Penale

Uso indebito della carta aziendale, la transazione non fa scattare la "bancarotta riparata"

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza della Prima sezione penale n. 19887 depositata oggi

di Francesco Machina Grifeo

A seguito dell'impiego della carta di credito aziendale per scopi estranei all'attività di impresa, l'accordo transattivo siglato tra l'azienda e il consigliere di amministrazione che ne ha tratto utilità, in cui rinuncia a determinati emolumenti – buona uscita e altri voci - non integra la cosiddetta "bancarotta riparata" in assenza di dati certi in ordine a una "reintegrazione" del patrimonio prima della dichiarazione di fallimento. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza della Prima sezione penale n. 19887 depositata oggi.

In particolare, la Corte di appello di Milano, in sede di rinvio, aveva ritenuto che gli accordi transattivi tra la società ed il manager "non escludono la rilevanza penale della condotta". Pertanto, essendo stato provato l'utilizzo della carta per 78mila euro (di cui 35mila per prelievo contanti) "per scopi non inerenti l'attività aziendale (pagamento di ristoranti, alberghi e viaggi in coincidenza con il periodo delle ferie estive e invernali) e non risultando autorizzato nemmeno il prelievo del contante dagli organismi societari, la responsabilità penale non può essere messa in dubbio. Proposto ricorso, l'imputato ha richiamato l'accordo transattivo firmato con la società e il fatto che la dichiarazione di fallimento è del 2015, dunque di due anni dopo le spese contestate.

La Prima Sezione penale così sintetizza: i prelievi delle somme e l'utilizzo della carta di credito aziendale "non sono messi in discussione dal ricorrente", il quale invece "esclude che gli stessi configurino distrazione per la sostanziale restituzione delle somme", individuata nell'accordo transattivo intercorso con la società nell'ottobre 2013. "Deve, tuttavia, osservarsi – prosegue la decisione - che una restituzione siffatta è rilevante (si parla in proposito di bancarotta "riparata") nel momento in cui la sottrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della dichiarazione di fallimento ed impedisca l'insorgenza di alcun effettivo pregiudizio per i creditori".

"È pertanto – continua il ragionamento - al permanere o meno di tale pregiudizio, costituente per questo come per altri aspetti l'offesa tipica dei reati di bancarotta, che deve essere riferita la valutazione sulla sussistenza di un'azione restitutoria idonea a rimuovere gli effetti distrattivi della precedente condotta. Ed è onere dell'amministratore, che si è reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l'esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi commessi". Al contrario, nel caso concreto, l'accordo transattivo è da considerarsi "irrilevante" per via della "assoluta genericità del relativo contenuto nel quale non viene indicato l'ammontare delle somme alle quali l'odierno ricorrente ha rinunciato né tanto meno se tali crediti fossero certi, liquidi ed esigibili".

Inoltre, gli atti distrattivi, "pur se risalenti nel tempo, rilevano, anche in una prospettiva del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale come reato di pericolo concreto, allorquando ‘pur cronologicamente lontana dalla sentenza dichiarativa di fallimento, la sottrazione di ricchezza si ripercosse nel tempo direttamente sull'impoverimento dell'asse patrimoniale, con diretto danno per la massa dei creditori".

E nel caso di specie, in ragione della rilevanza degli importi, "può ragionevolmente affermarsi che tali atti distrattivi hanno avuto ripercussioni negative per la garanzia dei creditori".

Infine, quanto alla contestata sussistenza dell'elemento soggettivo, contrariamente a quanto si sostiene nel ricorso, "l'oggetto del dolo dei reati di bancarotta non include la prospettiva del dissesto; essendo tale oggetto limitato, con riguardo in particolare alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, alla consapevolezza di dare ai beni della fallita una destinazione diversa da quella dovuta secondo la funzionalità dell'impresa, privando quest'ultima di risorse e di garanzia per i creditori".

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