Casi pratici

Morosità del condomino e rimedi esperibili

L'obbligo di contribuzione alle spese

di Lina Avigliano

la QUESTIONE
Come avviene la riscossione dei contributi condominiali? Quali sono i soggetti passivi tenuti al pagamento degli oneri? Quali azioni giudiziarie sono esperibili in caso di morosità di un condomino?


Tutti i condomini sono obbligati alla contribuzione delle spese per la conservazione e gestione delle cose comuni. Allo scopo l'art. 1123 c.c. ne detta la misura della partecipazione stabilendo che le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. Il condomino deve quindi contribuire alle spese per la conservazione delle cose comuni e a queste non può sottrarsi rinunciando al diritto su dette cose.
L'applicabilità di questo criterio legale proporzionale di ripartizione può essere legittimamente negata solo se risulti una contraria convenzione oppure se si accerti che il servizio, per particolari situazioni di cose e luoghi, non può considerarsi reso nell'interesse di tutti i condomini. Al riguardo si ritiene legittima non solo una convenzione che ripartisca le spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l'esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall'obbligo di partecipare alle spese medesime (Cass. 25 marzo 2004, n. 5975). Il regolamento condominiale, di natura contrattuale, può validamente ripartire le spese generali e di manutenzione delle parti comuni dell'edificio in quote uguali tra i condomini (Cass. 18 marzo 2002, n. 3944).
La deroga convenzionale al criterio di ripartizione delle spese necessita tuttavia del consenso unanime di tutti i condomini. Pertanto si ritengono affette da nullità, che può essere fatta valere anche da parte del condomino che le abbia votate, le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall'art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario per esse il consenso unanime dei condomini. Al contrario si ritengono annullabili e, come tali, impugnabili nel termine di cui all'art. 1137, ultimo comma, c.c., le delibere con cui l'assemblea, nell'esercizio delle attribuzioni previste dall'art. 1135, n. 2 e n. 3, c.c., determina in concreto la ripartizione delle spese medesime in difformità dai criteri di cui all'art. 1123 c.c. (Cass. 19 marzo 2010, n. 6714).
Senonchè le deliberazioni dell'assemblea condominiale, con le quali le spese per la gestione delle cose e dei servizi comuni siano ripartite tra i condomini in violazione dei criteri legali dettati dagli articoli 1123 c.c. e segg. o stabiliti con apposita convenzione, non devono ritenersi sempre affette da nullita', bensì dette deliberazioni possono ritenersi nulle soltanto quando l'assemblea abbia inteso modificare stabilmente (a maggioranza) i criteri di riparto stabiliti dalla legge o dalla unanime convenzione, mentre devono invece ritenersi meramente annullabili (come tali soggette alla disciplina dell'articolo 1137 c.c. ) nel caso in cui tali criteri siano soltanto episodicamente disattesi (Cass. Sez. Un. 14 aprile 2021, n. 9839).
I contributi sono riscossi al domicilio dell'amministratore. Rientra proprio nelle attribuzioni dell'amministratore riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni (art. 1130, comma 2, n. 3 c.c.).
L'amministratore nella nuova formulazione dell'art. 1129 c.c. indicata dalla legge di riforma, è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; ciascun condomino, per il tramite dell'amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica.
In caso di unità immobiliari in comproprietà, i comproprietari sono tenuti in solido, nei confronti del condominio medesimo, al pagamento degli oneri condominiali, sia perché detto obbligo di contribuzione grava sui contitolari del piano o della porzione di piano inteso come cosa unica e i comunisti stessi rappresentano, nei confronti del condominio, un insieme, sia in virtù del principio generale dettato dall'art. 1294 c.c. (secondo il quale, nel caso di pluralità di debitori, la solidarietà si presume). Tale regola trova applicazione anche nelle ipotesi in cui le quote dell'unità immobiliare siano pervenute ai comproprietari in forza di titoli diversi.

