Penale

Libertà condizionale al boss anche senza collaborazione

Censurata l’assolutezza della preclusione. Al Parlamento dodici mesi per intervenire

di Giovanni Negri

La presunzione di pericolosità del condannato all’ergastolo per reati di mafia che rifiuta di collaborare non è irragionevole. Tuttavia la sua assolutezza, con la consegeunte impossibilità per la magistratura di sorveglianza di valutare elementi diversi per la concessione della libertà condizionale, è incompatibile con la Costituzione.

È stata depositata ieri l’ordinanza n. 97, scritta da Nicolò Zanon, con la quale la Corte costituzionale, come preannunciato dal comunicato del 15 aprile, ha in ogni caso stabilito che spetta al Parlamento intervenire su questo punto. La Corte ha così rinviato la trattazione della questione al 10 maggio del 2022, lasciando un anno di tempo al legislatore per intervenire, nella consapevolezza che «un intervento meramente “demolitorio” di questa Corte potrebbe mettere a rischio il complessivo equilibrio della disciplina in esame, e, soprattutto, le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva che essa persegue per contrastare il pervasivo e radicato fenomeno della criminalità mafiosa».

Va poi tenuto conto dell’effetto di incoerenza che un giudizio di incostituzionalità con effetto immediato produrrebbe. Se ai condannati all’ergastolo per mafia non collaboranti sarebbe infatti permesso l’accesso a permessi premio (sentenza della Corte del 2019) e libertà condizionale, non altrettanto avverrebbe per altre misure alternative e intermedie come semilibertà e lavoro all’esterno.

Le norme censurate dalla Cassazione e portate all’esame della Consulta stabiliscono che i condannati all’ergastolo per reati di contesto mafioso, se non collaborano utilmente con la giustizia non possono essere ammessi al beneficio della cosiddetta liberazione condizionale, che consiste in un periodo di libertà vigilata, a conclusione del quale, solo in caso di comportamento corretto, consegue l’estinzione della pena e la definitiva restituzione alla libertà. Possono invece accedere al beneficio, dopo aver scontato almeno 26 anni di carcere, tutti gli altri condannati alla pena perpetua, compresi quelli per delitti connessi all’attività di associazioni mafiose, i quali abbiano collaborato utilmente con la giustizia.

Ed è proprio la possibilità di ottenere a determinate circostanze la libertà condizionale a rendere compatibile, secondo la consolidata giurisprudenza della Consulta, la pena dell’ergastolo con l’articolo 27 della Costituzione che alla pena attribuisce una funzione rieducativa.

La disciplina attuale con la sua preclusione assoluta delinea una sorta di scambio tra informazioni utili per finalità investigative e conseguente possibilità per il detenuto di accedere al normale percorso di trattamento penitenziario con relativi benefici. Per il condannato all’ergastolo «lo “scambio” in questione può assumere una portata drammatica, allorché lo obbliga a scegliere tra la possibilità di riacquisire la libertà e il suo contrario, cioè un destino di reclusione senza fine. In casi limite può trattarsi di una “scelta tragica”: tra la propria (eventuale) libertà, che può tuttavia comportare rischi per la sicurezza dei propri cari, e la rinuncia a essa, per preservarli da pericoli».

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