Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 12 e il 16 settembre 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello trattano le materie dei contratti bancari (onere della prova), della responsabilità da cose in custodia (insidia o trabocchetto sul manto stradale), del contratto a favore del terzo, del contratto di locazione (tardivamente registrato), della responsabilità del direttore dei lavori nell'appalto, della responsabilità professionale dell'avvocato e, infine, del danno non patrimoniale.
Da parte loro i Tribunali si pronunciano sul riconoscimento di debito (quale atto interruttivo della prescrizione), sull'amministrazione di sostegno e, ancora, in tema di occupazione senza titolo di alloggi di edilizia residenziale pubblica.



BANCHE
Contratti bancari – Credito – Onere della prova
(Cc, articoli 1853, 1857; legge 7 marzo 1938, n. 141, articolo 102; Dlgs 1 settembre 1993, n. 385, articoli 50, 119)
Adita in materia di contratti bancari osserva in sentenza la Corte d'Appello di Firenze come, in tema di prova del credito fornita da un istituto bancario, deve essere distinto l'estratto di saldaconto (che consiste in una dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un'attestazione di verità e liquidità del credito), dall'ordinario estratto conto, che è funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall'ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca.
Mentre il saldaconto riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall'istituto, l'estratto conto, trascorso il previsto periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente.
La Corte pone così una riflessione sul fatto che siamo ormai venuto meno, con il Dlgs n. 385/1993 (TUB), il dettato dell'articolo 102 della vecchia Legge Bancaria (Legge n. 141/1938) che consentiva alle banche di ottenere il decreto ingiuntivo sulla base dell'estratto di saldaconto (pur non definendolo).
L'articolo 50 TUB ha introdotto una novità abbastanza modesta, se considerata sul piano strettamente lessicale: l'estratto di saldaconto è stato sostituito dall'estratto conto. Ma, al di là della permanente connotazione del documento quale "estratto", la distanza tra la previgente previsione e l'attuale è, nella sostanza, assai marcata: se il saldaconto era qualcosa di non esplicitamente definito, sicché l'interpretazione poteva orientarsi nel senso anzidetto, l'estratto conto non può che essere ciò che la legge definisce e regola come tale, anzitutto all'articolo 119 TUB, oltre che agli articoli 1853 e 1857 c.c.. Dunque, secondo l'articolo. 119, trattasi di "una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto".
E preferibile ritenere che la facoltà delle banche di chiedere il decreto d'ingiunzione previsto dall'articolo 633 c.p.c., anche in base all'estratto conto, come innanzi definito, richieda la produzione di quegli estratti conto dai quali sia possibile ricostruire, nello sviluppo temporale del rapporto, la sussistenza del credito fatto valere con il ricorso per ingiunzione.
Corte di Appello di Firenze, sezione II, sentenza 12 settembre 2022 n. 1962

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Cose in custodia – Danni – Risarcimento
(Cc, articoli 2043, 2051, 2697)
Secondo la sentenza in esame, resa dalla Corte d'Appello di Lecce, la fattispecie del risarcimento cd. da insidia stradale è disciplinata dall'articolo 2051 c.c.; in tale ipotesi, la responsabilità è astrattamente riferibile al proprietario-custode in ragione del particolare rapporto con la cosa che al medesimo deriva dalla disponibilità e dai poteri di effettivo controllo sulla medesima, salvo che della responsabilità presunta a suo carico si liberi dando la prova del caso fortuito.
La ripartizione dell'onere probatorio, pertanto, prevede che il danneggiato, invocando la responsabilità del custode per i danni subiti in conseguenza dell'omessa o insufficiente manutenzione della cosa in custodia, o di sue pertinenze, è tenuto, secondo le regole generali in tema di responsabilità civile, a dare la prova che i danni subiti derivino dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto: è suo onere, quindi, dimostrare l'evento dannoso e il nesso di causalità con la cosa in custodia.
L'articolo 2051 c.c. deroga alla regola generale di cui al combinato disposto degli articoli 2043 e 2697 c.c., integrando un'ipotesi di responsabilità caratterizzata da un criterio di inversione dell'onere della prova: essa impone al custode, presunto responsabile, di dare eventualmente la prova liberatoria del caso fortuito.
Di talché il custode ha l'obbligo, anche in virtù dei principi generali di diligenza, buona fede e correttezza, di adottare tutte le misure idonee a prevenire ed a impedire la produzione di danni a terzi, ma sempre in rapporto con la natura e la funzione della cosa custodita e con le circostanze del caso concreto, incombendogli l'onere di dimostrare che il danno lamentato si è verificato in modo non prevedibile, né superabile, con lo sforzo diligente adeguato, appunto, alle concrete circostanze del caso.
Ne consegue che il danneggiato non ha l'onere di allegare e dimostrare anche la sussistenza dell'insidia o trabocchetto, né la condotta omissiva o commissiva del custode.
La funzione che può processualmente ancora attribuirsi alla figura dell'insidia o trabocchetto non è quella di ampliare gli oneri probatori del danneggiato, ma di contribuire a fornire un criterio discretivo della diligenza del danneggiante nell'adozione delle misure idonee ad evitare che la res in custodia sia fonte di danno per i terzi.
Corte di Appello di Lecce, sezione II, sentenza 12 settembre 2022 n. 894

