Civile

Non perde la cittadinanza l'emigrante italiano coinvolto dalla grande naturalizzazione brasiliana di fine '800

Le Sezioni unite negano rilevanza al silenzio serbato al momento del riconoscimento generalizzato del nuovo status

di Paola Rossi

La vicenda della grande naturalizzazione del 1889 effettuata dal Brasile nei confronti degli stranieri emigranti sul suo territorio è considerata dalla stessa Cassazione vicenda talmente delicata da dover essere affidata al pronunciamento delle sezioni Unite. Delicata in quanto riguarda sia la conservazione della cittadinanza del nostro Paese per chi era emigrato nello Stato sudamericano nel diciannovesimo secolo al tempo della decisa naturalizzazione di massa sia la sussistenza dello ius sanguinis in capo ai suoi discendenti.
La sentenza n. 25318/2022 ha chiarito il significato delle disposizioni sulla perdita della cittadinanza previste dall'articolo 11 del Codice civile italiano abrogato del 1865 e dalle seguenti leggi del 1912 e del 1992. E ha affermato che non si può dar rilevanza all'inerzia del cittadino italiano emigrato che ottiene – non per volontà manifesta, ma per decisione dello Stato estero di stabilimento – una nuova cittadinanza attribuita a meno di espressa rinuncia.
Lo status di cittadino è connesso alla trama di diritti e doveri reciproci tra il singolo e l'ordinamento statale di appartenenza ed è status che certamente in Italia si acquista per nascita da genitore italiano (prima solo uomo e poi dal 1992 anche donna).

La tacita rinuncia non deriva dallo stabilimento
La Corte di appello di Roma ha fatto leva sulla decisione del 1907 della Corte di cassazione di Napoli che aveva delineato l'ipotesi della tacita rinuncia, ma in base a fatti concludenti che non possono consistere nel vedersi attribuita la nuova cittadinanza per atto del governo dello Stato estero di residenza: cioè specificatamente senza reagire contro tale attribuzione. Infatti, affermano le sezioni unite che l'ipotesi della perdita dello status di italiano per chi otteneva una nuova cittadinanza riguardava solo la volontarietà di tale acquisizione. E come diceva la Cassazione napoletana solo da fatti concludenti quale la richiesta di iscrizione alle liste elettorali del nuovo Paese di residenza o di ivi svolgere il servizio militare.
Automatismo illegittimo e tra le varie cautele contemperato dal fenomeno internazionale della doppia cittadinanza, come quella acquisita di diritto a seguito di matrimonio.
Sul punto conclude la decisione di nomofilachia che la Corte di appello non poteva svilire il diritto del figlio dell'emigrato italiano a essere riconosciuto egli stesso italiano per linea di sangue solo in base a una supposta tacita rinuncia dello status da parte del padre.
Quindi se è pur ammissibile la rinuncia tacita – ratione temporis a norma dell'articolo 11 del Codice abrogato – essa andava interpretata in modo restrittivo per non porre nel nulla lo ius sanguinis del figlio. E, conclude la Cassazione, ciò non può essere desunto dal silenzio serbato di fronte alla grande naturalizzazione brasiliana varata a fine ottocento dove la carenza di mezzi di comunicazione e l'analfabetismo risultavano pesantemente incidenti sull'attribuzione di volontarietà dell'acquisto della nuova cittadinanza da parte degli italiani emigranti.
Quindi è annullata la decisione della Corte d'appello romana che nel 2021 aveva negato la discendenza italiana del ricorrente perché era venuta meno la cittadinanza del padre a causa della tacita accettazione di quella brasiliana per aver posto in Brasile la residenza e averne fatto il centro delle proprie attività e affetti.

La cittadinanza deve essere effettiva

Gli Stati, in via generale, non possono unilateralmente e a proprio piacimento concedere la cittadinanza a chi è legittimamente cittadino di altro Stato. In base al principio di effettività deve esservi un concreto collegamento tra Stato e cittadino: e certamente lo ius sanguinis ne è la più forte espressione. Il figlio del cittadino non può che seguire la cittadinanza del genitore. La cittadinanza per fatto di nascita si acquisisce a titolo originario ed è imprescrittibile e permanente venendo meno solo per espressa rinuncia, ribadisce la Cassazione oggi anche alla luce dei sopravvenuti diritti costituzionali.

L'assunzione di incarichi governativi
Già il Codice civile in vigore all'epoca della grande naturalizzazione aveva previsto un'altra causa di perdita della cittadinanza italiana, riconosciuta e anch'essa ritenuta ricorrente nel caso concreto dalla Corte d'appello: l'assunzione di funzioni pubbliche alle dipendenze del Governo dello Stato estero senza preventivo "permesso" dello Stato italiano. Ma si tratta di funzioni alle dipendenze del Governo estero nel senso che partecipano alla sua azione e non rileva, invece, la copertura di ruoli nell'amministrazione pubblica del Paese straniero.
La Corte di appello in sede di rinvio dovrà rileggere e verificare la vicenda fattuale alla luce dei lunghi e complessi principi di diritto dettati dalla decisione.

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