danno non patrimoniale da ricollegare al sistema risarcitorio ex art. 2059 c.c. La condizione di tipicità renderebbe automatica la tutela risarcitoria dell'interesse leso, per questi motivi l'art. 709 ter c.p.c. non fa riferimento all'ingiustizia del danno, perché è già stata oggetto di valutazione normativa. Da un punto di vista funzionale, il fatto che la norma in esame intervenga nella fase di esecuzione dei provvedimenti giudiziali orienta verso una qualificazione compensativa del danno morale sofferto dal genitore o dal minore. In tale ottica interpretativa, in sede giudiziale, il danno deve essere provato o allegato con riferimento a elementi di fatto da cui poterlo presumere.


Danno ex art. 709 ter c.p.c. quale punitive damage
La seconda linea interpretativa che qualifica il danno ex art. 709 ter c.p.c. come una forma di punitive damage , ovvero sanzione privata, valorizza principalmente il momento dell'esecuzione del provvedimento giudiziale, partendo dal presupposto che la norma in commento abbia la precipua finalità di garantire l'attuazione del provvedimento di affidamento e non la riparazione della lesione di un bene protetto. A tal punto occorre individuare quale sia il bene protetto dall'art. 709 ter c.p.c: se il valore tutelato è la sofferenza morale soggettiva che deriva dal mancato rispetto dei provvedimenti giudiziali adottati, siamo nel campo della responsabilità civile, se invece è il diritto alla continuità dei rapporti genitori-figli e la protezione dell'interesse del minore, vengono in rilievo i valori costituzionalmente protetti della persona umana, per la cui tutela non occorre un'esplicita previsione normativa, essendo operativa la clausola generale della responsabilità civile, che, come abbiamo già evidenziato, la Suprema Corte ne ha ammesso l'ingresso nell'ambito del diritto di famiglia. In questa prospettiva, affermare che l'art. 709 ter c.p.c. funga da porta di ingresso della responsabilità aquiliana nella sfera familiare porterebbe a risultati limitati, restando prive di tutela risarcitoria tutte le ipotesi non tipizzate dalla disposizione in commento quali ad esempio le violazioni compiute nella fisiologia del rapporto. Per tali motivi è stato sostenuto che, a tutela del superiore interesse del minore, l'articolo in commento va interpretato in una visione di tutela rafforzata, volta a tutelare nella maniera più efficace l'attuazione del suo diritto alla continuità dei rapporti con entrambi i genitori. Pertanto, le misure ex art. 709 ter c.p.c. costituirebbero rimedio ulteriore rispetto alla responsabilità civile volte alla tutela di un interesse superindividuale sia relativo al coniuge sia al figlio minore (cfr. Tribunale Vallo della Lucania 7 marzo 2007). È stato comunque sottolineato che una funzione prevalentemente sanzionatoria del danno non patrimoniale possa ammettersi solo in caso di comportamenti lesivi qualificati dal dolo o dalla colpa grave del danneggiante, altrimenti ci sarebbe il rischio di over-deterrence, incompatibile con il principio di proporzionalità delle sanzioni civili. Tale ricostruzione interpretativa si scontra con quanto affermato recentemente dalla Cassazione che con sentenza 19 gennaio 2007, n. 1183, ha ribadito l'estraneità dei danni punitivi ai principi risarcitorio-indennitari propri del nostro ordinamento giuridico.


