Professione e Mercato

L'abogado non può usare abbreviazioni

L'avvocato stabilito deve usare il titolo professionale di origine, indicandolo per intero in modo tale da evitare confusione con il titolo di avvocato

di Marina Crisafi

All'abogado è vietato l'uso di abbreviazioni che ingenerano confusione sul titolo posseduto. Lo ricorda il Consiglio Nazionale Forense con sentenza n. 238/2021, cogliendo l'occasione per fare il punto sulle disposizioni relative agli avvocati stabiliti.

La vicenda
La vicenda ha inizio con la domanda di dispensa della prova attitudinale ai sensi degli articoli 12 e 13 Dlgs 96/2001 al competente consiglio dell'ordine.
A tal fine, l'abogado produceva una relazione sulle attività svolte nel triennio 2015/17 evidenziando che si trattava sostanzialmente di incarichi stragiudiziali comprovando il tutto con memorie, mail, atti di conferimento incarichi e parcelle.
Nella documentazione prodotta venivano allegate diverse lettere di incarico e relative parcelle, redatte sulla carta intestata della ricorrente, che riportava la dizione "Avvocato Comunitario Stabilito" e l'indicazione della duplice iscrizione, all'ordine di Latina e al Collegio Spagnolo di Santa Cruz de La Palma.
Inoltre, la ricorrente produceva ulteriore documentazione per dimostrare l'avvenuto conseguimento dei crediti formativi e il rispetto dei versamenti degli oneri contributivi e della quota di iscrizione all'albo.
Tuttavia, il Consiglio dell'Ordine, all'esito dell'istruttoria, deliberava il diniego alla richiesta di dispensa dalla prova attitudinale, ritenendo che vi fosse stato un uso illegittimo del titolo di avvocato e che, in ogni caso, fosse stata violata la disposizione della legge 2 febbraio 2001 n. 96 in quanto non risultava in nessuno degli atti presentati la spendita del titolo di provenienza, cioè abogado. Per cui, ritenuto che ciò non integrasse il corretto espletamento dell'attività forense utile all'ottenimento della dispensa, ne deliberava il diniego.

Il ricorso al CNF
Avverso detta delibera, l'Abogado adiva il CNF chiedendone la riforma e l'accoglimento della domanda di dispensa della prova attitudinale.
A sostegno delle proprie richieste, la ricorrente sosteneva che dalla documentazione presentata emergeva l'uso del titolo di "Avvocato comunitario stabilito", dicitura aderente alla normativa vigente.
Inoltre, a comprova dell'utilizzo in buona fede del titolo, asseriva che nelle lettere d'incarico prodotte era stata chiaramente evidenziata la dichiarazione d'intesa con un professionista abilitato all'esercizio di avvocato nello Stato italiano e sempre anteposta la sigla "abg" e non "avv" alla propria sottoscrizione.

Avvocati stabiliti: il potere valutativo dell'ordine
Il CNF, preliminarmente, tiene a rammentare il compito del COA territoriale di verifica della concreta ed effettiva attività esercitata dall'abogado in Italia.
Sul punto, come affermato più volte dalla giurisprudenza domestica, il Consiglio ribadisce come spetti al COA territoriale "apprestare tutela alla funzione giudiziaria in Italia, ossia evitare che nel nostro Paese operino ‘soggetti scarsamente qualificati' o che siano all'oscuro delle peculiarità del diritto italiano". Per tale motivo il COA, affidatario di "un potere valutativo di ampio spettro", che ruota intorno alla verifica delle attività concretamente svolte in Italia dal richiedente la dispensa dalla prova attitudinale, deve procedere a verificare che "questi abbia concretamente operato sul foro nazionale con atti o attività stragiudiziali documentate e riferite ad un periodo di tempo privo di rilevanti interruzioni" (cfr. CNF, n. 180/2020).
Inoltre, ricorda il CNF, che l'art. "13, comma 3, riconosce al Consiglio dell'Ordine chiamato a pronunciarsi "sulla dispensa dalla prova attitudinale ampi poteri istruttori, consistenti, in particolare, nella richiesta di informazioni agli uffici interessati, e nella possibilità di invitare l'avvocato che chiede la dispensa a fornire ogni necessario chiarimento in ordine agli elementi forniti e alla documentazione prodotta".

La spendita del titolo
Fatte queste premesse, il CNF ritiene quindi di dover condividere appieno le motivazioni addotte dal COA.
Infatti, per quanto attiene all'uso del titolo di ‘Avvocato comunitario stabilito', osserva che la stessa giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che "l'utilizzo da parte di un avvocato stabilito del titolo di Avvocato e non di Abogado nel triennio per ottenere la dispensa dalla prova attitudinale osta all'iscrizione nell'albo degli avvocati integrati".
La Cassazione, difatti, ha affermato che "L'avvocato stabilito, che abbia acquisito la qualifica professionale in altro Stato membro dell'Unione Europea, può ottenere la dispensa dalla prova attitudinale di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 115 del 1992, se - nel rispetto delle condizioni poste dall'art. 12 del d.lgs. n. 96 del 2001, di attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale - abbia esercitato in Italia, in modo effettivo e regolare, la professione con il titolo professionale di origine per almeno tre anni, a decorrere dalla data di iscrizione nella sezione speciale dell'albo degli avvocati, tale presupposto non essendo, invece, integrato ove l'avvocato stabilito abbia esercitato la professione, seppur in buona fede, con il titolo di avvocato invece che con quello professionale di origine" (cfr. Cass. n. 5073/2016).
Nello stesso senso, si è espressa più volte anche la giurisprudenza domestica, ritenendo illecito "il comportamento dell'abogado che, nella propria corrispondenza anche informativa, usi l'abbreviazione ‘Avv.', anziché il titolo professionale nella lingua dello Stato membro di provenienza, così ingenerando confusione con il titolo professionale dello Stato membro ospitante" (CNF n. 104/2018).
Nel caso di specie, dall'esame della documentazione prodotta si evidenzia peraltro come la ricorrente non abbia sempre utilizzato la sigla "abg" in calce, posto che nelle lettere d'incarico è utilizzata la dizione "il professionista".
Oltre al fatto che anche la sigla, osserva ancora il CNF, è "pacificamente non rispettosa del dettato normativo che fa esplicito riferimento all'art. 7 del D.lgs, 96/01, I comma" il quale afferma testualmente che "nell'esercizio della professione l'avvocato stabilito è tenuto a fare uso del titolo professionale di origine, indicato per intero nella lingua o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro di origine, in modo comprensibile e tale da evitare confusione con il titolo di avvocato".
Dato che negli atti prodotti dalla ricorrente, si è configurata proprio quella confusione che la norma vorrebbe escludere, il ricorso dunque non può essere accolto.

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