CONTRATTI
Contratto a favore di terzo – Efficacia – Inadempimento – Tutela del terzo
(Cc, articolo 1411)
Secondo quanto affermato dalla Corte d'Appello di Napoli, nel contratto a favore di terzo (art. 1411 c.c.), qualora la stipulazione sia idonea a far acquisire al terzo il diritto che ne è oggetto senza bisogno di un'attività esecutiva del promittente, una volta verificatasi la sua efficacia a favore del terzo (mediante adesione alla stipulazione ed a maggior ragione per effetto di dichiarazione di volerne profittare anche in confronto del promittente), soltanto il terzo è legittimato ad agire per l'esecuzione della prestazione oggetto del diritto attribuitogli, dovendosi escludere che sussista una legittimazione concorrente dello stipulante.
Ciò in quanto la prestazione oggetto del contratto a favore del terzo, rappresentata dall'attribuzione del diritto al medesimo, risulta già realizzata e, in tal caso, di fronte all'inadempimento da parte del promittente alla prestazione attribuita al terzo come oggetto del diritto conferitogli, non è configurabile in capo allo stipulante un diritto alla risoluzione del contratto a favore del terzo, perché detto inadempimento non concerne tale contratto, ma il rapporto originato dall'attribuzione al terzo del diritto, che se si sostanzia in un posizione contrattuale fra il terzo e il promittente potrà dare luogo ad azione di risoluzione da parte del terzo.
Allo stesso modo, di fronte all'inadempimento da parte del promittente della prestazione attribuita al terzo come oggetto del diritto conferitogli, non è configurabile in capo allo stipulante un diritto al risarcimento del danno per l'inadempimento, perché esso spetta al terzo.
La verifica della legittimazione può essere compiuta d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, in quanto la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte, mentre l'effettiva titolarità del rapporto controverso, attenendo al merito, rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio dei soggetti in lite. Ne consegue che il difetto di legitimatio ad causam, riguardando la regolarità del contraddittorio, costituisce un error in procedendo ed è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo.
Corte di Appello di Napoli, sezione I, sentenza 12 settembre 2022 n. 3736

LOCAZIONI
Contratto di locazione – Registrazione tardiva - Efficacia
(Preleggi, articolo 11; Cc, articoli 1360, 1423; legge 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, comma 346)
Afferma la Corte d'Appello di Roma il principio di diritto secondo cui alla registrazione tardiva del contratto di locazione deve riconoscersi efficacia sanante ex tunc.
Rileva, in particolare, l'articolo 1, comma 346, legge n. 311/2004 (applicabile, giusta il criterio generale di cui all'articolo 11 Preleggi, solo ai contratti stipulati dopo la sua entrata in vigore) che collega la nullità del contratto esclusivamente alla sua omessa registrazione, tacendo con riguardo all'ipotesi in cui il contratto sia registrato tardivamente.
In assenza di specifica sanzione di nullità per tale ipotesi, deve ritenersi che il contratto comunque registrato sia valido ed efficace, configurandosi la registrazione tardiva come mera violazione di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario e non quale causa di nullità del contratto.
Del resto la convalida del contratto affetto da nullità (articolo 1423 c.c.) nei casi in cui è ammessa dalla legge ha tipicamente effetto retroattivo, e ciò perché altrimenti l'efficacia del negozio sarebbe imputabile non alla volontà del disponente, ma esclusivamente al negozio di convalida.
Pertanto, potendosi far riferimento all'istituto della condizione sospensiva di efficacia del contratto, in giurisprudenza la registrazione è stata qualificata, alternativamente, in termini di fattispecie sanante la nullità con effetto retroattivo ovvero in termini di "condicio iuris" di efficacia del contratto, che, laddove avverata, è in grado di attribuire efficacia e vincolatività all'accordo negoziale con effetto retroattivo ex articolo 1360 c.c..
Secondo l'adita Corte di Roma, indipendentemente dall'inquadramento teorico, deve sempre essere riconosciuta l'efficacia retroattiva della registrazione del contratto di locazione.
La legge n. 311/2004, come interpretata dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza n. 420 del 2007, prevede dunque una significativa interferenza dell'obbligo tributario sulla validità del negozio giuridico, con la conseguenza che, pur nei limiti operativi innanzi visti, la mancata registrazione determina la nullità.
Corte di Appello di Roma, sezione VIII, sentenza 12 settembre 2022 n. 5498