L'obbligo a carico di particolari soggetti
Durante la gestione del condominio può accadere che alcune unità immobiliari siano oggetto di trasferimento, oppure siano concesse in locazione, o attribuite in godimento a soggetti diversi dalla proprietà: in questi casi l'obbligo di contribuzione delle spese subisce un diversa distribuzione.
In particolare ai sensi dell'art. 63 disp. att. in caso di vendita di un appartamento durante la gestione annuale il condomino che subentra risponde solidalmente con il venditore per il pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente (art. 63 disp. att. c.c.). L'anno è quello di gestione condominiale, quindi una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di un'unità immobiliare, l'alienante perde la qualità di condomino e non è più legittimato a partecipare alle assemblee, potendo far valere le proprie ragioni sul pagamento dei contributi dell'anno in corso o del precedente, solo attraverso l'acquirente che gli è subentrato.
Conseguentemente in giurisprudenza si ritiene che non può essere chiesto ed emesso nei confronti del venditore decreto ingiuntivo ai sensi dell'articolo 63 disp. att. c.p.c. per la riscossione dei contributi condominiali, poiché la predetta norma di legge può trovare applicazione soltanto nei confronti di coloro che siano condomini al momento della proposizione del ricorso monitorio (Cass. 9 settembre 2008, n. 23445). Una ipotesi particolare è quella in cui nel condominio sia venduta una unità immobiliare e nel frattempo, siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle parti comuni. In tal caso qualora venditore e compratore non si siano diversamente accordati in ordine alla ripartizione delle relative spese, è tenuto a sopportarne i costi chi era proprietario dell'immobile al momento della delibera assembleare che abbia disposto l'esecuzione dei detti interventi, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione. Di conseguenza, ove le spese in questione siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione del contratto di vendita, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che le opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente, e l'acquirente ha diritto di rivalersi, nei confronti del medesimo, di quanto pagato al condominio per tali spese, in forza del principio di solidarietà passiva di cui all'art. 63 disp. att. c.c. (Cass. 3 dicembre 2010, n. 24654). In caso di proprietà locate, debitore dei contributi condominiali è il condomino proprietario dell'immobile e non l'inquilino. Pertanto l'amministratore dovrà inviare le richieste di pagamento al proprietario. Qualora il conduttore, convenuto in giudizio per il mancato pagamento di oneri condominiali, contesti che il locatore abbia effettivamente sopportato le spese di cui chiede il rimborso o ne abbia effettuato una corretta ripartizione, incombe al locatore stesso, ai sensi dell'art. 2697 c.c., dare la prova dei fatti costitutivi del proprio diritto, i quali non si esauriscono nell'aver indirizzato la richiesta prevista dall'art. 9 della legge n. 392/1978, necessaria per la costituzione in mora del conduttore e per la decorrenza del bimestre ai fini della risoluzione, ma comprendono anche l'esistenza, l'ammontare e i criteri di ripartizione del rimborso richiesto (Cass. 28 settembre 2010, n. 20348). In caso di separazione consensuale o giudiziale dei coniugi l'amministratore deve richiedere il pagamento delle spese condominiali al coniuge assegnatario dell'alloggio, salvo diversi patti tra coniugi contenuti nella sentenza di separazione. Nell'ipotesi poi di proprietà concessa in usufrutto in applicazione degli artt. 1004 e 1005 c.c., l'amministratore dovrà riscuotere le spese condominiali dall'usufruttuario