Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 27 e il 30 dicembre 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settima le Corti d'Appello si pronunciano in materia di transazione (in particolare, della lite giudiziale), di liquidazione del danno patrimoniale futuro subito da minori che non producono reddito, di supercondominio e di divieto d'intermediazione di manodopera.
Da parte loro i Tribunali affrontano i temi della par condicio creditorum nel fallimento, della prescrizione presuntiva, della perizia contrattuale, dell'indennizzo diretto nei sinistri stradali, delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti e, infine, del pagamento del debito fuori bilancio da parte degli enti locali.

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TRANSAZIONE

Transazione della lite giudiziale - Effetti. (Cc, articoli 1362 e 1965)
Osserva la Corte d’Appello di Campobasso come, a norma dell’art. 1965 c.c., con la transazione le parti, mediante reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata (o ne prevengono una insorgenda). In particolare, la transazione della lite giudiziale in cui sia intervenuta la pronuncia di primo grado implica l’inequivoca e totale rinuncia alla relativa impugnazione; il che non può ritenersi nel caso in cui entrambe le parti esprimano riserve in proposito affermando di considerare impregiudicati i propri diritti in ordine alla questione controversa. Quanto, poi, al presupposto della res dubia - che caratterizza la transazione – esso è integrato non dalla incertezza obiettiva circa lo stato di fatto o di diritto, ma dalla sussistenza di discordanti valutazioni in ordine alle correlative situazioni giudiziali ed ai rispettivi diritti ed obblighi delle parti, con la conseguenza che nessuna incidenza sulla validità e sulla efficacia del negozio può attribuirsi all'accertamento ex post dell’assoluta infondatezza di una delle contrapposte pretese. La transazione pro quota, in quanto atta a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva rispetto al debitore che vi aderisce, non può coinvolgere gli altri condebitori, i quali dunque nessun titolo avrebbero per profittarne, salvo ovviamente che per gli effetti derivanti dalla riduzione del loro debito in conseguenza di quanto pagato dal debitore transigente. Lo stabilire se, in concreto, la transazione tra il creditore ed uno dei debitori in solido abbia avuto ad oggetto l’intero debito, o solo una quota del debitore, comporta un’indagine sul contenuto del contratto e sulla comune volontà che in esso i contraenti hanno inteso manifestare, da compiere ad opera del Giudice di merito secondo le regole di ermeneutica fissate nell’art. 1362 s.s. c.c. Quanto ai danni futuri, se sono riconducibili a vizi conosciuti o conoscibili e/o prevedibili, dei quali si possa fondatamente postulare che le parti abbiano effettivamente discusso (o avrebbero potuto discutere) allora ricadono nell'oggetto della transazione; diversamente, non sono ricompresi nella transazione e possono essere fatti valere in un successivo giudizio.
Corte di Appello di Campobasso, senteza 29 dicembre 202, n. 308

