Società

Sulla registrazione dei marchi contenenti nomi di città, stati o aree geografiche. Una prospettiva comparatistica

La registrabilità dei marchi contenenti riferimenti territoriali, "plus-geografici" o di veri e propri "marchi geografici", assumono una rilevanza sempre più centrale n un mondo in cui il fenomeno dell'Italian Sounding vale 79,2 miliardi di euro l'anno

di Ilaria Frascarolo *

In un mondo in cui il fenomeno dell'Italian Sounding vale 79,2 miliardi di euro l'anno (dati di Assocamerestero e The European House Ambrosetti), le questioni relative alla registrabilità dei marchi contenenti riferimenti territoriali, "plus-geografici" o di veri e propri "marchi geografici", assumono una rilevanza sempre più centrale.

Per quanto riguarda il diritto italiano, il Codice della Proprietà Industriale, alla lettera b) dell'art. 14, che disciplina i profili di liceità del marchio, stabilisce che non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa "i segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi".

Tale norma, peraltro, va letta in combinato disposto con l'art. 30 del medesimo Codice della Proprietà Industriale, che stabilisce che "è vietato, quando sia idoneo ad ingannare il pubblico, l'uso di indicazioni geografiche e di denominazioni di origine, nonché l'uso di qualsiasi mezzo nella designazione o presentazione di un prodotto che indichino o suggeriscano che il prodotto stesso viene da una località diversa dal vero luogo di origine, oppure che il prodotto presenta le qualità che sono proprie dei prodotti che provengono da una località designata da un'indicazione geografica".

La questione, che si pone, per ovvi motivi, soprattutto con riguardo ai marchi utilizzati per contraddistinguere prodotti agro-alimentari, ha dato il via a una prassi che vede normalmente ammissibili i marchi geografici c.d. forti, caratterizzati da nomi che non posseggono un legame stretto con la storia agrifood del territorio (per esempio l'italiana carne "Montana", che richiama la tradizione americana, pur non avendo, il prodotto, alcun legame con il territorio statunitense); mentre considera non registrabili i marchi c.d. deboli (come, potenzialmente, il marchio "riso vercellese", che richiamerebbe le famose risaie tipiche della provincia di Vercelli).

Più in generale, e al di fuori dei prodotti alimentari in sé, la questione si fa particolarmente spinosa nell'ipotesi in cui il marchio in questione non contiene esclusivamente riferimenti, più o meno chiari, a un'area geografica, ma quando riporta l'esclusiva e identica nomenclatura di un toponimo. Ne è un esempio il caso "Island contro Island", in cui lo Stato dell'Islanda ha iniziato nel 2019 un procedimento avanti l'EUIPO (Ufficio dell'Unione Europea per la Proprietà Intellettuale, n. 14 030 C) contro la società britannica Iceland Foods Limited – il cui nome è dovuto al fatto che la stessa, sin dal 1970, ha sempre venduto prodotti prevalentemente surgelati – per ottenere la cancellazione del marchio ("Iceland", n. 11565736), in quanto, ad avviso del ricorrente, lo stesso violava i diritti del proprio Stato sovrano. Il procedimento si è concluso, in primo grado, con l'accoglimento integrale della domanda di nullità richiesta dal Ministro Islandese degli Affari Esteri.

Il marchio geografico, in altre parole, è stato considerato della tipologia "debole", e pertanto, come per ogni marchio debole, rendeva necessario che il titolare fornisse la prova dell'acquisizione del suo carattere distintivo grazie all'uso che ne è stato fatto in tutti i territori interessati. Tale prova, per l'EUIPO, non era stata raggiunta.

Attualmente è in corso il procedimento di Appello avverso la decisione (R1238/2019-G), che l'Azienda inglese ha fondato sulla circostanza che attualmente, nel diritto UE e nel relativo sistema armonizzato, non è previsto alcun divieto generale di registrazione di nomi di Paesi come marchi: tale sistema, al contrario, secondo la ricorrente, prevederebbe una tutela specifica esclusivamente per le indicazioni geografiche di origine protetta e similari (DOP, IGP, IG…).

Allo stesso modo si è espressa la Corte Amministrativa Suprema per la Proprietà Intellettuale, nel caso "BOY LONDON". Il caso riguardava la società taiwanese Grace Optical Co. Ltd., che aveva depositato una domanda di marchio delle parole "BOY LONDON" nelle classi 9, 35, 37 e 44, poi rigettata dal Taiwan Intellectual Property Office (TIPO) perché la parola "Londra" contenuta nel marchio poteva, ad avviso dell'ente, indurre in errore il pubblico sulla qualità, la natura e il luogo d'origine dei prodotti e servizi designati. Veniva respinto anche il ricorso presentato al Ministero dell'Economia (MOEA).

La società di Taiwan ha quindi adito l'Intellectual Property Court, la quale, a differenza degli organi giudicanti dei precedenti gradi di giudizio, annullava le decisioni e riconosceva la validità del marchio "BOY LONDON", sostenendo che il pubblico non sarebbe stato posto in errore sulla provenienza dei prodotti. A seguito della decisione, il TIPO proponeva impugnazione avanti la Suprema Corte Amministrativa, la quale ribaltava nuovamente la sentenza, asserendo che Londra è città assolutamente nota al pubblico taiwanese, e che non è possibile, in questo caso, come accade per il marchio "debole", superare l'obiezione di non distintività attraverso prove che dimostrino che il marchio ha acquisito un significato secondario attraverso un uso duraturo ed estensivo. Il marchio è quindi stato dichiarato nullo in quanto registrato in violazione dell'art. 30-l-(8) del Trademark Act, e la decisione della IP Court taiwanese annullata.

Ciò significa che, anche per la Corte Suprema Taiwanese, il nome di una città può essere considerato descrittivo solo se esso identifica prodotti provenienti dalla città in questione (ciò che consente al titolare di provare il c.d. secondary meaning). Al contrario, se il richiedente è originario di altra città, l'eccezione sollevata è che il marchio è ingannevole, e nulla può essere allegato per superare tale rilievo.

In conclusione, ciò che emerge dal contenuto di queste decisioni, pur provenendo da Autorità molto lontane territorialmente e che si sono basate, per la decisione, su fonti normative altrettanto diversificate, è che il nome di uno Stato o di una città, in linea di massima, non possa essere utilizzato per contraddistinguere prodotti o servizi.

Paradossalmente, il rigetto di marchi di questo tipo è avvenuto recentemente anche quando il richiedente era il governo di quel medesimo Stato. Il riferimento è al caso "Andorra", in occasione del quale il governo dello Stato aveva depositato un omonimo MUE, il quale, con decisione del 23 febbraio 2022 nella causa T-806/19, veniva rifiutato.

Parimenti, il ricorso avanti la Corte di Giustizia, promosso dal governo dell'Andorra, è stato rigettato per tutte le classi in questione.

Questo quadro sostanzialmente uniforme a livello globale dimostra quanto possa essere complicato, all'attuale stato dell'arte, ottenere la registrazione di marchi contenenti denominazioni geografiche, specie per luoghi che offrono un'ampia gamma di attività economiche o che sono particolarmente conosciuti per determinate produzioni.

*a cura dell'avv. Ilaria Frascarolo, Studio Eptalex

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