Società

Doveri e responsabilità degli amministratori di società in chiave di sostenibilità

Gli obiettivi di perseguimento dello sviluppo sostenibile hanno assunto un rilievo sempre crescente in ambito giuridico, con particolare attenzione al settore societario, iniziando a produrre specifici impatti sull'attività d'impresa e sull'operato degli organi gestori

di Christian Iannaccone*

Nei tempi recenti, è indubbio che le tematiche di sostenibilità abbiano acquisito una rilevanza centrale nell'agenda delle istituzioni internazionali. Parallelamente a tale centralità nel dibattito politico, gli obiettivi di perseguimento dello sviluppo sostenibile hanno altresì assunto un rilievo sempre crescente in ambito giuridico, con particolare attenzione al settore societario, iniziando a produrre specifici impatti sull'attività d'impresa e sull'operato degli organi gestori.

Il concetto di sostenibilità quale componente delle strategie d'impresa si è tradotto, in primo luogo, in obblighi informativi. Le società di grandi dimensioni, qualificate come enti di interesse pubblico rilevanti, quali, a titolo esemplificativo, società quotate e banche, sono invero tenute a redigere a cadenza annuale la c.d. "dichiarazione di carattere non finanziario", volta a dare specifica evidenza dei profili ambientali, sociali, attinenti al personale, relativi al rispetto dei diritti umani e concernenti la lotta contro la corruzione di rilievo nell'analisi della gestione, dell'andamento e dei risultati dell'impresa.

Tale disciplina, introdotta dalla Direttiva 2014/95/UE e recepita con il d.lgs. 254/2016, costituisce un esempio chiaro della rilevanza assunta dalle iniziative legislative a livello comunitario nella trasformazione del mercato in chiave sostenibile, con considerevoli ricadute altresì sul piano nazionale.

A rafforzare siffatti obblighi informativi è intervenuta, il 21 aprile 2021, una proposta di Direttiva denominata "Corporate Sustainability Reporting Directive" (CSRD), la quale, proseguendo nell'obiettivo di integrare la sostenibilità nella gestione aziendale, ha previsto un ampliamento dei soggetti destinatari dell'obbligo di dichiarazione non finanziaria, includendo ulteriori società di grandi dimensioni che, indipendentemente dallo status di "enti di interesse pubblico", superino, alla data di chiusura del bilancio, i limiti numerici di almeno due dei tre criteri di seguito elencati: (a) totale dello stato patrimoniale pari a Euro 20.000.000; (b) ricavi netti delle vendite e prestazioni pari a Euro 40.000.000; e (c) numero medio di dipendenti durante l'esercizio pari a 250.

In tale contesto, la responsabilità di un corretto e puntuale adempimento dei menzionati doveri di informazione grava proprio sull'organo amministrativo, soggetto ad una serie di sanzioni amministrative nel caso in cui ometta di, o ritardi a, depositare la richiesta dichiarazione non finanziaria presso il registro delle imprese ovvero rediga la stessa in maniera non conforme alle disposizioni normative.

In secondo luogo, specifici doveri di diligenza delle imprese ai fini di sostenibilità sono stati contemplati dalla nuova proposta di Direttiva del 23 febbraio 2022, in virtù della quale le società sarebbero chiamate a dotarsi di un piano che identifichi i potenziali rischi sui temi sociali derivantidall'attività aziendale nonché ad assumere iniziative finalizzate a minimizzare siffatti rischi, predisponendo un adeguato codice di condotta in materia e ricadendosi sull'organo amministrativo la relativa responsabilità in caso di mancato adempimento. I doveri di diligenza si rifletterebbero, inoltre, nell'obbligo per quest'ultimo di tenere in debita considerazione le conseguenze in termini di sostenibilità, ed in particolare in relazione ai diritti umani, ai cambiamenti climatici ed all'ambiente, delle decisioni da esso assunte.

Occorre tuttavia segnalare che, nonostante il richiamo alla tutela dei profili socio/ambientali da parte delle menzionate disposizioni e proposte di disposizioni comunitarie, sia difficile affermare che la sostenibilità produca un impatto immediato sulla responsabilità degli amministratori. Invero, non esiste al momento, nel nostro ordinamento, una reale previsione che garantisca ai vari stakeholders di poter esercitare una qualche forma di responsabilità nei confronti dell'organo gestorio, posto che essi continuano a rispondere sempre ai soci.

A ciò si aggiunge la consolidata convinzione che lo scopo dell'attività di impresa resti, salvi espressi richiami alle tematiche di sostenibilità nell'oggetto sociale, il conseguimento di utili. Ne deriva che, anche dinnanzi ad un comportamento non conforme agli obiettivi dello sviluppo sostenibile, non sarebbe in ogni caso possibile sostenere l'esistenza di un pregiudizio – essenza di un'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori – qualora tale pregiudizio non produca riflessi sul patrimonio della società.

Nondimeno, appare innegabile una sempre crescente valorizzazione del perseguimento degli obiettivi non finanziari nell'analisi della condotta dell'organo amministrativo, la quale si è altresì tradotta, per mezzo della Direttiva 2017/828/UE, recepita dal d.lgs. 49/2019, in specifiche politiche ed incentivi in termini remunerativi. Se gli attuali princìpi, comunque, già richiedono agli amministratori di sostenere la crescita nel lungo termine dell'impresa, esaminando differenti variabili anche legate al contesto ambientale e sociale in cui questa opera, si tratta senza dubbio di un tema in continua evoluzione, che, come tale, necessita di essere tenuto in considerazione tanto da parte delle società nel configurare la propria corporate governance, quanto da parte dell'organo gestorio nello svolgimento delle relative attività.

L'auspicio è che le tematiche di sostenibilità divengano, nel prossimo futuro, un fattore chiave di ogni scelta dell'organo amministrativo, al fine di favorire il raggiungimento di un'economia sostenibile ed una solida tutela dei diritti umani e dell'ambiente. Si tratta, senza dubbio, di un obiettivo ambizioso, il cui perseguimento richiede nuove strategie d'impresa nonché un processo trasversale di conoscenza dell'intera catena di valore, con conseguente maggiore valorizzazione dei momenti di interazione tra i differenti attori che costituiscono la filiera.

È lungo quest'ultima direzione che si sta attualmente muovendo la Commissione Europea, la cui citata proposta di direttiva del 23 febbraio 2022, in linea con i valori cardine dell'Unione, quali il rispetto della dignità umana, dell'uguaglianza e dello stato di diritto, impone proprio alle imprese di arrestare gli impatti negativi che le loro attività possono causare in termini di sostenibilità lungo tutta la supply chain, mettendo in atto, tra le altre cose, idonee misure di prevenzione, predisponendo un adeguato codice di condotta ed un solido piano operativo in materia nonché monitorando costantemente l'efficacia della politica aziendale adottata e pubblicando periodicamente una dichiarazione di compliance.

Tale proposta di direttiva include altresì l'instaurazione di una specifica procedura di reclamo volta a consentire un'efficiente gestione delle segnalazioni nonché sanzioni pecuniarie commisurate al fatturato della società in caso di mancato rispetti degli obblighi ivi contemplati.

*a cura dell'Avv. Christian Iannaccone, Partner DLA Piper Italia

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©

Correlati

Martina Lehmann*

Norme & Tributi Plus Diritto

Chiara Bussi

Il Sole 24 Ore

Enzo Rocca

Il Sole 24 Ore