MINORI

Menomazione della capacità lavorativa specifica - Risarcimento.  (Cc, articoli 1226 e 2697)
Con riferimento alla liquidazione del danno patrimoniale futuro di soggetti non ancora produttivi di reddito a causa della giovane (o giovanissima) età, secondo la Corte d’Appello di Palermo, è indubbia la validità generale del principio dell'onere della prova (articolo 2697 c.c.) e del principio secondo cui (articolo 1226 c.c.) è consentita la liquidazione equitativa del danno solo se il quest'ultimo è provato (o non è contestato) nella sua esistenza e non è dimostrabile, se non con grande difficoltà, nel suo preciso ammontare.
Secondo la Corte è (quasi) sempre impossibile dare la prova rigorosa, precisa ed incontestabile di un danno futuro; infatti, persino se il danneggiato produceva un reddito al momento del sinistro, l'evoluzione successiva della sua capacità di produrlo (nell'eventualità che il sinistro medesimo non si fosse verificato) può essere oggetto solo di un giudizio prognostico basato su presunzioni (la più importante e basilare delle quali è costituita dall'entità del reddito già prodotto). Tale impossibilità è ancora più evidente nell'ipotesi di danneggiato che al momento del sinistro non produceva reddito in quanto, in tal caso, viene meno anche quell'essenziale elemento presuntivo che è costituito dall'entità del reddito prodotto. Ciò non significa che tale danneggiato debba restare privato del risarcimento del danno patrimoniale: quando un minore, non svolgente attività lavorativa, subisca lesioni personali con postumi permanenti incidenti sulla specifica capacità lavorativa futura, il relativo danno da risarcire consistente nel minor guadagno che il minore percepirà rispetto a quello che avrebbe percepito se la sua capacità lavorativa non fosse stata menomata, può esser determinato dal Giudice in base al tipo di attività che presumibilmente il minore eserciterà, secondo criteri probabilistici, tenendo conto degli studi intrapresi e delle inclinazioni manifestate dal medesimo, nonchè della posizione economico - sociale della famiglia.
Nei casi in cui l'elevata percentuale di invalidità permanente renda altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, si può procedere all'accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi trattandosi di danno provato nella sua esistenza e non dimostrabile se non con grande difficoltà nel suo preciso ammontare.
Corte di Appello di Palermo, sezione I, sentenza 28 dicembre 2022 n. 2135

COMUNIONE E CONDOMINIO

Supercondominio - Sussistenza - Requisiti. (Cc, articolo 1117-bis)
La Corte d’Appello di Roma è chiamata a pronunciarsi in merito alla sussistenza, o meno, nel caso oggetto del suo intervento, dei presupposti per l’applicazione della disciplina prevista per il supercondominio (o condominio cd. orizzontale). Osserva così come, per effetto dell'articolo 1117-bis c.c., il supercondominio viene in essere ipso iure et facto, sempre che il titolo o il regolamento non dispongano altrimenti, quando più edifici, costituiti o meno in distinti condomini, sono tra loro legati dall'esistenza di cose, impianti e servizi comuni, in relazione di accessorietà necessaria con i fabbricati, sì da rendere applicabile la disciplina specifica del condominio, anziché quella generale della comunione.
Precisamente, sorgendo ipso iure et facto, se il titolo o il regolamento non dispongono altrimenti, il supercondominio unifica più edifici, costituiti o meno in distinti condomini, entro una più ampia organizzazione condominiale, legata dall'esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni, in rapporto di accessorietà con i fabbricati, sicchè trova ad essi applicazione, proprio in ragione della condominialità del vincolo funzionale, la disciplina specifica del condominio, e non quella generale della comunione.
In altri termini, la qualificazione supercondominiale replica al plurale la qualificazione condominiale, postulando anch'essa una relazione funzionale di accessorietà necessaria, per non essere il bene in (super)condominio - diversamente dal bene in comunione -  suscettibile di godimento autonomo.
Ai sensi della richiamata disposizione codicistica, le norme dettate in materia di condominio si applicano anche al cd. supercondominio "in quanto compatibili": di conseguenza, ci si è interrogati se, in coerenza con l’anzidetta clausola di compatibilità, si possa applicare alla fattispecie del supercondominio la disposizione di cui all'articolo 1127 c.c. (in tema di indennità da sopraelevazione). La risposta è di segno negativo in quanto tale ultima norma, presupponendo l'esistenza di un edificio, ovverosia di una costruzione realizzata almeno in parte fuori terra e sviluppata in senso verticale rispetto al piano di campagna, non rientra tra le norme applicabili al cd. supercondominio.
Corte di Appello di  Roma, sezione VIII, sentenza 28 dicembre 2022 n. 8370

