Penale

Abuso d’ufficio solo se c’è la volontà del funzionario Pa

di Antonino Porracciolo

Il reato di abuso d’ufficio richiede, per la sua consumazione, una condotta ingiusta e un vantaggio o un danno ingiusto intenzionalmente voluto dal funzionario pubblico. Lo ricorda il Tribunale di Catania (giudice per le indagini preliminari Giancarlo Cascino) in un’ordinanza dello scorso 20 febbraio.

La vicenda in esame riguarda la legittimità di un concorso pubblico per la copertura di un posto di professore di seconda fascia. La commissione esaminatrice aveva designato all’unanimità uno dei due candidati, ritenendolo prevalente sull’altro per le produzioni scientifiche e l’esperienza professionale maturata.

Il candidato non vincitore aveva allora denunciato i componenti della commissione, sostenendo che gli stessi non avevano correttamente valutato i suoi titoli. La Procura aveva quindi aperto un fascicolo per l’ipotesi di concorso nel reato di abuso d’ufficio, previsto dall’articolo 323 del Codice penale; ma, a conclusione delle indagini preliminari, aveva domandato l’archiviazione del procedimento, ritenendo infondata la notizia di reato. Contro la richiesta del pubblico ministero, il denunciante aveva quindi presentato l’opposizione prevista dall’articolo 410 del Codice di procedura penale, chiedendo investigazioni suppletive.

Nel respingere l’opposizione, il giudice ricorda che per aversi l’abuso d’ufficio non è sufficiente la violazione di leggi o regolamenti, ma è necessario che, con la propria condotta, il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico sevizio) intenzionalmente procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale oppure provochi ad altri un danno ingiusto. In altri termini, l’articolo 323 richiede - prosegue il giudice, citando la sentenza 16895/2008 della Corte di cassazione - una doppia ingiustizia: «ingiusta deve essere la condotta» perché viola la legge, «e ingiusto deve essere l’evento di vantaggio patrimoniale» o di danno, nel senso che l’uno o l’altro non si sarebbe realizzato se fossero state rispettate le norme concretamente violate.

Ma non basta. L’evento (vantaggio o danno) si deve configurare, nell’intenzione dell’agente, quale scopo perseguito e intenzionalmente voluto. E «l’intenzionalità, lungi dall’attestare l’esclusività del fine che deve animare l’agente, indica invece la preminenza data all’evento tipico rispetto al pur concorrente interesse pubblico», che dunque viene ad assumere «un rilevo secondario e, per così dire, derivato o accessorio». Infine, la prova dell’intenzionalità non richiede la dimostrazione di un comportamento in palese violazione di una norma di diritto, ma si può desumere anche da elementi sintomatici. Come, ad esempio, il contenuto della motivazione del provvedimento o i rapporti tra l’agente e i soggetti che ricevono il vantaggio (o il danno).

Nel caso in esame, la commissione esaminatrice aveva valutato, innanzitutto, il contenuto dei lavori scientifici dei candidati, motivando adeguatamente «sulle differenze di autonomia e pregio dei due rapporti scientifici»; aveva quindi effettuato un giudizio comparativo delle attività professionali, valorizzando la maggiore esperienza «apicale del candidato prescelto».

Così, avendo escluso che gli indagati avessero violato il codice penale, il giudice siciliano ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero.

Gip di Catania, Ordinanza del 20 febbraio 2017

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