e non dal nudo proprietario (Cass. 28 agosto 2008, n. 21774). Infatti qualora un appartamento sito in condominio sia oggetto di usufrutto, l'usufruttuario è tenuto al pagamento delle spese di amministrazione e di manutenzione ordinaria del condominio, mentre il nudo proprietario non vi è tenuto, neppure in via sussidiaria o solidale. Peraltro, ove il nudo proprietario agisca nei confronti dell'usufruttuario per il rimborso di spese attinenti ai servizi comuni da lui sostenute, nel relativo giudizio è consentito all'usufruttuario contestare il debito sul rilievo del mancato godimento di tali servizi (Cass. 16 febbraio 2012, n. 2236). La legge di riforma del condominio ha modificato l'ultimo comma dell'art. 63 delle disp. att. prevedendo che chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto.
In caso di morte di un condomino proprietario di un appartamento gravato dalle spese condominiali, il debito assume la qualità di debito ereditario (art. 752 c.c.). L'amministratore dovrà chiedere il pagamento delle spese agli eredi che rispondono solidalmente con il condomino defunto per i pagamenti dei contributi relativi all'anno in corso e quello precedente (art. 63 disp. att c.c.).
La legittimazione alla riscossione in base al rendiconto e preventivo di gestione
Alla fine di ciascun anno l'amministratore rende il conto della sua gestione. In base all'art. 1130 bis del Codice civile introdotto dalla legge di riforma, il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita e ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili e alle eventuali riserve, che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti. L'assemblea condominiale può, in qualsiasi momento o per più annualità specificamente identificate, nominare un revisore che verifichi la contabilità del condominio. La deliberazione è assunta con la maggioranza prevista per la nomina dell'amministratore e la relativa spesa è ripartita fra tutti i condomini sulla base dei millesimi di proprietà. I condomini e i titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie spese. Le scritture e i documenti giustificativi devono essere conservati per dieci anni dalla data della relativa registrazione.
Oltre al rendiconto della gestione l'amministratore alla fine di ciascun anno sottopone all'assemblea il preventivo delle spese occorrenti per l'anno successivo e le ripartisce tra i condomini. Il preventivo approvato dall'assemblea determina i limiti massimi di spesa entro i quali l'amministratore si dovrà contenere nella gestione. In attesa dell'approvazione del bilancio preventivo l'assemblea può autorizzare l'amministratore a richiedere ai condomini pagamenti provvisori, con riserva di successivo conguaglio sulla base del bilancio approvato e tenuto conto dei valori millesimali attribuiti a ciascuna proprietà individuale (Cass. 27 marzo 2003, n. 4531).
Qualora non vi sia coincidenza tra quanto richiesto dall'amministratore con il preventivo e quanto accordato dall'assemblea con il verbale di nomina, prevale sempre quest'ultimo, purché naturalmente l'amministratore abbia accettato l'incarico.
Può accadere che le spese da erogare nel condominio si rivelino superiori a quelle approvate nel preventivo. In tal caso l'amministratore deve convocare una nuova assemblea che autorizzi la variazione delle quote dei condomini (Cass. 18 maggio 1994, n. 4831).
È quindi annullabile, la delibera assembleare che dovesse lasciare libero l'amministratore di aumentare i contributi normali previsti del preventivo, a seguito di aumenti dei costi di gestione, dovendo egli far fronte alle nuove spese con l'utilizzo di un apposito fondo speciale, ove esistente, o provvedere a convocare l'assemblea per adeguare il preventivo ai mutati costi.