LAVORO E FORMAZIONE

Intermediazione di manodopera - Divieto - Accertamento.   (Dlgs 10 settembre 2003 n. 276, articolo 29)
È affermazione in punto di diritto della Corte d’Appello di Milano quella secondo cui l’articolo 29, I, Dlgs n. 276/2003, in tema di divieto d'intermediazione di manodopera, differenzia il contratto di appalto dalla somministrazione irregolare di lavoro in base all'assunzione, nel primo, del rischio d'impresa da parte dell'appaltatore ed all'eterodirezione dei lavoratori utilizzati, la quale si manifesta nel caso in cui l'appaltante-interponente non solo organizza, ma anche dirige i dipendenti dell'appaltatore rimanendo sull'interposta solo compiti di gestione amministrativa del rapporto senza una concreta organizzazione dell'attività lavorativa.
Precisamente, affinchè possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi (ai sensi dell’articolo 29, I, Dlgs n. 276/2003) è necessario verificare, specie nell'ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (cd. "labour intensive"), che all'appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sè autonomo, da conseguire attraverso un’effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d'impresa, dovendosi invece ravvisare un'interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente, restando irrilevante che manchi, in capo a quest'ultimo, l'intuitus personae nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di somministrazione illegale, è frequente che l'elemento fiduciario caratterizzi l'intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro. 
E così, qualora venga prospettata una intermediazione vietata di manodopera nei rapporti tra società dotate entrambe di propria genuina organizzazione d'impresa, il Giudice del merito deve accertare se la società appaltante svolga un intervento direttamente dispositivo e di controllo sulle persone dipendenti dall'appaltatore del servizio, non essendo sufficiente a configurare l’intermediazione vietata il mero coordinamento necessario per la confezione dei beni prodotti.
Corte di Appello di Milano, sezione lavoro, sentenza 29 dicembre 2022 n. 1127

FALLIMENTO
Fallimento – Curatore fallimentare - Par condicio creditorum
(Cc, articoli 2392, 2393, 2394, 2476, 2487; Rd 267/1942, articolo 146; Dlgs 6/2003; Dlgs 5/2006 , articolo 130)
Osserva in sentenza il Tribunale di Latina come, per effetto del fallimento di una società di capitali, le diverse fattispecie di responsabilità degli amministratori confluiscano in un'unica azione, dal carattere unitario ed inscindibile, all'esercizio della quale è legittimato, in via esclusiva, il curatore del fallimento, ai sensi dell'articolo 146 Rd n. 267/1942 (Lf) .
La riforma societaria di cui al Dlgs n. 6/2003, che pur non prevede più il richiamo, negli articoli 2476 e 2487 c.c., agli articoli 2392, 2393 e 2394 c.c., e cioè alle norme in materia di società per azioni, non spiega alcuna rilevanza abrogativa sulla legittimazione del curatore della società a responsabilità limitata che sia fallita all'esercizio della predetta azione ai sensi dell'articolo146 Lf, in quanto per tale disposizione, riformulata dall'articocolo 130 Dlgs n. 5/2006, tale organo è abilitato all'esercizio di qualsiasi azione di responsabilità contro amministratori, organi di controllo, direttori generali e liquidatori di società, così confermandosi l'interpretazione per cui, anche nel testo originario, si riconosceva la legittimazione del curatore all'esercizio delle azioni comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli articoli 2393 e 2394 c.c..
La ratio della legittimazione esclusiva prescritta in favore del curatore fallimentare ex articolo 146 Lf - per effetto della quale le azioni spettanti ai creditori uti singuli ex articolo 2476, VI, c.c. si tramutano in un'unica azione di massa - è quella di garantire il rispetto della par condicio creditorum.
Il mantenimento della legittimazione attiva di ciascun creditore dopo la declaratoria di fallimento determinerebbe, difatti, una lesione della cennata par condicio, oltre che l'allocazione al di fuori della procedura fallimentare della distribuzione di una parte della massa attiva.
Tribunale di Latina, sezione I, sentenza 27 dicembre 2022 n. 2441