Strumenti coercitivi: modalità per assicurare al minore l'attuazione dei provvedimenti giudiziari nel suo interesse
L'articolo che ci occupa deve essere letto alla luce del principio ispiratore della legge n. 54/2006 sull'affido condiviso che lo ha introdotto nel Codice di procedura civile, ovvero quello della salvaguardia della bigenitorialità, volto a cercare di garantire al minore di mantenere un rapporto continuativo, sano ed equilibrato con ciascun genitore anche nel momento della crisi coniugale. In quest'ottica i rimedi previsti dall'art. 709 ter c.p.c. appaiono costituire misure coercitive dirette e indirette che effettuano una pressione psicologica sul genitore per indurlo a non continuare nei comportamenti lesivi e a rispettare i provvedimenti giudiziali per il preminente interesse del minore. Da questo punto di vista tali misure sembrano altro rispetto alla responsabilità civile. Se il genitore pone in essere una condotta oppositiva non è possibile ricorrere all'esecuzione in forma specifica, trattandosi di obblighi infungibili e, pertanto, l'unico strumento è quello coercitivo che da questa prospettiva è stato introdotto finalmente con la disposizione in commento. In questa logica si inserisce una delle prime applicazioni giurisprudenziali della norma in esame (Tribunale di Messina 5 aprile 2007), che evidenzia la finalità di deterrence e di disincentivazione delle misure ex art. 709 ter c.p.c. affinché la condotta ostativa di un genitore alla realizzazione di un paritetico ruolo di ciascun genitore nella vita dei figli cessi al più presto. È stato correttamente sottolineato che la funzione punitiva non è sconosciuta ai rimedi giusfamiliari: basti pensare agli ordini di protezione, alla perdita di diritti successori in conseguenza dell'addebito della separazione, alla normativa del matrimonio putativo, che a prescindere dalla prova del danno obbliga il coniuge cui sia imputabile la nullità del matrimonio a pagare una somma di denaro.
Classificazione del danno derivante dalla violazione dei provvedimenti giudiziari
La responsabilità civile è focalizzata sull'ingiustizia del danno e sull'imputabilità del soggetto che lo abbia causato ed è pertanto indirizzata sulla persona del danneggiato, per compensarlo della perdita subita. La giurisprudenza ha sempre negato che il danno sia in re ipsa , dovendo ogni volta essere provato in giudizio sia nell' an che nel quantum , presupponendo, dunque, un'ampia attività istruttoria. Diversa è, invece, la ratio dei punitive damage che, ammessi e previsti negli ordinamenti di common law , mirano a sanzionare, con l'irrogazione di una specie di sanzione economica privata, colui che ha posto in essere comportamenti malevoli ai danni di altri consociati. Nei punitive damage sono sottese, dunque, finalità pubblicistiche di deterrence e punishment : di tentare di distogliere il colpevole, nonché la collettività, da comportamenti socialmente dannosi, quando la minaccia del solo risarcimento non possa costituire un valido deterrente nonché di incentivare la parte lesa ad affermare il proprio diritto, in una sorta di surrogazione della potestà pubblica, che eviti, al contempo, fenomeni di giustizia privata. Nell'ottica interpretativa dei rimedi previsti dall'art. 709 ter c.p.c. quali danni punitivi, l'attenzione è rivolta pertanto non tanto al danneggiato ma alla condotta dell'autore dell'illecito, che a causa della sua tipizzazione effettuata a priori dal Legislatore impone il ricorso a misure sanzionatorie e deterrenti sempre nel preminente interesse del minore. Per tali motivi non è richiesta la prova del danno effettivamente patito e non si rapporta il risarcimento al pregiudizio subito dal minore, bensì alla gravità della condotta. Su queste basi lo strumento risarcitorio ex art. 709 ter c.p.c. sembra configurabile come una pena privata giudiziale, prevista dalla legge, ma determinata nel suo ammontare dal giudice, avente una finalità preventiva e di disincentivazione. A tal proposito è stato sostenuto che aderire a quest'ultima ricostruzione interpretativa implica la possibilità per il giudice di applicare le condanne ex art. 709 ter c.p.c. d'ufficio, a prescindere dunque dalla specifica domanda da parte del coniuge o del figlio minore e un'istruttoria assolutamente semplificata e deformalizzata (non articolata come richiede invece un accertamento pieno della responsabilità), volta ad accertare le gravi inadempienze o violazioni commesse da uno dei genitori.Tra queste due opposte ricostruzioni interpretative del risarcimento del danno ex art. 709 ter c.p.c., merita porre attenzione ad un terza interessante linea interpretativa che è stata prospettata da una pronuncia di merito (Tribunale di Reggio Emilia 5 novembre 2007): quella che individua nel risarcimento del danno previsto dall'articolo in commento una duplice componente, una sanzionatoria volta a far cessare una condotta illecita, e una riparatoria, quale mezzo di reintegrazione di un grave pregiudizio, visto che non può esserci risarcimento in mancanza di una lesione nella sfera personale.