APPALTI
Appalto – Direttore dei lavori – Diligenza – Responsabilità
(Cc, articolo 1662)
Osserva la Corte d'Appello di Catania come, in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell'opera appaltata, il direttore dei lavori, pur prestando un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e non di risultato, è chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche e deve utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della "diligentia quam in concreto".
Rientrano nelle plurime obbligazioni del direttore dei lavori. l'accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonchè l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi.
Di conseguenza, non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonchè di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente.
Non solo. Il Giudice, in ipotesi, ben può valutare la mancanza di utilitas della prestazione professionale in sè resa, ritenendola al di là di ogni parametro di diligenza e di professionalità secondo le leges artis, in relazione al contenuto degli obblighi correlati all'incarico di direzione dei lavori ricevuto dai committenti dell'opus, e alle gravi violazioni riscontrate, a prescindere dall'esito della controversia nata in relazione al contratto di appalto il quale è autonomo e distinto rispetto al contratto di direzione dei lavori.
Con la precisazione che, nell'appalto privato, quando sia stato nominato un direttore dei lavori - che, in quanto tale, come visto, assume esclusivamente la rappresentanza tecnica per conto del committente e, in tale veste, è tenuto a monitorare costantemente l'andamento del cantiere, intervenendo ed indicando all'appaltatore gli opportuni ripristini – che verifichi la presenza di anomalie (tenendo contemporaneamente informato il committente dell'andamento del cantiere), nell'ipotesi in cui l'impresa non ottemperi alle sue direttive, la decisione sulle iniziative da assumere anche ex articolo 1662, II, c.c. è rimessa esclusivamente al committente.
Corte di Appello di Catania, sezione I, sentenza 13 settembre 2022 n. 1733

AVVOCATO
Avvocato – Responsabilità professionale – Risarcimento danni
(Cc, articolo 1176, 2236)
Rileva la Corte d'Appello di Catanzaro che, ai fini della valutazione della correttezza o meno della condotta dell'avvocato nello svolgimento della prestazione di assistenza difensiva, ove si sia in presenza di un contrasto giurisprudenziale, è dovere professionale del difensore quello di agire, cautelativamente, in base alla interpretazione della norma, anche a prescindere della sua condivisione da parte del medesimo, che comporti minori rischi per il cliente.
E cioè a dire, l'opinabilità della soluzione giuridica impone al professionista una diligenza e una perizia adeguate alla contingenza, nel senso che la scelta professionale deve cadere sulla soluzione che consenta di tutelare maggiormente il cliente e non già di danneggiarlo.
L'avvocato, invero, è tenuto all'esecuzione del contratto di prestazione d'opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata, di cui al combinato disposto degli articoli 1176, II, e 2236 c.c., e della buona fede oggettiva o correttezza la quale, oltre che regola di comportamento e di interpretazione del contratto, è criterio di determinazione della prestazione contrattuale, imponendo il compimento di quanto necessario (o utile) a salvaguardare gli interessi della parte, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio.
Se, poi, nell'adempimento dell'incarico professionale, tale obbligo di diligenza comporta, per l'avvocato, l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, in ogni caso, l'esito del giudizio, anche eventualmente sfavorevole, non spiega alcun effetto, in quanto l'inadempimento del suddetto professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell'attività esercitata.
E cioè adire, per dirsi sussistente una ipotesi di inadempimento del suddetto professionista è doverosa l'indagine - positivamente svolta sulla scorta degli elementi di prova che il cliente ha l'onere di fornire - circa il sicuro e chiaro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo.
Corte di Appello di Catanzaro, sezione III, sentenza 13 settembre 2022 n. 982