PRESCRIZIONE
Prescrizione presuntiva - Prescrizione estintiva - Differenze
(Cc, articoli 2955, 2959)
Secondo il Tribunale di Potenza la prescrizione presuntiva contemplata dall'articolo 2955, I, n. 5, c.c., in relazione al credito del commerciante per il prezzo delle merci vendute a chi non ne fa commercio, si riferisce alle alienazioni al minuto di beni di largo e generalizzato consumo personale e familiare, tipiche dei rapporti della vita quotidiana instaurati senza formalità, e contrassegnati normalmente dal pagamento immediato in unica soluzione del corrispettivo senza rilascio di quietanza, e non di rilevante valore economico.
Contrariamente alla prescrizione estintiva, la richiamata prescrizione presuntiva, si fonda non sull'inerzia del creditore e sul decorso del tempo, ma sulla presunzione che, in considerazione della natura dell'obbligazione e degli usi, il pagamento sia avvenuto nel termine previsto.
Conseguentemente, ai sensi dell'articolo 2959 c.c., l'eccezione di prescrizione deve essere rigettata qualora il debitore ammetta di non avere pagato, dovendo considerarsi sintomatica del mancato pagamento e, dunque, contrastante con i presupposti della relativa presunzione, la circostanza che l'obbligato abbia contestato di dovere pagare in tutto o in parte il debito, essendo tale circostanza incompatibile con la prescrizione presuntiva che presuppone l'avvenuto pagamento e il riconoscimento dell'obbligazione.
Se dunque le prescrizioni presuntive trovano fondamento e ragione solo in quei rapporti che si svolgono senza formalità, in relazione ai quali il pagamento suole avvenire senza dilazioni né rilascio di quietanza scritta, allora esse non operano quando il credito, del quale si chiede il pagamento, derivi da un contratto stipulato in forma scritta.
Ed ancora, se è vero che la prescrizione presuntiva non opera quando il diritto, di cui si chieda il pagamento, scaturisce da un contratto stipulato per iscritto è anche vero che se, al contrario, il credito scaturisce, sia pur solo in parte, dall'esecuzione di prestazioni che non hanno fondamento nel contratto scritto, la prescrizione presuntiva riprende la sua ordinaria operatività.
Tribunale di Potenza, sentenza 28 dicembre 2022 n. 1430

ASSICURAZIONE
Contratto di assicurazione - Lodo arbitrare irrituale - Perizia contrattuale - Differenze
(Cpc, articolo 808)
Sottolinea in sentenza il Tribunale di Bari come il patto contenuto nel contratto di assicurazione (affine al mandato collettivo), in virtù del quale le parti demandino a terzi la composizione di eventuali contrasti, può mirare a due tipi di atti conclusivi: il lodo arbitrare irrituale (figura disciplinata dall'articolo 808-ter c.p.c.) o la perizia contrattuale.
Precisamente, nel caso in cui le parti di un contratto di assicurazione affidino ad un terzo l'incarico di esprimere una valutazione tecnica sull'entità delle conseguenze di un evento, al quale sia collegata l'erogazione dell'indennizzo, impegnandosi a considerare tale valutazione come reciprocamente vincolante ed escludendo dai poteri del terzo la soluzione delle questioni attinenti alla validità ed efficacia della garanzia assicurativa, il relativo patto esula sia dall'arbitraggio che dall'arbitrato (rituale od irrituale) ed integra piuttosto una perizia contrattuale, atteso che viene negozialmente conferito al terzo, non già il compito di definire le contestazioni insorte, o che possono insorgere, tra le parti in ordine al rapporto giuridico ma la semplice formulazione di un apprezzamento tecnico che esse si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro determinazione volitiva.
Pertanto, non sono applicabili le norme relative all'arbitrato, restando impugnabile la perizia contrattuale per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale (errore, dolo, violenza, incapacità delle parti).
Tra le questioni tecniche vi sono sicuramente l'esistenza del danno, il valore di ciò che è stato danneggiato, la stima dell'indennizzo dovuto (tutti profili afferenti al quantum), laddove, sono invece da considerarsi questioni giuridiche, a titolo esemplificativo, l'interpretazione del contratto, l'accertamento della sua validità, la valutazione della sua efficacia, l'indennizzabilità del danno (tutti aspetti inerenti all'an).
Inoltre, mentre la clausola compromissoria è derogativa della competenza giurisdizionale ordinaria, il ricorso alla perizia contrattuale comporta soltanto la temporanea improponibilità della domanda e rinunzia alla tutela giurisdizionale dei rapporti nascenti dal contratto: nel senso che, prima e durante il corso della procedura accertativo-valutativa contrattualmente prevista, le parti non possono proporre davanti al Giudice le azioni derivanti dal rapporto contrattuale.
Tribunale di Bari, sezione II, sentenza 29 dicembre 2022 n. 4844