La morosità del condomino
In caso di mora nel pagamento dei contributi, che si sia protratta per un semestre, se il regolamento di condominio ne contiene l'autorizzazione, l'amministratore può sospendere al condomino moroso l'utilizzazione dei servizi comuni che sono suscettibili di godimento separato (art. 63 disp. att. c.c.). La Corte di Cassazione ha affermato il principio in base al quale i condomini non possono sospendere i pagamenti dovuti al condominio per far fronte alle spese deliberate, dovendo sapere che la carenza di cassa espone al mancato adempimento nei confronti dei terzi fornitori, con conseguenti tagli o delle utenze o addebito di interessi, sanzioni e costi moratori che, pertanto, non possono essere imputati all'amministratore, non essendo peraltro ammissibile la costituzione di un apposito fondo speciale su cui versare somme ingenti come quelle dovute dai condomini morosi. (Cass. 11 maggio 2012, n. 7401).
Si impone poi l'esigenza che l'amministratore si attivi concretamente per la riscossione dei crediti condominiali, ma nello stesso tempo deve garantire che tale attività avvenga nel rispetto della privacy e della dignità dei soggetti interessati. Infatti questi non può affiggere negli spazi condominiali i dati anagrafici dei condomini morosi.
Al riguardo si è detto che la disciplina del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, adeguata dal decreto legislativo 10 agosto 2018 n.101 ai principi sanciti dal Regolamento UE n. 679/2016, prescrivendo che il trattamento dei dati personali avvenga nell'osservanza dei principi di proporzionalità, di pertinenza e di non eccedenza rispetto agli scopi per i quali i dati stessi sono raccolti, non consente che gli spazi condominiali, aperti all'accesso di terzi estranei rispetto al condominio, possano essere utilizzati per la comunicazione di dati personali riferibili al singolo condomino; ne consegue che - fermo restando il diritto di ciascun condomino di conoscere, anche di propria iniziativa, gli inadempimenti altrui rispetto agli obblighi condominiali - l'affissione nella bacheca dell'androne condominiale, da parte dell'amministratore, dell'informazione concernente le posizioni di debito del singolo condomino costituisce un'indebita diffusione di dati personali, come tale fonte di responsabilità civile ai sensi degli artt. 11 e 15 del suddetto codice.
La Corte di Cassazione penale ha precisato (Cass. pen., 29 gennaio 2013, Sez. V, n. 4364) che integra il delitto di diffamazione il comunicato, redatto all'esito di un'assemblea condominiale, con il quale alcuni condomini sono indicati come morosi nel pagamento delle quote condominiali e vengono conseguentemente esclusi dalla fruizione di alcuni servizi, qualora esso sia affisso in un luogo accessibile - non già ai soli condomini dell'edificio per i quali può sussistere un interesse giuridicamente apprezzabile alla conoscenza di tali fatti - ma a un numero indeterminato di altri soggetti.
Nel caso sottoposto all'attenzione dei giudici di legittimità l'amministratore aveva affisso nell'androne i nominativi dei condomini in mora per non aver pagato la bolletta dell'acqua.
L'amministratore non può poi ripartire tra i condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi; invece nell'ipotesi di effettiva, improrogabile urgenza di recuperare delle somme, è consentita una delibera assembleare la quale tenda a sopperire all'inadempimento del condomino moroso con la costituzione di un fondo cassa allo scopo (Cass. 5 novembre 2001, n. 13631). Occorre puntualizzare che secondo l'orientamento della Suprema Corte non esiste solidarietà tra i condomini per cui dallo stato di ripartizione delle spese approvato dall'assemblea non deriva alcun obbligo solidale degli altri condomini per il pagamento delle quote non riscosse dall'amministratore. Come autorevolmente affermato dal giudice di legittimità, ai singoli si imputano, in proporzione alle rispettive quote, le obbligazioni assunte nel cosiddetto "interesse del condominio", in relazione alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Pertanto, le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c., per le obbligazioni ereditarie, secondo cui i coeredi concorrono al pagamento dei debiti ereditali in proporzione alle loro quote e l'obbligazione in solido di uno dei condebitori tra gli eredi si ripartisce in proporzione alle quote ereditarie.
La legge 11 dicembre 2012, n. 220 di riforma del condominio ha riformulato l'art. 63 delle disposizioni di attuazione affermando al secondo comma, a tutela dei condomini in regola con i pagamenti delle quote condominiali, che i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini. Nei confronti dei terzi pare quindi ripristinato in parte il principio di solidarietà passiva dai condomini disatteso dalle pronunce del giudice di legittimità (Cass. Sez. Un., n. 9148/2008). Il beneficio di escussione non esclude, quindi, che tutti i condomini, anche se adempienti, possono essere ritenuti debitori solidali nel caso di mancato pagamento da parte di uno o più condomini del debito verso i terzi.