Considerazioni conclusive

Per concludere questa trattazione sull'art. 709 ter c.p.c., si può dire che nell'attuale momento storico l'illecito civile versa in una situazione di notevole fermento e a complicare la questione è intervenuta anche la già citata sentenza della Suprema Corte del 19 gennaio 2007, n. 1183, che ha ribadito l'esclusiva funzione compensativa della responsabilità civile. Parte della dottrina ha, tuttavia, sottolineato come tale pronuncia non abbia negato in via di principio la configurabilità nel nostro ordinamento dei danni punitivi, ma la loro contrarietà ai principi che regolano la responsabilità civile, non escludendo, pertanto, la possibilità di individuare in altre categorie giuridiche il fondamento di tali danni. In questa prospettiva, la previsione di misure punitive (aventi chiare connotazioni penalistiche) deve trovare la base in una norma di diritto positivo in virtù del principio di tipicità della pena. Occorrerà, dunque, attendere il vaglio della prassi per vedere se si affermerà un'innovativa interpretazione dell'art. 709 ter c.p.c. in una logica sanzionatoria che apra al diritto privato strumenti in grado di sanzionare l'autore dell'illecito e dissuadere dal protrarsi di comportamenti illegittimi. Giova qui ricordare che sia al fine di garantire al minore un sano ed equilibrato rapporto con ciascun genitore in caso di crisi della coppia, sia di assicurare il massimo rispetto delle modalità di affidamento stabilite, è stato previsto anche lo strumento della mediazione familiare. In quest'ottica la legge n. 54/2006 ha introdotto (art. 155 sexies , comma 2) un nuovo potere discrezionale del Giudice, concernente la possibilità di rimettere le parti in giudizio davanti a un collegio di esperti al fine di tentare che in quella sede i coniugi riescano a trovare un accordo che disciplini il nuovo ménage familiare. Il Legislatore, dunque, affida alla sensibilità e alla cultura del Giudice la valutazione circa l'opportunità di rinviare l'adozione dei provvedimenti ex art. 155 c.c. al fine di consentire ai coniugi di raggiungere un'intesa al di fuori dell'aula del Tribunale, sempre nel preminente interesse dei figli e con maggior probabilità di attuazione da parte di quest'ultimi. Il testo originario della norma prevedeva, invece, la mediazione come un passaggio obbligatorio nella fase preliminare della separazione.Tale cambiamento del testo normativo è dipeso dal fatto che si è ritenuto che una mediazione obbligatoria sia una contraddizione in termini, in quanto il buon esito di un percorso di mediazione familiare dipende da una profonda e volontaria adesione di coloro che intraprendono tale cammino. Per quanto concerne l'utilizzo nella pratica della mediazione familiare in giurisprudenza troviamo l'ordinanza del 5 dicembre 2007 del Tribunale di Lamezia Terme, dove il Presidente ha rinviato, appunto, l'adozione dei provvedimenti ex art. 155 c.c. per consentire ai coniugi separandi di trovare un accordo rivolgendosi al Collegio di Mediazione che è stato creato all'interno del Tribunale stesso, e il decreto 29 novembre-10 dicembre 2007 del Tribunale per i Minorenni di Campobasso che, stante l'accesa conflittualità esistente tra i genitori, ha disposto che quest'ultimi intraprendano un percorso di mediazione familiare, al quale avevano precedentemente espresso il loro consenso, per tentare di trovare un'intesa. Concludendo, quindi, possiamo affermare che soltanto l'applicazione pratica dell'art. 709 ter c.p.c. da un lato, e della mediazione familiare dall'altro, potrà mostrarci l'efficacia o meno di tali strumenti a consentire un armonico ed equilibrato rapporto genitori-figli anche nel momento della crisi coniugale.