CIRCOLAZIONE STRADALE
Sinistri stradali – Indennizzo diretto – Fase stragiudiziale - Spatium deliberandi
(Cost., articolo 24; Dlgs 209/2005, articoli 145, 148, 149)
Osserva il Tribunale di Firenze, adito in materia di sinistri stradali, come l'azione di indennizzo diretto prevista dalla legge (articolo 149 Dlgs n. 209/2005) lasci ferma una fase di spatium deliberandi per entrambe le compagnie - sia quella del veicolo del richiedente il risarcimento, sia quella del veicolo antagonista - che dispongono di questo tempo per poter attribuire il risarcimento del danno al richiedente.
Il sistema vieta che durante questo spatium deliberandi il danneggiato possa proporre azioni precipitose che potrebbero essere evitate se l'una o l'altra compagnia risarcissero il danno, e, poco importa, per il danneggiato, quale delle due.
Dunque la locuzione che si rinviene nella legge all'articolo 149, e che prevede l'invio della richiesta risarcitoria "per conoscenza" all'assicuratore del veicolo antagonista, non svilisce l'importanza di tale passaggio obbligato, nell'economia complessiva della risoluzione stragiudiziale della vertenza, delineato dal Legislatore; deve ritenersi che si tratti pur sempre di un passaggio imprescindibile, a pena della improcedibilità della domanda, e soggetto di conseguenza allo stesso termine (dei 60/90 giorni) previsto dall'articolo 148 Dlgs n. 209/2005.
Emerge un meccanismo (che non mette in discussione l'accesso alla giurisdizione, ex articolo 24 Cost.) volto in realtà a rafforzare, e non già ad indebolire, le possibilità di difesa del danneggiato, attraverso il raccordo dell'obbligo di diligenza di quest'ultimo con quello di cooperazione imposto all'assicuratore.
Proprio in ragione della prescritta specificità di contenuto dell'istanza risarcitoria quest'ultimo non può disattenderla, essendo tenuto alla formulazione di una proposta adeguata nel quantum, al primario fine di rendere possibile un'anticipata e satisfattiva tutela del danneggiato già nella fase stragiudiziale, anche in considerazione del fatto che l'eventuale pronunzia di improponibilità della domanda per vizi di contenuto (come per mancato rispetto dello spatium deliberandi per l'assicuratore) di cui agli articoli 145 e 148 Dlgs n. 209/2005 esaurisce i suoi effetti sul piano processuale (non investendo il merito della controversia), e non impedisce al titolare della pretesa di reiterarla una volta soddisfatto la condizione dello spatium deliberandi in argomento.
Tribunale di Firenze, sezione II, sentenza 29 dicembre 2022 n. 3619

