Famiglia

Se l'ex marito entra in casa rischia la violazione di domicilio

Per la Cassazione, rischia una condanna per violazione di domicilio il coniuge che, dopo la separazione, entra nella casa assegnata all'ex anche se di sua proprietà

di Marina Crisafi

L'ex marito che entra nella casa assegnata alla moglie dopo la separazione, rischia una condanna per violazione di domicilio. Anche se proprietario o comproprietario dell'immobile. Lo ha affermato la quinta sezione penale della Cassazione con sentenza n. 11242/2023.

La vicenda
La vicenda da cui trae origine la questione sottoposta all'esame della S.C. riguarda il ricorso presentato dall'imputato avverso la condanna confermata dalla Corte d'appello per il reato di violazione di domicilio.
Nello specifico, l'uomo contestava che il giudice del gravame fosse partito dal falso presupposto che, al momento dei fatti, già fosse stato raggiunto un accordo di separazione consensuale tra i due coniugi, ma la circostanza non corrispondeva al vero, dal momento che gli stessi avevano raggiunto solo un "primitivo accordo" mai omologato, tanto che non essendo riusciti a giungere ad una separazione consensuale, era stato incardinato un procedimento per separazione giudiziale.
Per cui, non essendo i coniugi autorizzati a vivere separatamente, nessuna violazione di domicilio, a suo dire, poteva essergli ascritta.
Identico il ragionamento per le altre fattispecie di reato contestate (percosse, violenza e minaccia) che, secondo l'imputato si inserivano "nel turbamento patito per avere subito la sostituzione della serratura della propria casa da parte della moglie". Per cui "l'azione sarebbe scriminata dall'esercizio di un diritto".

Ius excludendi alios
La vicenda offre l'occasione alla Cassazione per soffermarsi sullo ius excludendi alios.
Ritenendo il ricorso infondato, la Corte afferma innanzitutto che occorre attribuire rilievo al dato oggettivo, risultante dalla sentenza e dagli atti, che le parti, da circa due mesi, si erano comunque accordate nel senso di vivere separate e nel senso che l'appartamento fosse utilizzato solo dall'ex moglie e dai figli minori e che, addirittura, la donna potesse sostituire la serratura; ciò aveva creato una situazione di fatto che, a prescindere dall'omologazione da parte del Tribunale civile dell'accorso intercorso, vedeva la persona offesa "titolare esclusiva del diritto di abitare quell'appartamento, con lo ius excludendi alios che si connette alle prerogative di chi vanti un rapporto di utilizzo qualificato con un'abitazione".
A conforto di tale conclusione, dal Palazzaccio citano la giurisprudenza concorde che, sia pure in fattispecie non perfettamente sovrapponibili a quella in esame, "ha valorizzato la situazione di fatto creatasi dopo la fine di una relazione e l'allontanamento di uno dei due componenti della coppia dall'abitazione per reputare sussistente, in capo all'altro, il diritto esclusivo di decidere chi potesse avere accesso al luogo che era stato la comune dimora". Arrivando addirittura a riconoscere lo ius excludendi alios "in un caso in cui vi era stata interruzione della convivenza more uxorio solo da poche ore" (cfr., tra le altre, Cass. n. 3998/2018).

Reato di violazione di domicilio
Tali arresti giurisprudenziali danno il destro alla S.C. per ricordare l'esatta definizione dell'oggetto giuridico del reato di violazione di domicilio, ossia "la libertà della persona colta nella sua proiezione spaziale rappresentata dal domicilio, di cui viene garantita, attraverso la predisposizione del meccanismo sanzionatorio, l'inviolabilità, in conformità al dettato costituzionale dell'art. 14 comma 1 Cost." (cfr. Cass. n. 47500/2012; conf. n. 42806/2014).
L'arresto appena evocato, rincarano gli Ermellini, "si ispira dichiaratamente agli insegnamenti di Sez. 5, Catania, cit. secondo cui, nell'ipotesi in cui, all'esito di una separazione di fatto, uno dei coniugi abbia abbandonato l'abitazione familiare trasferendosi altrove, l'unico titolare del diritto di esclusione di terzi va individuato nel coniuge rimasto nella abitazione familiare – persino - se quello trasferito sia proprietario o comproprietario dell'immobile".
Il suddetto ragionamento, calato nel caso de quo, evidenzia secondo i giudici di palazzo Cavour, come, "a prescindere dall'adozione di provvedimenti giudiziari, ciò che rileva è che vi sia stato l'allontanamento dalla casa coniugale – del marito - con la stabilizzazione di una situazione di fatto in cui la moglie, già abitante in quel luogo, aveva instaurato una relazione esclusiva con quest'ultimo, facendone il proprio domicilio da separata, rispetto al quale l'intrusione dell'ex coabitante e di soggetti da quest'ultimo autorizzati costituisce una violazione del domicilio".

No alla scriminante dell'esercizio di un diritto
Nulla di fatto neanche in merito all'invocata applicazione della scriminante dell'esercizio di un diritto (articolo 51 c.p.): considerato che, se pure l'imputato avesse avuto il diritto di stare nell'abitazione senza il consenso della moglie, "la mortificazione di tale diritto non lo avrebbe autorizzato ad usare impunemente la forza ed a minacciare la donna".
Inoltre, nel caso di specie, "le modalità particolarmente invasive e veementi adoperate (si pensi allo scardinamento della porta della casa o alla manifestazione d aggressività anche nei confronti della figlia minore laddove quest'ultima cercava di difendere la madre) sono sintomatiche dell'assenza della ragionevole convinzione di poter ottenere giudizialmente lo stesso risultato, a fortiori laddove riguardate in uno alla situazione di fatto in cui la condotta si è realizzata - che vedeva l'imputato ormai non più dimorante in quella casa e ciò sulla base di un accordo da lui stesso sottoscritto poco più di due mesi prima".
Per cui, ricorso rigettato con conseguente condanna dell'uomo anche al pagamento delle spese processuali.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©