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Danno non patrimoniale - Voci - Criteri di liquidazione
(Cc, articolo 2059)
La Corte d'Appello di Milano passa in rassegna, in sentenza, l'evoluzione giurisprudenziale in materia di danno non patrimoniale, avuto particolare riguardo alle singole voci che lo compongono e ai criteri di liquidazione (articolo 2059 c.c.).
Si sottolinea così il progressivo ricondurre il danno morale, il danno biologico e quello esistenziale all'interno del danno non patrimoniale come unicum.
Precisamente, per evitare la duplicazione del risarcimento, nel caso in cui il soggetto leso presenti un danno biologico all'interno del quale siano ricomprese ripercussioni relazionali e sofferenze intime, si è escluso l'ulteriore liquidazione attinente esclusivamente al danno esistenziale.
Il danno morale si è stabilito, poi, costituire un aspetto peculiare del danno non patrimoniale in quanto pregiudizio costituito dalla sofferenza soggettiva da lesione di diritti inviolabili della persona e soggetto a valutazione meramente descrittiva (danno morale da sofferenza soggettiva conseguente alle lesioni patite, ovvero danno morale da degenerazioni patologiche che rientra nell'area del danno biologico permanente).
Si ribadisce così che nell'ampia ed onnicomprensiva categoria del danno non patrimoniale, che non è possibile ritagliare in ulteriori sottocategorie se non in termini meramente descrittivi, è da ascrivere il danno biologico, comprensivo dei danni alla vita di relazione ed estetico nonché quello morale, il quale non può, quindi, dar luogo ad un autonomo risarcimento.
Quanto al profilo della personalizzazione, che può comportare un aumento del danno non patrimoniale, essa non costituisce un automatismo ma richiede l'individuazione di specifiche circostanze rispetto al caso concreto che consentano di superare le conseguenze ordinarie già compensate dalla liquidazione tabellare sulla base dei criteri standard.
E, infine, in relazione alla liquidazione del danno, si osserva in sentenza che, con le Tabelle del Tribunale di Milano, si è optato per un riconoscimento del danno non patrimoniale nella sua interezza operando una liquidazione congiunta del danno da lesione dell'integrità psico-fisica (danno biologico) e del danno morale, derivante da lesione in termini di sofferenza soggettiva e dinamico relazionale.
Corte di Appello di Milano, sezione I, sentenza 15 settembre 2022 n. 2906 

OBBLIGAZIONI
Riconoscimento di debito – Natura giuridica - Effetti
(Cc, articolo 2944)
Il Tribunale di Torino richiama l'orientamento interpretativo secondo cui il riconoscimento di debito, quale atto interruttivo della prescrizione (articolo 2944 c.c.), pur non avendo natura negoziale, né carattere recettizio e costituendo un atto giuridico in senso stretto, non solo deve provenire da un soggetto che abbia poteri dispositivi del diritto, ma richiede altresì in chi lo compie una specifica intenzione ricognitiva, occorrendo a tal fine la consapevolezza del riconoscimento desunta da una dichiarazione univoca, tale da escludere che la dichiarazione possa avere finalità diverse o che lo stesso riconoscimento resti condizionato da elementi estranei alla volontà del debitore; e dunque può anche essere tacito e concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore.
Cosi, ai fini della configurabilità del riconoscimento del diritto del proprietario da parte del possessore, idoneo ad interrompere il termine utile per il verificarsi dell'usucapione, non è sufficiente un mero atto o fatto che evidenzi la consapevolezza del possessore circa la spettanza ad altri del diritto da lui esercitato come proprio, ma si richiede che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per fatti in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare.
Se è vero che l'accertamento della sussistenza del riconoscimento dell'altrui diritto non deve concretarsi in uno strumento negoziale, cioè in una dichiarazione di volontà corrispondente diretta all'intento pratico di riconoscere il credito e può, quindi, anche essere tacito e concretarsi – come detto - in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere pretesa creditoria, tuttavia, non può identificarsi nel pagamento parziale che non sia accompagnato dalla precisazione della sua effettuazione a titolo di acconto sulla maggiore somma dovuta.
L'indagine diretta a stabilire se una certa dichiarazione costituisca riconoscimento, ai sensi qui in esame, rientra nei poteri del Giudice di merito, il cui accertamento non è sindacabile in sede di legittimità quando sia sorretto da una motivazione sufficiente e non contraddittoria.
Tribunale di Torino, sezione III, sentenza 12 settembre 2022 n. 3550