ENTI LOCALI
Comune – Sindaco – Ordinanze contingibili e urgenti
(Legge 241/1990, articolo 3; Dlgs 267/2000, articoli 50, 54)
Il Tribunale di Pisa afferma in punto di diritto il principio a tenore del quale non è legittimo, per il Sindaco, adottare ordinanze contingibili e urgenti al fine di fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti, o quando non vi sia urgenza di provvedere, intesa come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità.
In via generale, per legittimare l'esercizio dei poteri di cui agli articoli 50 e 54 Dlgs n. 267/2000 devono ricorrere i seguenti presupposti: a) la necessità di intervenire in alcune materie espressamente previste, quali, ad esempio, la sanità, l'igiene, l'edilizia e la polizia locale; b) necessità dell'intervento nell'attualità e/o nell'imminenza di un fatto eccezionale, quale causa da rimuovere con urgenza; c) il previo accertamento, da parte degli organi competenti, della situazione di pericolo o di danno che si intende fronteggiare; d) la mancanza di strumenti alternativi previsti dall'ordinamento, stante il carattere extra ordinem del potere de quo.
Il potere di ordinanza sindacale presuppone necessariamente situazioni, non tipizzate dalla legge, di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione, ex articolo 3 legge n. 241/1990; è in ragione di tali situazioni che si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi.
L'ordinanza contingibile e urgente si caratterizza, poi, anche per la temporaneità degli effetti disposti giacché è la precisa indicazione del limite temporale di efficacia - in quanto solo in via temporanea può essere consentito l'uso di strumenti extra ordinem - che permette la compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli indicati dalla legge.
L'atipicità contenutistica di tali provvedimenti, che deroga al principio di legalità sostanziale per consentire maggiore duttilità all'azione dell'ente locale, si giustifica all'esito di un complessivo bilanciamento dei valori che consideri tutti gli interessi e le emergenti fonti di pericolo, dovendo comunque essere rispettati il principio sia di ragionevolezza che di proporzionalità.
Tribunale di Pisa, sentenza 29 dicembre 2022 n. 1624

ENTI LOCALI
Enti locali – Debito fuori bilancio – Pagamento
(Dlgs 267/2000, articolo 194)
Rileva in sentenza il Tribunale di Roma come l'articolo 194 Dlgs n. 267/2000 (TUEL) preveda alcune tassative ipotesi per le quali è possibile il riconoscimento del debito fuori bilancio ed il conseguente pagamento da parte degli enti locali.
Si osserva come l'assenza di un regolare impegno di spesa comporti che il pagamento della medesima da parte della Pa sia preceduta dal riconoscimento del debito fuori bilancio nei termini indicati dall'articolo 194, comma 1, lettera e), del citato TUEL., sempre che ne ricorrano tutti i presupposti.
Con la precisazione che può procedersi al riconoscimento del debito solamente nei limiti nei quali il bene o il servizio acquisito rientrino "nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza" e venga accertata, con delibera motivata, sia l'utilità del bene o del servizio che l'arricchimento che l'attività ha comportato per l'ente (articolo 194, I, lett. e).
Ogni volta che l'ente abbia seguito una procedura irregolare può attuare una sorta di regolarizzazione a posteriori nei limiti della prova dell'utilitas.
Tuttavia, si osserva ancora in sentenza, nell'impossibilità di ritenere che l'obbligazione del pagamento degli interessi di mora sia valutabile in termini di arricchimento senza causa, non sussistendo alcuna utilitas in capo all'amministrazione, non è precluso il riconoscimento degli interessi di mora nei confronti dell'amministrazione, e non del funzionario, mediante titolo giudiziale o transazione, ciò a maggior ragione ove tali interessi siano accessori a prestazioni la cui utilità è stata riconosciuta quale utile all'ente locale.
Ne deriva che è possibile per il Giudice riconoscere gli interessi di mora per ritardato pagamento nei confronti dell'ente e non del singolo funzionario allorché tali interessi siano accessori ad un'obbligazione riconosciuta utile e quindi contabilizzata quale debito fuori bilancio secondo il disposto dell'articolo 194, lett. e.
Dunque, in assenza di impegno contabile, vistato e registrato, l'obbligazione pecuniaria assume la connotazione patologica di debito fuori bilancio e tale fattispecie si determina non soltanto nel caso di carenza della necessaria copertura finanziaria, ma anche nell'ipotesi di violazione del procedimento giuscontabile di spesa normativamente previsto, alla quale è possibile far fronte legittimamente solo mediante provvedimento di riconoscimento, nei limiti e con le forme di cui al già richiamato articolo 194.
Tribunale di Roma, XVI sezione speciale imprese, sentenza 29 dicembre 2022 n. 19181


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