La richiesta di decreto ingiuntivo
La nuova formulazione dell'art. 63 delle disp. att. c.c. prevede che per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi.
Allo scopo non occorre l'autorizzazione dell'assemblea poiché la fonte di tale potere discende dall'approvazione assembleare del piano di ripartizione. La norma ha cristallizzato un principio ormai da tempo consolidato in giurisprudenza.
Con le predetta modalità, salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea, l'amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso (art. 1129 comma 9 c.c. come modif. dalla legge n. 220/2012).
La delibera di ripartizione della spesa, finalizzata alla riscossione delle spese tra i singoli condomini, costituisce titolo di credito del condominio e, di per sé, prova l'esistenza di tale credito.
Per ottenere il decreto ingiuntivo l'amministratore deve depositare il ricorso per decreto ingiuntivo nella cancelleria del giudice competente per materia, cioè quello ove è ubicato l'immobile, allegando il verbale dell'assemblea di approvazione del bilancio consuntivo e preventivo, nonché lo stato di ripartizione delle spese.
L'amministratore può chiedere l'emissione del decreto ingiuntivo anche sulla base del bilancio preventivo. Il decreto deve essere notificato al debitore. Una volta che il condomino moroso ha ricevuto il decreto ingiuntivo deve provvedere al pagamento anche se decide di fare opposizione. Il decreto ingiuntivo può essere chiesto anche in base ai prospetti mensili delle spese condominiali non contestati, ma in questo caso si ritiene che non si possa ottenere la clausola di provvisoria esecuzione (Cass. 10 aprile 1996, n. 3296).
Occorre fare attenzione che l'azione sia diretta contro l'effettivo condomino e non contro il cosiddetto "condomino apparente" quale è ad esempio il marito che si sia comportato da condomino dell'appartamento di proprietà esclusiva della moglie.
A tale scopo l'amministratore deve svolgere le necessarie indagini per verificare l'effettiva titolarità del diritto di proprietà prima di dare inizio alle azioni legali e le quote condominiali devono essere richieste soltanto a coloro che sono effettivamente proprietari della porzione immobiliare e non a chi si comporta come se fosse un condomino senza invece esserlo.
Il novellato art. 1130 c.c., tra le attribuzioni dell'amministratore, indica proprio quella di curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza. Ogni variazione dei dati deve essere comunicata all'amministratore in forma scritta entro sessanta giorni.
L'amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l'amministratore acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili.
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione degli oneri condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità, dedotta dalla parte o rilevata d'ufficio, della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione, sia l'annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest'ultima sia dedotta in via di azione - mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell'atto di citazione in opposizione - ai sensi dell'articolo 1137 c.c., comma 2, nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione. L'eccezione con la quale l'opponente deduca l'annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione, senza chiedere una pronuncia di annullamento di tale deliberazione, è inammissibile e tale inammissibilità va rilevata e dichiarata d'ufficio dal giudice (Cass. Sez. Un. 14 aprile 2021, n. 8939).
La legge di riforma del condominio responsabilizza in maggior misura la figura dell'amministratore imponendogli un comportamento rigoroso nella gestione del recupero dei crediti vantati dal condominio. A tal proposito secondo la nuova formulazione dell'art. 1129 c.c., tra le gravi irregolarità che legittimano la richiesta di revoca dell'amministratore rientra quella di aver omesso di curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio.
Inoltre l'amministratore deve fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso (art. 1130 c.c.).

Considerazioni conclusive
La questione oggetto di trattazione ha messo in evidenza un processo evolutivo stigmatizzato nella legge di riforma, inteso a valorizzare elementi di responsabilità in carico all'amministratore, dovendo questi attivarsi per la riscossione dei contributi condominiali, pena il rischio dell'eventuale revoca, nonché di un'azione di responsabilità a suo carico.
La possibilità poi, di agire esecutivamente nei confronti del condomino moroso, nonostante l'opposizione di questi, risponde all'esigenza di garantire l'equilibrio di bilancio nella gestione condominiale. Tale equilibrio risulta di vitale importanza nelle grandi realtà immobiliari, ove si concretizzano numerose operazioni economiche e voci di spesa che possono esporre il condominio e i singoli condomini a richieste di adempimento da parte di terzi, con rischio di aggravio sul condomino diligente, del peso economico di coloro che non sono in regola con i pagamenti.

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