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO
Amministrazione di sostegno - Interdizione - Inabilitazione - Differenze
(Legge 9 gennaio 2004, n. 6, articolo 1)
Osserva in sentenza il Tribunale di Pisa come l'interdizione e l'inabilitazione si presentano quali misure (di protezione della persona incapace) di carattere residuale, di cui il Giudice può fare applicazione solo quando sia esclusa la possibilità di fare ricorso alla meno afflittiva misura dell'amministrazione di sostegno.
La scelta della misura non deve essere effettuata in astratto, alla luce di un criterio quantitativo legato alla gravità della patologia, ma in concreto e tenuto conto delle esigenze che la misura è destinata a soddisfare.
Il criterio distintivo tra l'amministrazione di sostegno e gli altri istituti a tutela dell'incapace è qualitativo e non quantitativo e deve, quindi, essere individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi da parte del soggetto carente di autonomia, ma, piuttosto, alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze del soggetto stesso, tenuto conto
della sua complessiva condizione psico-fisica e di tutte le circostanze caratterizzanti la fattispecie, con riguardo, in particolare, alla rete di protezione di cui la persona gode e alle esigenze che con l'invocata misura protettiva si mirano a soddisfare, dato il carattere estremamente più duttile dell'amministrazione di sostegno rispetto alle misure dell'interdizione e dell'inabilitazione.
Ne consegue che può farsi ricorso alla misura dell'amministrazione di sostegno anche in caso di patologie particolarmente gravi, quando le richiamate circostanze del caso concreto consentano di perseguire lo stesso livello di protezione senza fare ricorso alla ben più invasiva misura della interdizione.
Il criterio stabilito dall'articolo 1 della legge n. 6/2004 - della «minore limitazione possibile della capacità di agire» - rappresenta cosi la "stella polare" destinata ad orientare l'interprete quanto ai rapporti tra la figura dell'amministrazione di sostegno e le altre forme di protezione degli incapaci, e, in particolare, a guidare il Giudice nella impegnativa attività di scelta nel caso concreto.
Tribunale di Pisa, sezione II, sentenza 13 settembre 2022 n. 1102

EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA
Edilizia residenziale pubblica – Occupazione senza titolo - Rilascio dell'immobile
(Dpr 30 dicembre 1972, n. 1035, articolo 18)
Il Tribunale di Roma, dopo aver precisato che, in tema di edilizia residenziale pubblica, l'azione proposta contro l'ordine di rilascio dell'immobile per occupazione senza valido titolo (ex articolo 18 Dpr n. 1035/1972), spetta alla cognizione del Giudice Ordinario, qualora l'occupante, contestando il diritto al rilascio azionato dall'Istituto, faccia valere un proprio diritto soggettivo a mantenere il godimento dell'alloggio, sottolinea come una tale determinazione (di sgombro) sia frutto dell'esercizio di un'attività di natura vincolata.
Quest'ultima, per sua stessa connotazione, esclude la configurabilità del vizio di eccesso di potere e di carenza di istruttoria, in ogni caso non rientrando nel potere del Giudice (né Ordinario, né Amministrativo) di acclarare la sussistenza delle condizioni ex ante previste, dalla normativa regionale, per l'accesso al servizio di assistenza alloggiativa, né di sostituirsi all'amministrazione nell'esercizio dei poteri autoritativi demandatile dalla legge.
Si è così ritenuto, in sentenza, da un lato, che l'adottata (e opposta) determinazione di rilascio trovasse il proprio fondamento giuridico nell'occupazione senza titolo dell'alloggio e, dall'altro lato, che ogni eventuale inerzia, pur protratta nel tempo, da parte della Pa nell'esercizio dei suoi doveri non comporti il sorgere di un affidamento legittimo.
E cioè a dire, detto comportamento omissivo della Pa, pur determinando al più il sorgere nell'interessato di un affidamento sulla costituzione di un rapporto contrattuale, non può comportare il diritto alla costituzione del rapporto, in assenza di un contratto stipulato con l'amministrazione.
Inoltre, la tolleranza e/o inerzia della Pa all'occupazione dell'alloggio non è idonea a generare alcuna tutela quanto all'affidamento nel soggetto, nonostante la situazione di fatto si sia protratta per un lasso considerevole di tempo, dal momento che l'interesse pubblico e quello privato nell'assegnazione degli alloggi pubblici impongono l'emissione di atti.
Tribunale di Roma, sezione II, sentenza 13 settembre 2022 n. 13259

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