Penale

Naufragio con aggravanti dimezzate

di Alessandro Galimberti

L’aver scelto una rotta a dir poco azzardata per mere finalità ludiche/spettacolari (il famoso “inchino” davanti all’Isola del Giglio) non fa scattare l’a ggravante della colpa cosciente per il comandante della Concordia, Francesco Schettino. La Quinta penale della Cassazione (sentenza 35585/17, depositata ieri) con le motivazioni finali chiude il capitolo del naufragio del gennaio 2012, costato 32 vite umane e oltre 190 feriti, e fissa la condanna definitiva dell’ufficiale a 16 anni, tra l’altro, per omicidio colposo plurimo e naufragio colposo.

Proprio tra queste due fattispecie la Quinta, ripercorrendo le scelte della Corte d’appello di Firenze, marca la sostanziale differenza nell’applicazione delle circostanze, scartando per gli omicidi l’aggravante della colpa cosciente (articolo 61 n.3 del codice penale) e imputandola invece per il tragico incidente contro gli scogli.

La Cassazione, respingendo il principale motivo di ricorso della procura generale, spiega che Schettino, pur avendo violato in pochi minuti una mezza dozzina di regole professionali, di prudenza e di perizia, aveva nella sua testa ben chiaro di assumersi il rischio (degli scogli), ma era in cuor suo convinto di poter evitare l’inglorioso schianto, e soprattutto non aveva nemmeno lontanamente contemplato l’ipotesi (probabilità) di provocare perdite tra l’equipaggio e i passeggeri. Se questa analisi dei suoi comportamenti - registrati dalle strumentazioni di bordo e testimoniati dagli ufficiali subalterni - escludono la colpa cosciente di aver preveduto l’evento/morte, lo stesso non può ovviamente dirsi per le violazioni del piano di rotta, le cui ripetute variazioni ordinate in sequenza da Schettino (che alla fine tentò di evitare l’impatto del fondale con manovre da “rallysta” a meno di 100 metri dalla costa) integrano alla perfezione la cosiddetta «colpa cosciente» del naufragio.

Un ruolo causale nelle dimensioni della tragedia, comunque, Schettino lo ha avuto anche dopo l’impatto, con una serie di comportamenti molto lontani dagli standard esigibili per il «dominus assoluto» (ruolo definito dal codice della navigazione) della nave. Dopo l’impatto - scrivono i giudici, citando quanto accertato nei giudizi di merito - l’inclinazione della nave fu progressiva e non immediata, la velocità si riduceva di minuto in minuto, le scialuppe potevano essere tempestivamente calate». Secondo i periti non appena la velocità della nave alla deriva (dopo l’impatto che aprì la chiglia per 57 metri di lunghezza e 7,5 di altezza si spensero immediatamente motori e generatori ) scese sotto i 5 nodi dai 15,5 dello schianto, le scialuppe dovevano essere messe in acqua. Invece le operazioni subirono un colpevole ritardo (anche perché Schettino diede informazioni molto reticenti e minimizzanti alle autorità portuali) e molte delle vittime persero la vita scivolando dal versante della Concordia rimasto in galleggiamento ma con pendenze e vortici d’acqua mortali. Pertanto Schettino non paga (solo) per la sua posizione di comandante: «I ritardi e le manchevolezze dell’imputato nella gestione dell’emergenza sono stati puntualmente collegati dai giudici di merito», al contrario «un comportamento alternativo diligente» avrebbe avuto «una portata salvifica».

La progressione illecita dell’ufficiale sorrentino quella sera iniziò dalla sommaria (e peraltro da lui disattesa) pianificazione della rotta assieme al cartografo, «proseguendo poi con l’utilizzo di una manovra spericolata, tenendo una rotta e una velocità del tutto inadeguate, per finalità essenzialmente legate al “saluto” ravvicinato al Giglio». Tra le negligenze dell’imputato, anche la mancata conoscenza della dislocazione dei settori sottochiglia subito allagati, che non gli permisero di capire al volo la portata dell’impatto, e la mancata sostituzione del timoniere durante l’emergenza: non capiva bene gli ordini né in italiano né in inglese.

Corte di Cassazione, Quinta sezione penale, sentenza 35585 del 19 luglio 2017

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